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Francesca Barra e Claudio Santamaria: abbiamo perso il nostro bambino

FRANCESCA BARRA, CLAUDIO SANTAMARIA

Rai | Youtube

Annalisa Teggi - pubblicato il 04/06/19

Con un annuncio su Instagram la giornalista e l‘attore hanno condiviso il loro lutto: "Il nostro bimbo, tanto cercato, tanto voluto ha interrotto il suo cammino prematuramente lasciando un vuoto che non riusciamo a riempire con nulla".

Lo schermo va a nero, salta tutto. Si perde tutto senza possibilità di recupero, e si sta immobili. È così anche il lutto, un’oscurità che cala e cancella presenze, parole, pensieri. Fare i conti con la morte – ce lo ricordava qualche giorno fa al #monasterowifi Don Vincen Nagle – è l’obiezione più grande per l’uomo di tutti i tempi ma soprattutto per l’uomo di questi nostri tempi, che fa di tutto per cancellare i limiti e, a maggior ragione, il limite estremo che è la fine della vita. Invece è proprio facendo i conti con l’obiezione suprema che tutto può mettersi a fuoco: perché solo se abbiamo un’ipotesi di bene che vince la morte, allora tutto può valer la pena di essere portato, sofferto, accudito.


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Ma è straordinario, cioé è commovente, che la stuttura umana sia così imparentata al suo Creatore che, quando è in ballo la ferita acutissima della morte, la voce parla con parole chiarissime, anche senza l’esperienza viva della fede. (Perché è un’etichetta che attacchiamo noi a posteriori quella per cui si pensa: “Solo la fede fa dire certe cose”). È degno di umana attenzione ciò che nasce quando un’anima fa i conti con lo schermo nero, con un lutto.

Negli scorsi giorni la scrittrice e conduttrice televisiva Francesca Barra ha condiviso su Instagram un’immagine completamente nera per raccontare il dolore che ha colpito lei e il suo secondo marito, Claudio Santamaria: il bambino di cui erano in attesa è prematuramente morto. Il rilancio della notizia è passato dal social network ai maggiori mezzi di comunicazione, togliendo alla voce di lei quell’intimità con cui, a costo di grande dolore, era riuscita a raccontare il suo stato d’animo.

Credo che la fatica di tenere in equilibrio il proprio vissuto privato con l’immagine pubblica resti anche quando si è sulla cresta dell’onda da tempo, come la Barra e Santamaria. La coppia aveva già vissuto un altro momento difficile da digerire e dimenticare: proprio quando la loro relazione era appena cominciata, Francesca fu pubblicamente «massacrata» dagli haters e ricevette anche minacce di morte (lo racconta

). Precedentemente sposata a un altro uomo e già madre di tre figli, non le si perdonava la scelta della separazione … e dire che in questi nostri giorni sovraffollati di eresie amorose, il fallimento di un matrimonio sancito per via legale è una delle tristi faccende meno stravaganti possibili. Lei stessa ribadì, e non era dovuto, di fronte alle telecamere di essere affranta per quel vincolo spezzato.

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Non si capisce francamente perché ci spingano da tutte le parti a essere liberi, libertini, liberati da ogni forma di moralità e poi dobbiamo sorbirci dei processi moralistici per via mediatica. In ogni caso, la coppia Barra e Santamaria attraversò la bufera rafforzandosi: i due si sono sposati, prima a Las Vegas poi a Policoro nel 2018. L’arrivo di un figlio era stato atteso e desiderato, poi è stato concepito. La ferita di un aborto spontaneo ha gettato nello sconforto la famiglia, eppure in mezzo alla sofferenza – a tu per tu con il velo nero del lutto – Francesca ha condiviso parole che meritano di essere lette con calma e meditate.


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Oggi scopro di essere fragile

Io e Claudio stiamo vivendo uno dei momenti più dolorosi della nostra vita. Sappiamo che tanti di voi hanno fatto il tifo per noi, il nostro amore, il nostro bambino e per questo vi ringraziamo con parole sincere che provo a condividere per quel “prima o poi si scoprirà” che doveva arrivare, ed è più giusto che arrivi da noi. Perché il calore dei familiari, degli amici discreti, degli sconosciuti che però sono stati coinvolti in tante gioie – e tante fatiche- non è mai scontato o dovuto. E lo useremo come unguento in queste ore in cui stiamo facendo i conti con una perdita dolorosissima. Il nostro bimbo, tanto cercato, tanto voluto, che finalmente era dentro di me contagiandoci con gioie e progetti e con cui poi abbiamo lottato aggrappandoci alla più piccola e improbabile speranza, ha interrotto il suo cammino prematuramente lasciando un vuoto che non riusciamo a riempire con nulla. La mia pancia sembra ancora essere il luogo più sicuro per proteggerlo. Eppure lui non c’è più. 
Ho spesso creduto e condiviso con voi la sfrontata certezza che l’amore salvasse, bastasse, rendesse invulnerabili ed eroici. Che la mia forza, l’essere disposti a tutto, la forza di una madre, potesse perfino smentire la scienza e trasformarsi nel miracolo.
 Oggi scopro di essere fragile, di non avere armi, di non essere stata in grado di produrre quel miracolo, di essere piccola, di non avere spiegazioni sagge perché non sempre ciò che sai, sei e senti è sufficiente per salvare chi amavi già con tutta te stessa.
 (da Francesca Barra – Instagram)


La fragilità, quella vera … che non è una posa da anime delicate, è un tuffo che sembra in apnea, ma fa respirare un’aria pura. È azzerata di sostanze inquinanti che ci mettiamo noi, tipo i discorsi astratti su cosa sia il corpo della donna e altre chimere ideologiche sulla gravidanza. «La mia pancia sembra ancora essere il luogo più sicuro per proteggerlo. Eppure lui non c’è più.» La mamma è questa accoglienza partecipe ma passiva, ce ne si rende conto anche quando le cose vanno bene; e non è brutta da notare questa passività, che è tutt’uno con il lasciare il campo aperto a forze che non dipendono dalla nostra volontà. Di fatto, la pancia ospita e protegge … se dovessimo dire cosa «facciamo» noi mamme per far crescere il feto, sarebbe quasi impossibile. Ieri, parlando con un’amica in attesa, mi diceva che aveva l’impressione che da un’ecografia all’altra accadesse una magia. Non è suggestione, è l’evidenza che non è in mano nostra la vita che portiamo in grembo. Ne siamo custodi, ma è altro da noi. Chi vive il dolore di un aborto spontaneo vede schiantarsi a terra – in controluce – il mito del my body my choice, perché se fosse vero tante di noi sarebbero riuscite a salvare i figli che ora sono in Cielo.


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La fragilità è tremendamente onesta. Non facciamo miracoli, siamo piccoli, non siamo capaci di salvare neppure ciò per cui saremmo disposti a dare la vita. Dunque? Dunque si sta dentro questa obiezione e questo limite in pienezza di silenzio, che forse può farsi anche attesa … di una risposta che non sia il rimbombo della nostra voce.

Questo pezzo di vita reciso

Scopro che non posso compensare una perdita con altre fortune ricevute precedentemente, perché ogni progetto è un progetto unico e apporta un senso nella vita che non può essere sostituito con nessun sollievo.
E per quest , proprio per questo, ci sarà bisogno di molto tempo e di un rispettoso silenzio. Non per cancellare, ma per lasciare che questo pezzo di vita reciso e questo dolore, trovi il giusto posto nel nostro cuore e si posi, e riposi, senza l’ossessione dei milioni di perché che per ora ci inseguono pur sapendo che non otterranno mai la risposta che il nostro cuore meriterebbe. (da Francesca Barra – Instagram)

Usa il condizionale perché è gentile, Francesca. O forse non osa sperare. Il nostro cuore «meriterebbe» o «merita» una risposta? Merita. Anzi, forse il verbo meritare non è giusto ma il tempo indicativo presente sì. Possiamo dire che «implora» una risposta. Se fossimo perfetti e ci venisse fatto un torto, allora meriteremmo. Siamo pessimi e imperfetti, ma di fronte al male imploriamo. La cosa stupefacente è che una risposta esiste ed è stata portata proprio ad anime imbrattate come le nostre. Era il lontano 2013 e Francesca Barra da Assisi condivideva su Facebook questa intuzione dedicata al Papa:

Ho letto uno striscione che mi ha colpita moltissimo: Francesco ci sei mancato. Sì,anche a me,Francesco è mancato.Quando non sapevo dare un nome al mio dolore e alla mia gioia. Quando,durante le mie cronache, i miei servizi, ho raccontato spesso il dramma di vittime innocenti, chiedendomi: “Dio dove sei?”. E l’unica risposta possibile è stata:”non esisti”. Forse è arrivato il momento di ritrovarti.

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In questi ultimi giorni ha conosciuto l’innocenza ferita non più come inchiesta giornalistica,  ma per la morte di un figlio nel grembo. Una volta di più, mi sento di dire, è arrivato per la Barra il momento di ritrovare Chi sa mettere il sigillo della vita anche su ciò che sembra perduto. Non è perduto. Sfugge dalle nostre mani, è vero. Finisce e fiorisce nell’abbraccio eterno, però. Non è teoria, ma compagnia. A chiunque viva un dolore che pare insormontabile occorre augurare, e noi preghiamo per questo, che la presenza di quel Bambino di Betlemme diventi amico a cui aggrapparsi lungo la propria strada. La speranza coniugata al presente indicativo è stare qui, dentro il reale, con Lui. E non è un fotomontaggio.

Mi diede un po’ molto fastidio quando la signora Barra pubblicò un fotomontaggio di se stessa in versione mariana. Ma vorrei passare sopra l’istinto che mi farebbe sbrodolare solo un rimprovero sofferto.

Quella Madre non è un vestito di Carnevale e neppure un idolo. Non siamo noi a dover indossare il suo aspetto. Lei da sempre si mette nei nostri panni, sarebbe pronta a concederci molte più grazie di quelle che osiamo chiedere (lo racconta Santa Caterina Labouré). Lei è stata e sarà tutte le madri che perdono un figlio; perciò è – secondo le parole di Dante – colei che soccorre prima che noi le chiediamo aiuto. Proprio perché quel velo nero che oscura ogni pensiero e soffoca il cuore, Lei lo ha vissuto interamente da madre. Ecco, Lei è quella che ci traghetta indomita dal condizionale delle nostre paure che vorrebbero una consolazione al tempo presente indicativo di una speranza incarnata.


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