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Multinazionale dell’aborto lancia un’offensiva abortista in America Latina

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Aleteia - pubblicato il 06/06/19
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Dice di difendere le vittime dello stupro, ma i pro-vita reagiscono: “Le minorenni che non vengono stuprate non restano incinte. Cosa dev’essere combattuto? L’abuso o il bambino?”Il quotidiano britannico The Guardian ha riferito che le organizzazioni internazionali Planned Parenthood Global e Centro per i Diritti Riproduttivi hanno presentato al Comitato per i Diritti Umani dell’ONU i casi di quattro donne di Nicaragua, Guatemala ed Ecuador, tutte tra i 18 e i 23 anni, che sono state stuprate quando ne avevano meno di 14, sono rimaste incinte degli stupratori e si sono viste negare la richiesta di abortire dai giudici dei loro Paesi.

Si tratta di una nuova campagna a favore dell’aborto in America Latina, a cominciare dai tre Paesi menzionati.

Le organizzazioni coinvolte

Planned Parenthood è il più grande sistema di cliniche abortive al mondo. La sua filiale nordamericana, la Planned Parenthood Federation of America, è accusata di traffico di organi e tessuti dei bambini abortiti nelle sue strutture e di un’ampia gamma di irregolarità denunciate da ex funzionari per quanto riguarda procedure cliniche, induzione psicologica e omissione di comunicazioni alle autorità nel caso di clienti minorenni vittime di stupro.

Il Centro per i Diritti Riproduttivi è un’entità internazionale che promuove apertamente la legalizzazione meno restrittiva possibile dell’aborto in vari Paesi. Il suo presidente, Nancy Northup, fa appello all’affermazione ideologica per cui la negazione del “diritto” all’aborto sarebbe “una chiara violazione dei diritti umani”.

L’influente The Guardian, che si presenta in teoria come “editorialmente indipendente”, nella pratica ha assunto una chiara posizione ideologica annunciando una partnership con il Centro per i Diritti Riproduttivi nell’organizzazione di un evento a favore della legalizzazione dell’aborto.

Campagna abortista: interesse per le vittime o interesse personale?

Alexandra de Skinner-Klée, dell’associazione guatemalteca La Familia Importa (AFI), si è pronunciata sulla campagna guidata da Planned Parenthood:

“In nessun momento promuove la giustizia per il minore, né la fine degli abusi. Ciò che chiede è l’aborto come ‘diritto’. Sappiamo che Planned Parenthood Global e il Centro per i Diritti Riproduttivi vogliono solo promuovere l’aborto. È una strategia orchestrata. Una minore che non viene abusata non rimarrà incinta. Cosa dev’essere combattuto o eliminato alla radice? L’abuso. Uniamoci, come America Latina, o nel mondo intero, per sradicare l’abuso. Una società sana deve unire sforzi, risorse e tutto il possibile per punire i responsabili”.

Eliana Cabrera, attivista pro-vita ecuadoregna, ha denunciato che le dichiarazioni dei promotori dell’aborto in America Latina sono “disorte” e “facilmente confutabili”, e ha aggiunto che il dramma delle minorenni stuprate e incinte non verrà risolto dalla legalizzazione dell’aborto:

“[I pro-vita] si preoccupano per la tragedia delle minorenni stuprate dai propri familiari in Ecuador, le cui madri spesso fanno finta di essere sorde o cieche per via della dipendenza economica dallo stupratore, che è il padre o il patrigno. Siamo certi che la soluzione per porre fine agli stupri di bambine e donne passi per la rivitalizzazione delle famiglie e per l’inasprimento delle punizioni nei confronti degli stupratori”.

Jessica López, avvocato esperto in Diritto di Famiglia e membro dell’Associazione Nicaraguense di Bioetica, ha sottolineato che “in Nicaragua l’aborto è criminalizzato in tutte le sue forme dal 2006. [La campagna abortista] è davvero dannosa, perché in primo luogo parla di ‘diritto all’aborto’, e l’aborto non esiste come diritto, men che meno in Nicaragua. Dov’è lo stupratore, e perché non è in prigione? E perché non c’è nessuna campagna per cercare chi ha stuprato una bambina? In Nicaragua non c’è posto per l’aborto, e quindi non è stato violato alcun diritto della bambina”.

La López ha anche ricordato l’attuale crisi politica in Nicaragua sotto il regime di Daniel Ortega, descritta como “una situazione di morte”. Di fatto, più di 500 persone sono state uccise nel corso delle proteste contro il regime, ed è questa situazione dovrebbe ricevere l’attenzione prioritaria di chi si dice preoccupato per i diritti umani nel Paese.

“[I promotori dell’aborto] vengono dalla sinistra radicale, e il Nicaragua si è già stancato di questa sinistra. Non accetteremo chi vuole imporre il diritto di uccidere. Il Nicaragua è pro-vita con il cuore”.

La campagna abortista cerca di inserire nelle reti sociali l’hashtag #BambineNonMadri. In risposta, le entità pro-vita hanno creato gli hashtag #BambineNonAbusate e #NéAbusoNéAborto.

Con informazioni dell’agenzia ACI Digital

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