Nel mio cammino e in quello degli altri con la loro libertà, dov’è la luce?Il mio cuore vuole conoscere i cammini di Dio. Voglio vivere la sua salvezza qui sulla Terra e al termine del cammino.
Quello che desidera il mio cuore è che Dio mi benedica e faccia sì che la mia vita abbia un epilogo felice: “Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, fra tutte le genti la tua salvezza” (Salmo 66).
Quando contemplo lo svolgersi di una storia, di un film, pretendo di essere Dio e mi invento il finale migliore, lo sviluppo ideale di ogni personaggio.
Non sono soddisfatto del finale che mi viene suggerito. Voglio mettermi nei panni di ogni protagonista per delineare la mia sceneggiatura, il finale che desidero.
Voglio che amino e non odino. Che diano la vita e non la tolgano. Che vinca il bene e il male sia più debole. Che l’assassino paghi i suoi debiti, e il povero ottenga quello che desidera.
Mi piace il lieto fine, non quello tragico. Preferisco gli eroi ai cattivi. Amo i personaggi nobili, onesti, fedeli a se stessi fino alla fine. Sostengo le loro decisioni incomprese dal mondo quando le prendono essendo fedeli alla loro verità.
Detesto il personaggio in cui il male finisce per vincere sul bene che c’è nella sua anima. Mi intristisco pensando che abbia rovinato la sua vita.
Vedo anche che non ci sono personaggi totalmente malvagi. Né personaggi completamente buoni. È come nella vita reale.
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In ciascuno c’è una serie di incongruenze e cadute. Un numero sproporzionato di errori e debolezze.
Dopo le cadute, però, molti si reinventano e tornano a lottare per quello in cui credono senza perdere la speranza.
Mi piacciono i personaggi coraggiosi, fedeli e veri. Non mi piacciono quelli con l’oscurità nell’anima e che guardano tutto con sospetto.
Le storie con un lieto fine mi commuovono. Altre volte vorrei cambiare alcune decisioni perché succeda qualcosa di diverso. Pretendo di essere Dio che interviene in certe vite.
Lo faccio nella finzione quando mi limito a guardare, ma cerco anche di farlo con la vita reale degli uomini che conosco. Pretendo di far vedere loro quale sarebbe il lieto fine se facessero questo o quello.
Voglio fingere di essere Dio e mostro loro dei cammini possibili. Come un gioco. Temo di usare male il potere che mi dà la loro fiducia. E di abusare.
E di voler giocare a fare Dio con loro. Volendo essere saggio senza esserlo. Mi lascio trascinare da quella falsa immagine che porto incisa nell’anima.
In essa vince chi è più felice, chi ha più potere, chi ottiene più cose. E fallisce chi non ci riesce. Valorizzo maggiormente il risultato positivo. La vita piena. Ma non capisco molto bene come funzioni la vita.
Vorrei prendere continuamente le decisioni giuste. O che le prendessero le persone che amo. E le proteggo in mille modi giocando a fare Dio. Non le lascio agire con libertà. Mi spaventano i loro fallimenti, i loro errori.
Dice Papa Francesco nella Amoris Laetitia: “Ogni mattina quando ci si alza, si rinnova davanti a Dio questa decisione di fedeltà, accada quel che accada durante la giornata. E ciascuno, quando va a dormire, aspetta di alzarsi per continuare questa avventura, confidando nell’aiuto del Signore”.
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Lo dice riferendosi alla fedeltà matrimoniale, ma si può dire lo stesso per qualsiasi cammino.
Mi alzo prendendo la stessa decisione di fedeltà, e mi addormento disposto ad alzarmi il giorno dopo sullo stesso cammino.
Spesso non sarà semplice. Perché l’infedeltà e la debolezza dell’anima fanno male. Il cuore coraggioso diventa codardo, e quello ferito si tinge di sentimenti negativi.
Non è facile perdonare quando sono stato ferito. È tanto complicato dimenticare e voltare pagina… Costa tornare ad amare quando l’amore sembra essere svanito. E la fedeltà diventa un giogo pesante e impossibile.
In qualche punto della mia storia sbaglio. Non scelgo la persona giusta. Prendo la decisione non corretta. E nella mia anima affiorano il rancore, l’odio, la passione, l’invidia.
Diceva padre Josef Kentenich: “Il demonio spinge gli uomini ad essere scontenti del proprio modo di essere: tutti gli altri modi di essere sono preziosi e benedetti da Dio. Solo il mio non lo è. Quanto sono tardo, quanto mi costa pensare!” [1].
Divento triste. E soffro. Un dubbio immenso che mi turba. O mi sento solo, o non so quale strada scegliere… Ce ne sono tante possibili.
Ho dubbi e paure. Non vedo la bellezza del mio cammino. E altri mi sembrano migliori. Quale sarà l’epilogo felice per la mia vita? Dove sarà quella vita piena a cui anelo e che pretendo?
Chiedo solo a Dio di mostrarmi il cammino. Di donarmi la sua misericordia. Di essere la luce che illumina i miei passi:
“La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello” (Apocalisse 21, 23).
Voglio la luce di Dio che mi mostri il cammino da seguire. Scelgo l’amore. Scelgo la misericordia. Un regno in cui la misericordia si imponga.
Mi sembra impossibile perché il cuore spesso grida vendetta, vuole giustizia e vive con rancore. E allora la misericordia sembra troppo blanda. Ma l’amore di Dio è così.
Gli chiedo di avere misericordia di me per i miei peccati. Glielo chiedo prostrato e umiliato. E spero che sia misericordioso, non troppo giusto.
Ma poi esigo giustizia. Voglio che i cattivi paghino per il loro male. Che gli assassini vengano giudicati. E che quanti nutrono odio nell’anima ricevano odio. E dimentico la misericordia ricevuta.
Cerco di far sì che i personaggi della mia opera fittizia facciano quello che devono fare. Ma io non lo faccio. Voglio che scelgano le cose giuste senza lasciarsi trascinare dalle passioni. Ma a me costa tanto farlo…
Pretendo di vedere la fine con una chiaroveggenza che non ho. Non sono saggio. Sono solo un uomo. Non conosco la fine di ciascuno. Non so quale sia la storia a lieto fine. Neanche quando guardo indietro al momento della morte.
Non so se una vita è stata più piena di altre. Non lo so. Forse non c’è un lieto fine per ogni vita. Ed è questo che desidera la mia anima. Un finale di pace. Un finale in cui vinca l’amore. Non sempre è possibile.
Oggi guardo la mia vita, quella di tanti. Vedo decisioni corrette ed errate. A volte la paura ha impedito di fare il passo giusto, altre volte l’amore ha accecato la ragione, ha annullato il dovere.
La fedeltà non sembra sempre facile. Ci sono decisioni difficili in mezzo al cammino. Per essere fedele a me stesso, a Dio nella mia vita. Alla sua luce che illumina i miei passi.
È giusto tutto quello che decido? Non lo so. Seguo i suoi passi su cammini incerti. Cerco di trovare la luce che renda tutto chiaro.
[1] J. Kentenich, Las fuentes de la alegría sacerdotal