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L’incertezza vi paralizza? Questa promessa è per voi!

WOLNOŚĆ

Zulmaury Saavedra/Unsplash | CC0

padre Carlos Padilla - pubblicato il 04/06/19

Lasciatevi consolare dallo Spirito quando soffrite

Gesù mi dice che non devo sapere il momento in cui agirà: “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra”.

Vorrei comprenderlo nelle sue conseguenze. Non sono padrone del tempo, né del modo. Non decido io quando e come si manifesterà la misericordia di Dio.

Egli è il Signore del tempo. Sa cosa è bene per me. Io voglio solo essere inviato nel suo Spirito. Dio sa quando accadrà quello che ora mi inquieta.

Mi piace guardare Gesù senza pretendere di sapere tutto. Non spetta a me conoscere i suoi momenti, i suoi progetti. Non sono io a decidere quando inizia il suo Regno. Spetta a Lui, con la sua logica per me tanto incomprensibile. Chiede ai discepoli di restare dove sono senza cambiare nulla, di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempia la promessa del Padre “quella, disse, che voi avete udito da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni”.

Devono aspettare la venuta dello Spirito Santo: “Io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto”.

Ma non sanno come sarà. Questo mi commuove sempre. Aspettano senza sapere nulla. Attendono senza comprendere. Devono stare in quel cenacolo che non è più casa per loro. Perché Gesù è andato in Cielo.

Ma Gesù non vuole che siano tristi guardando in alto: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”.

Gesà vede anche me triste mentre guardo il cielo.

Di fronte alle situazioni difficili nella mia vita, di fronte all’incomprensibile, resto paralizzato, tormentato dalle mie angosce e dai miei timori. Rimango imprigionato nella mia tristezza e non guardo più in là.

Gesù tornerà, penso, ma non so quando. Sento nel cuore la sua voce che è un sussurro. Non voglio temere. Non sarò solo. Lo Spirito Santo riempirà il mio cuore inquieto, vuoto.

Spesso, quando sono triste e non riesco a uscire dal mio cuore turbato, il suo Spirito mi calma. Mi piacciono le parole di padre Josef Kentenich:

“Se nella sofferenza vediamo solo la tristezza, il dolore, non resistiamo. Dio vuole che attraverso la sofferenza ci distacchiamo dalle cose perché la nostra anima si rivolga a quello per cui è stata creata, perché voli tra le sue braccia. La sofferenza dura e abbondante deve prepararci all’unione con Dio ed educarci sempre più per Dio” [1].

La sofferenza mi lega al cielo. Mi pota come la vite, perché dia frutto. E nel mio cuore risuona con forza il mio ultimo desiderio: preferisco il Paradiso.

Non mi aggrappo a quello che perdo. Lo lascio andare. Senza tristezza. Perché il demonio vuole che resti legato alle mie angosce e alle mie paure. Vuole che non abbia pace. Vuole che perda le forze e il coraggio. Perché così sono poco efficace.

Il cuore gioioso spera di portare allegria agli uomini e non teme le difficoltà. Il cuore triste si chiude nella sua malinconia e vive senza speranza, ancorato alle sue paure. E io non voglio vivere così.

Voglio che la gioia metta fine alla tristezza che provoca in me l’Ascensione di Gesù al Cielo. Non devo temere nulla perché Egli tornerà per rimanere nella mia vita per sempre.

La sua promessa pasquale acquista nuova vita dentro di me. È necessario che parta, che salga al Cielo, per inviarmi il suo Spirito Santo che mi farà comprendere tutto e mi riempirà il cuore di pace.

A volte credo di aggrapparmi a persone, cose, routines, luoghi. Mi aggrappo alla mia casa, ai miei sogni, perché mi danno sicurezza.

La mia anima anela a possedere un posto sicuro sulla Terra. La solitudine e l’abbandono mi fanno paura. Temo di vivere senza radici.

Mi sento come quei discepoli chiusi nel cenacolo perché Gesù è asceso davanti ai loro occhi. In chi crederanno ora?

Gesù vuole che ampli il mio cuore. Vuole che il dolore mi renda più di Dio. Più libero. Più maturo. Più pieno.

Mi sento come i discepoli quando affronto le mie perdite, l’assenza degli esseri cari che sono già andati via. Sono ascesi al Cielo e hanno lasciato un vuoto infinito nella mia anima, nella mia vita. Nulla può riempirlo.

Quel dolore mi intristisce. Per questo oggi guardo Gesù cercando consolazione. E le sue parole mi riempiono di luce. Devo continuare a sperare, ma con un sorriso nell’anima.

Allontano da me i pensieri negativi e le lamentele. Preferisco il paradiso, me lo ripeto mille volte nell’anima. Ovviamente sì. Il mio cuore non si turbi guardando il cielo.

Devo solo confidare e sapere che Gesù farà tutto nuovo nella mia anima. Pulirà le mie tristezze e i miei egoismi. Mi renderà più libero.

[1] J. Kentenich, Las fuentes de la alegría sacerdotal

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