Si ribaltano i rapporti di forza nel Governo Conte, con i due partner molto sopra e molto sotto i sondaggi. Il PD resiste, i neoradicali della Bonino restano a casa, tonfo dei popolari.Il modo migliore per analizzare una elezione è partire dai dati, solo attraverso quelli è possibile dire chi ha vinto e chi ha perso, chi è sopravvissuto e chi sostanzialmente muore, politicamente parlando. Non c’è dubbio alcuno che ci sia un grande vincitore che è Matteo Salvini e la sua Lega, e che ci sia un grande sconfitto che è Luigi di Maio e il Movimento 5 Stelle. Il quadro si complica parecchio quando si considera che i due governano assieme nell’effimero esecutivo a guida Giuseppe Conte. Come si spiega? Ci arriveremo, ma intanto osserviamo quel dato a cui alludevamo: i voti. Rispetto al 2018 è andata così.
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Ma la partita diventa ancora più chiara se si confrontano i dati del 2019 con le elezioni europee del 2014. Qui il travaso di voti è ancora più evidente e certifica che tutte le forze maggiori hanno perso voti e che questi sono stati intercettati in larga misura da Salvini e – in misura minore ma percepibile – da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.
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Il Centrodestra dei tempi d’oro di Berlusconi si può dire che è ormai archiviato, l’ipotesi di un governo dei “nazional-sovranisti” (Lega+Fratelli d’Italia) è alla portata dei due leader politici. Crescono entrambi, ed è una cosa non scontata, molti pensavano che i due partiti, lottando spesso nello stesso campo, si potessero pestare i piedi a vicenda, ma i dati dicono altro, l’affluenza bassa probabilmente li sovrastima (più bassa di un punto e mezzo circa) ma l’avanzata in termini di voti reali è lì, certificata dai dati. L’Italia s’è destra.
L’altro dato è che il PD è sempre di più il partito dei centri storici ad alto reddito e alta alfabetizzazione, la Lega si radica nelle periferie a basso reddito e bassa scolarizzazione. Della tradizionale presa della sinistra sui ceti popolari non c’è traccia, perché – in effetti – a loro non dice più nulla da tempo. E si vede nei risultati e nella loro distribuzione. Gauche caviar.
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La Lega di Salvini
Ormai la Lega è Salvini, la sua presenza debordante sui social, in TV, nel governo (dove si occupa e mette bocca su tutto) ha pagato in termini elettorali è diventato il nemico da battere e quindi ha polarizzato lo scontro: in una competizione proporzionale questo ha pagato e si porta a casa il 34% dei voti validi e – cosa non secondaria – l’ennesimo trionfo locale (ancora da certificare), la vittoria alle regionali de Piemonte. L’ultima roccaforte del centrosinistra al Nord è caduta, il PD resiste (e anzi avanza) solo nelle grandi città, ma non basta. Salvini vince su tutti: giornali, intellò, partiti alleati e nemici. Vince come uomo forte al comando, che parla come mangia (male stando alle foto di Instagram) ma che si fa capire e sa trasmettere un messaggio forte, che si può riassumere con il classico slogan leghista delle origini: padroni a casa propria. Il migrante è il nemico da fronteggiare, poco importa che sia un pezzente, è pericoloso in sé. Le ONG e il Terzo Settore sono i fiancheggiatori, poco importa se – ad esempio – la Caritas dia da mangiare in larga parte agli italiani che non arrivano a fine mese. L’Europa è il nemico più forte, ma anche quello contro cui il Capitano non ha speso parole altrettanto nette, lo sa che in realtà le cose saranno assai più complicate. A Giugno scatteranno il blocco delle rivalutazioni delle pensioni, la revisione degli 80 euro, e poi in Autunno la finanziaria dovrà disinnescare parecchi miliardi di euro di clausole IVA. Visto che il dominus del Governo adesso è lui, toccherà a lui dare delle indicazioni. Voluta la bici, si pedali.
La crolla la sinistra variamente intesa
Il PD di Nicola Zingaretti esiste, nel senso che il risultato è il certificato di non-sparizione. C’è un blocco di 6 milioni di voti che resiste, il neosegretario li ha mobilitati tutti, l’emorragia è contenuta e sotto la media dell’astensione. Di questi tempi 120 mila voti sono tanti ma non cruciali. Il nuovo stato maggiore del PD potrà dire che il partito è avanzato rispetto alle politica (dal 18 al 22%) in termini relativi, ma come dicevamo semplicemente ha confermato quei voti, di sicuro potrà crescere alle politiche, ma per ora è stasi e al massimo può ringraziare il rientro degli scissionisti guidati da Bersani, MdP era nel listone. Alla sua sinistra sparisce la sinistra radicale, il listone di Fratoianni (ex Leu) e Rifondazione Comunista fa un misero 1.7%, la scissione dai bersanian-dalemiani ha pagato, lontanissimi dal risultato del 2014 entrambe le formazioni di fatto dimezzate: dal 40% al 22 il PD, dal 4% a meno del 2 la sinistra radicale che non trova pace, cambiando nome, leadership e composizione praticamente ad ogni elezione nazionale. Senza pace.
Il Movimento 5 Stelle
Ormai sarebbe il movimento 2 stelle e mezzo, mai così in basso in una elezione nazionale, relegati a terzo partito con un misero 16%, l’ambiguità dei grillini, il loro guardare prima a destra, poi a sinistra, senza una identità precisa accanto ad un alleato prepotente, ma con le idee chiare, non sono stati in grado di imbroccare una sola idea vincente: qualcuno sa quale fosse l’idea dei 5 Stelle per l’Europa? Nessuno, e tanti hanno preferito infatti votare per chi una idea ce l’aveva: contro la UE? Con Salvini. Per la UE? Col PD. L’ignavia è un peccato grave del resto, e i flussi elettorali sono chiari: dimezzamento dei voti, tanti sono rimasti a casa, tanti sono andati altrove.
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I partiti rimasti fuori
Anche qui ci sarebbe da dire che c’è chi cresce e chi non è cresciuto abbastanza. Il più grosso tra gli sconfitti è il partito di Emma Bonino,+Europa, passato dal 2.5% delle politiche al 3.09% di ieri, nonostante i contributi ricevuti e una campagna spesso impegnata più a contendere i voti al PD che a spiegare perché votarli, non arriva al 4%. Nel gruppo europeo dell’ALDE non ci saranno italiani pare. In crescita in maniera inaspettata i Verdi, al 2.9% (mancavano da tempo alle elezioni) e il micro partito comunista di Rizzo che rosicchia uno 0.88% che rappresenta per loro un avanzamento importante, raddoppiando i voti assoluti rispetto alle politiche. Contenti loro. Al palo invece il Popolo della Famiglia di Mario Adinolfi che soffre la concorrenza della lista di Mario Mauro, Popolari per l’Italia e non riesce a confermare i voti delle politiche. Insieme raggiungono lo 0.7%, segno che per le famiglie tradizionali della politica italiana la situazione è complicatissima. Le forze afferenti al PPE (quelle che esplicitamente lo richiamavano nel simbolo) arrivano a stento al 10%, per lo più con il rachitico risultato di Forza Italia che si pianta all’8.8%, debacle per il Cavaliere che però “almeno” torna in Parlamento. A Bruxelles però.
La CEI sta alla finestra
Il risultato del PPE in Italia è in fondo il risultato della CEI, cioè dei Vescovi italiani e della loro capacità di influenzare direttamente o indirettamente il voto. Nonostante (o a causa?) l’intenso fuoco di fila da parte di molte personalità pubbliche della Chiesa che pure aveva fatto capire di non gradire una Lega debordante (cioé oltre il 30%), nulla è stato possibile. Del resto dal referendum sul divorzio in avanti, la presa dell’episcopato sull’elettorato italiano si è fatto via via più fragile e nonostante la Lega non voglia toccare nessuno dei temi sensibili cari al Magistero (Aborto, unioni civili, divorzio, stanno lì e lì rimarranno, lo ha detto Salvini) addirittura ampliando certi temi cari ai radicali (la Lega va matta per la legalizzazione della prostituzione) o altri che davvero difficilmente si conciliano con il Vangelo (riforma della legittima difesa, del porto d’armi) o con la giustizia sociale (tagli delle tasse ai ricchi), sicuramente hanno incassato voti di chi si definisce o si sente cattolico. Un paese pagano?
E adesso?
In Italia il Governo potrebbe continuare, ma prima o poi Salvini vorrà capitalizzare anche in patria questa crescita, le elezioni anticipate sono più vicine. In Europa invece la situazione è questa:
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Il blocco bipartitico dei socialisti e dei popolari europei non è più in grado di formare una maggioranza autonoma, entreranno quasi sicuramente i liberali pro-austerità dell’ALDE, al loro massimo storico (100 deputati, mai così tanti). Neppure è possibile una alleanza tra le forze euroscettiche e i popolari come pure qualcuno aveva ipotizzato, non ci sarà dunque né un governo di “centrodestra” (PPE ed euroscettici) né di “centrosinistra” (PSE, Sinistra, Verdi): entrambe le compagini non raggiungono la maggioranza assoluta nell’emiciclo. Unica opzione (salvo stravolgimenti) è quella neocentrista, come dicevamo, tra le tre grandi formazioni tradizionali.