L’attrice in una recente intervista televisiva ha raccontato l’infanzia, la conversione e la sua esperienza con Jean Marie, il figlio che ha in affido. Claudia Koll ha partecipato martedì scorso alla trasmissione Vieni da me condotta da Caterina Balivo alle 14.00 su Rai1. La presentatrice l’ha intervistata attraverso il gioco della cassettiera: in ogni cassetto è contenuto un oggetto caro all’ospite che diventa l’espediente per raccontare aspetti intimi e preziosi della propria esperienza personale.
L’attrice con semplicità e trasporto ha parlato della sua infanzia trascorsa con la nonna Maria non vedente, del legame speciale con sua sorella, della nostalgia che provava nei confronti di sua mamma che, per problemi di salute, era spesso in ospedale e perciò lontana da casa. Parole consapevoli piene di tenerezza. Nel primo cassetto c’è un biglietto fatto da piccolina proprio per la madre, corredato da un disegno e da una canzoncina composta per lei. Poi viene mandato in onda un breve filmato del suo settimo compleanno e poco dopo una foto che la ritrae mano nella mano con sua sorella, entrambe bambine con cappotto pesante e sciarpa e le piante imbiancate dalla neve come sfondo.
Il rapporto con la sorella
“Questa foto con mia sorella è bellissima, perché racconta l’affetto che c’è fra di noi. Mamma non è stata sempre bene quando ero piccolina e quindi si è cementata molto la nostra amicizia. Ci siamo molto aiutate quando eravamo piccoline perché spesso io dovevo badare a lei e poi quando è cresciuta anche lei ha badato a me. C’è una forte solidarietà”.
Quando mia madre non c’era provavo un vuoto grande dentro al cuore
Il mio bigliettino ha un senso particolare per questo, perché quando mia mamma mancava c’era un vuoto grande e anche la poesia che le dedico lo dimostra. Scrivo che la sento vicino anche quando sono a letto:
“Mamma devo dirti una cosa, stanotte passandomi accanto mi disse il Bambin Gesù: “tua madre è un angelo col cuore pieno di bontà”, ed io la notte ti sognai. Arrivasti a me e mi rimboccavi le coperte e mi volavi intorno baciandomi”.
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Sono cresciuta con mia nonna Maria che non vedeva
Mamma appariva e spariva perché quando si ammalava veniva ricoverata in ospedale e quindi non c’era però io continuavo a sentirla vicina e per questo ogni volta che tornava era una festa e meritava un biglietto, un regalo, il nostro affetto. Io da piccolissima, subito dopo essere venuta al mondo, sono cresciuta con mia nonna Maria che era non vedente. È stata un’infanzia particolare: tutto avveniva attraverso il tatto. Lei per esempio mi teneva legata con un filetto di lana, eravamo legate l’una all’altra così: dai polsi. Se sentiva tirare il filo capiva che stavo agitando le manine, che mi ero svegliata o che non ero tranquilla e così se ne accorgeva e mi prendeva in braccio. Sono stata affidata a lei appena nata, perché mia mamma dopo un parto travagliato è stata tra la vita e la morte. E anche quando era incinta di mia sorella io sono tornata da nonna, perché per i suoi problemi di salute ha dovuto passare tutta la gravidanza a letto. Mia nonna mi ha dedicato il suo tempo e mi ha insegnato tante cose.
La vita non è vivere per se stessi ma per gli altri!
Un’infanzia non facile, piena di amore ma anche di sofferenza…
Prima era diventata l’alibi per dire “non ho avuto questo, non ho avuto quest’altro… mi comporto così perché non radici affettive”. Invece da quando ho incontrato il Signore guardo il bicchiere mezzo pieno ed ho una visione completamente diversa: io sono il risultato della mia storia e in questa storia anche le cose che sono sembrate meno semplici, più difficili da accettare, sono diventate la mia forza. Lo sai quando l’ho capito? quando sono andata al Cottolengo di Torino dove ci sono i disabili. Sono andata con un’amica, una ex modella, che doveva fare una commissione lì. Entro nella Famiglia dei Santi Innocenti e vedo un signore sulla carrozzina spinto da un sordomuto. Uno non camminava ma parlava e l’altro poteva muoversi ma non comunicare con la voce, assieme però andavano dappertutto, facevano piccole commissioni per la Casa, erano autonomi insieme. Io ho pensato che questo era quello che avevo vissuto con mia nonna, andavamo in giro, io le dicevo “stai attenta al gradino”, le indicavo la strada… ma lei rappresentava tanto altro per me. Cucinava, mi lavava, mi vestiva, faceva tutto per farmi stare bene. Questo viver l’uno per l’altro mi ha insegnato il segreto della vita. La vita non è vivere per se stessi ma per gli altri.
I miei esordi non hanno rispecchiato quello che era il desiderio del mio cuore
Gli inizi nel mondo del cinema sono diversi da quelli che Claudia aveva sempre sognato. Accetta di girare “Così fan tutte” di Tinto Brass illudendosi che in fondo poteva essere un buon trampolino di lancio per cominciare e per poter in seguito recitare in pellicole migliori.
Ma le cose non vanno così: dopo quel film per due anni non riuscì a lavorare perché le uniche proposte che le arrivarono puntavano sempre a mettere il risalto la sua sensualità.
I miei esordi non hanno rispecchiato quello che era il desiderio del mio cuore. Andai via di casa perché volevo fare l’attrice mentre i miei mi consigliavano di studiare medicina, io vengo da una famiglia di medici. Noi diamo sempre la colpa agli altri dei nostri errori, ma sono io che ho sbagliato, sono io che ho fatto un errore di valutazione. Ho pensato che avrei cavalcato l’onda per poi scegliere quello che volevo. Invece è stato difficile. In una pagina di diario che ho ritrovato dopo tanto tempo vi posso assicurare che ho scritto che mi ero accorta di ciò che avevo perduto: una certa pulizia nel linguaggio. Io mi accorgevo che da quando avevo girato quel film avevo cominciato ad essere maliziosa, a fare i doppi sensi, a dire parolacce, cose che non rientravano nella mia educazione. Io mi rendevo conto di aver sbagliato in base agli insegnamenti che avevo ricevuto.
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C’è un male che opera e che c’è un bene che salva, io ho scelto di stare con il Bene
Da un cassetto durante l’intervista l’attrice tira fuori una colomba e un rosario. A partire da questi due simboli comincia ad offrire la sua testimonianza: il ritorno a Dio, gli attacchi del maligno, la forza della croce.
Lo Spirito Santo è lo Spirito che ci trasforma, che ci fa nuovi, che ci cambia. Se io oggi sono una creatura nuova è grazie allo Spirito Santo. L’esperienza spirituale che ho fatto è particolare e non accade a tutti, mi ha permesso di capire e di cambiare. Di cambiare proprio rotta nella vita, di diventare consapevole che c’è un male che opera e che c’è un bene che salva, ed io ho scelto di stare con il Bene.
Dagli attacchi del demonio mi ha liberato la croce di Cristo
Grazie alla preghiera del Padre Nostro e ad un crocifisso che teneva distrattamente sul comò l’attrice riuscì ad uscire illesa dall’attacco del demonio.
Il male in quel frangente si è manifestato come delle funi, un’edera che saliva sulle gambe e mi stritolava e cercava di bloccarmi, paralizzarmi. Un attacco fisico: c’erano delle forze che mi stritolavano e mi facevano male. In quel momento mi sono rivolta a Dio e ho pregato il Padre Nostro. Proprio perché nel Padre Nostro noi diciamo “Liberaci dal male”, ovvero dal maligno. Mentre pregavo ho preso tra le mani un crocifisso che mi avevano regalato ma al quale io non avevo mai dato importanza. Ce l’avevo poggiato sul comò. In quel momento mi sono ricordata di un film che avevo visto da adolescente, L’esorcista, dove il sacerdote stringeva tra le mani la croce. Allora l’ho afferrato e ho cominciato a pregare. Quando la preghiera è diventata un grido forte dell’anima il Signore mi ha liberata, questa forza è sparita e mi ha avvolta una pace profonda nella quale ho riposato e mi sono calmata perché ero molto agitata. Ecco cos’è lo Spirito Santo che il Signore ha mandato, lo Spirito Liberatore, lo Spirito Consolatore. Nel tempo ho così cominciato a capire la potenza della croce, perché in quel momento mi sono solo resa conto che la mia preghiera era stata ascoltata ma non che Cristo aveva agito. Quindi ho dovuto fare un percorso nel quale piano piano ho fatto esperienza della potenza del crocifisso: Gesù ha vinto la morte e ha sconfitto il nostro peccato assumendoselo. Quando il maligno ha provato a riattaccarmi innalzando la croce spariva. Lì mi sono innamorata di Gesù Cristo. Io avevo cominciato un cammino di conversione, stavo tornando a Dio, avevo passato la Porta Santa, per questo il demonio mi attaccava. La Sacra Scrittura dice: “Figlio, quando vuoi seguire il Signore preparati alla tentazione”. Così ho scoperto che solo Dio poteva salvarmi e aiutarmi a liberarmi dagli attacchi del male e ho scelto Lui.
Jean Marie: ogni decisione importante per lui l’ho presa pregando
Quando la conduttrice chiede a Claudia Koll di parlargli di Jean Marie, il figlio originario del Burundi che ha in affido da dieci anni, l’attrice mostra immediatamente la sua gioia ma non nasconde le difficoltà incontrate anche per i problemi di salute del ragazzo. La bellezza della sua maternità però risiede nel completo affidamento ai piani di Dio, nel continuo chiedere a Lui di mostrarle la strada da percorrere per accudire il ragazzo. E il Signore che è generoso, le ha sempre risposto.
Io e Jean Marie preghiamo spesso insieme, a luglio compirà 26 anni e quando è arrivato in Italia ne aveva 16. Sono stati anni difficili, aveva bisogno di cure mediche e non era facile per me compiere le scelte giuste. Tutte le decisioni le ho prese pregando e ho avuto anche dei segni speciali e bellissimi che solo la fede ti fa leggere. Poco prima del suo arrivo in Italia mi trovavo in Polonia per un giro di testimonianze. Chiesi ai sacerdoti di pregare perché Jean Marie doveva venire per curarsi e a me spettava scegliere in quale struttura farlo accogliere. Se non avessi preso accordi prima con l’ospedale non lo avrebbero fatto uscire dal suo paese. Quindi mi domandavo se era meglio Roma, il posto migliore per me visto che ci vivo, o l’ospedale Casa sollievo della sofferenza di San Giovanni Rotondo, oppure un’ospedale a Napoli. Non sapevo cosa fare e allora chiesi al Signore di illuminarmi, di farmi capire quale fosse la scelta più giusta per lui. Salgo sull’aereo per tornare a casa e c’era una fila di giovani molti con la barba e uno di loro si rivolge a me dicendo: “Claudia vieni a sederti con noi, siamo tutti cappuccini”. A quel punto ho capito che il Signore mi diceva “portalo a San Giovanni Rotondo”. Lì è stato accolto e curato gratuitamente. Lui non mi chiama mamma, non ce la fa, ma non mi dispiace perché lo capisco. Jean Maria ha la mamma in Burundi che sente spesso e quindi è onesto che chiami lei mamma e non me.
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I figli non sono nostri neppure quando li generiamo nella carne, Claudia lo sa, e con la grazia di Dio prova ogni giorno a dare la vita per Jean Marie e per tutti i piccoli che incontra nel suo cammino.