Questa domenica sentiremo parlare dei primi cristiani, vedremo come siamo oggi e immagineremo cosa saremo un giornoQuesta domenica, Sesta Domenica del Tempo Ordinario Anno C, Gesù insegna agli apostoli delle lezioni importanti su come si rapporterà all’umanità.
Sono lezioni con ramificazioni sia per la storia cristiana che per la nostra storia personale.
Gesù dice loro che sta fondando una Chiesa, non dando loro una Bibbia.
Come afferma nel Vangelo, “il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”.
Parte di quello che realizzerà lo Spirito Santo è ispirare la Bibbia, ma la Prima Lettura mostra la cosa principale che farà.
I leader della Chiesa a Gerusalemme dicevano alla gente “Se non vi fate circoncidere… non potete essere salvati”. Di fronte al dissenso al riguardo, si decise che Paolo, Barnaba e alcuni altri dovessero salire a Gerusalemme per interpellare gli apostoli e gli anziani sull’argomento.
Seguì un concilio ecumenico e una sorta di lettera enciclica che stabilì la questione e comunicò un insegnamento chiaro. La Chiesa si comporta ancora oggi in questo modo. Con passi falsi, correzioni e pronunciamenti ecclesiali, guidati ma non dominati dallo Spirito Santo.
La Chiesa non è un club per persone perfette, ma un’oasi per gente imperfetta.
Gesù dice agli apostoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore”.
Il fatto che Gesù ci offra una pace speciale è una cosa splendida. Come ha affermato Hilaire Belloc, la prova che la Chiesa è guidata a livello divino “si potrebbe trovare nel fatto che nessuna istituzione meramente umana condotta con tale disonesta stupidità sarebbe durata neanche quindici giorni”.
Com’è chiaro nella discussione che ha avuto luogo nella Chiesa come riferisce la Prima Lettura, la vita quotidiana reale degli esseri umani nella Chiesa non è affatto pacifica. La pace non deriva da come vanno lisce le cose a livello superficiale, ma da una profonda calma sotto la superficie.
Gesù dà agli apostoli la notizia sorprendente e consolante per cui tutta la Trinità dimorerà in noi.
“Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”, dice loro.
La dimora di Dio era il tempio, con al centro il Sancta Sanctorum, in cui c’era la presenza di Dio. Gesù, però, come aveva promesso, abbatte questo concetto e lo ricostruisce. Il cristiano diventa il tempio in cui dimora Dio, e il Sancta Sanctorum nelle nostre chiese sono l’altare e il tabernacolo – il luogo in cui Gesù è realmente presente nella forma eucaristica del pane per poter diventare presente in noi.
La Seconda Lettura, in cui San Giovanni descrive la visione che ha avuto del Cielo, mostra cosa vorrà dire tutto questo quando piuttosto che essere la Trinità a dimorare in noi saremo noi a dimorare nella Trinità.
“L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio”, si legge.
“In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio”. Piuttosto, la città aveva “dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello”.
Attraverso la loro unione con Dio, esseri umani deboli e litigiosi sono diventati le basi robuste della Nuova Gerusalemme.
Tutto questo rovescia il modo umano di fare le cose.
Potremmo voler essere ciascuno il proprio interprete della Bibbia, e invece siamo membri della Chiesa che l’ha scritta e la interpreta.
Non dobbiamo essere cristiani “freelance”, che fanno tutto da soli. Ciascuno di noi deve diventare un tempio in cui Dio possa dimorare.
Non cerchiamo la nostra gloria personale, ma di essere il sentiero di luce in cui “la città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello”.
Quando arriverà la Pentecoste, tra due settimane, vedremo quanto può essere brillante quella luce.