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Il loro matrimonio è sopravvissuto 12 anni alla separazione grazie al Rosario

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Salvador Aragonés - pubblicato il 24/05/19

La storia d'amore, guerra e libertà dei croati Luka Brajnovich e Ana Tijan

Un’impressionante storia d’amore, guerra e libertà è quella che offre Olga Brajnovich nel suo libro Una odisea de amor y guerra (Madrid, 2019), in cui raccoglie parte del diario di suo padre Luka Brajnovich e le annotazioni di sua madre, Ana Tijan, entrambi croati.

A causa della guerra e del regime comunista di Tito nell’ex Yugoslavia, Luka e Ana dovettero vivere separati 12 anni, dopo aver convissuto per appena un anno e mezzo.

Olga, giornalista come suo padre, racconta alcune delle sue tante peripezie quando si è esiliato dall’ex Yugoslavia di Tito e quando è stato perseguitato dai fascisti italiani di Mussolini e dagli ustascia (organizzazione razzista croata sostenuta dai nazisti) di Ante Pavelich.

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Luka trascorse 12 anni senza vedere la moglie e la figlia Élica. Aveva avuto il coraggio di criticare Benito Mussolini e il regime ustascia.

Luka, laureato in Giurisprudenza, conobbe la moglie Ana a Zagabria, capitale della Croazia, dove studiava Filologia slava. Entrambi militavano in un movimento cattolico esigente, Domagój, fondato nel 1906.

Luka si distingueva per la sua fedeltà al Papa, la frequenza con cui si accostava ai sacramenti e alla Messa e le pratiche di pietà, la preghiera personale e la recita del Rosario.

Lui e Ana si innamorarono profondamente, e in piena II Guerra Mondiale, nel novembre 1943, decisero di unire le loro vite e si sposarono, mentre su Zagabria cadevano quasi ogni giorno le bombe.

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Gli ustascia chiusero il quotidiano Hrvatska Straza (Avanguardia Croata) perché aveva pubblicato un discorso di Papa Pio XII contro il razzismo ed esponeva la dottrina cattolica sulla dignità della persona. Luka lo pubblicò pur essendo stato avvistato dalla censura di non farlo.

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Una volta, Luka dovette fare un reportage lontano da Zagabria e prese il treno. Il convoglio venne attaccato da un gruppo di partigiani con mitragliatrici e bombe, perché si diceva che trasportasse delle armi.

Luka si salvò quasi per miracolo. Venne fatto prigioniero e fu spedito in un campo di concentramento. Condannato a morte, al momento dell’esecuzione vedendo che era un giornalista fu messo da parte e si salvò.

Cercarono di convincerlo a collaborare come giornalista con i partigiani, ma lui non accettò perché respingeva le idee comuniste dei partigiani, pur sapendo cosa lo aspettava: campo di concentramento, fame, freddo…

La sua vita nel campo consisteva in lunghe camminate scalzo e quasi senza cibo negli umidi boschi della Croazia. Decine e decine di chilometri. Notti intere.

Alla fine, a seguito di un attacco aereo di Mussolini riuscì a ottenere un salvacondotto e a fuggire dal campo. Arrivò a Zagabria, dove lo aspettavano la fidanzata Ana e parte della sua famiglia.

Luka e Ana decisero di sposarsi. Non c’è alcuna immagine delle nozze. Ana disse: “Probabilmente mi sono dimenticata di pensare a quel dettaglio. Perché? Ma se non sapevamo se saremmo tornati a casa vivi!”

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Luka trascorse con Ana un anno e mezzo, tra le bombe e il dolore per l’omicidio di suo fratello sacerdote e la morte di un altro fratello soldato. Alla fine della guerra nacque la piccola Élica.

A causa della persecuzione dei partigiani di Josip Broz, Tito, e non accettando di collaborare con i comunisti come giornalista, Luka prese con grande dolore la via dell’esilio nel 1945, pensando che presto sarebbe potuto tornare in patria per riabbracciare la sua famiglia.

Mentre in Europa tutti esultavano per la fine della guerra, per la famiglia Brajnovich e per molte altre si preparavano anni di dolore.

La storia di Luka e Ana è una storia d’amore, un amore così profondo che né la fame né la miseria o la distanza, la sofferenza o la solitudine, la persecuzione, i campi di concentramento o quelli di rifugiati sono riusciti a spezzare.

Era un amore fondato sulle radici profonde della fede in Dio e dell’amore per la Madonna di Fatima. È stata una storia di lotta, amore e libertà.

Luka era uno scrittore, un poeta, un giornalista… e un sognatore, mentre Ana era una donna risoluta, organizzata. Sono splendide le lettere di Luka alla sua “amata” dal campo di rifugiati, dove affrontava ogni tipo di difficoltà.

La distanza rafforzò l’amore tra Luka e Ana. Lei non volle mai nascondere la propria pratica religiosa, anche se non la favoriva sul lavoro e nella vita quotidiana, in cui veniva premiato l’ateo e quello che aveva cambiato fazione.

Per dare ancora più forza al loro amore stabilirono che entrambi avrebbero recitato ogni giorno il Rosario a una certa ora, e lo hanno fatto per anni.

Élica cresceva educata dalla madre nella religione cattolica, che smontava tutto l’ateismo imparato a a scuola (“Dio non esiste”), controllata dai comunisti.

Arrivò a fare la Prima Comunione. Purtroppo non conosceva suo padre, perché quando Luka era andato in esilio aveva appena quattro mesi. Lo conosceva soltanto attraverso la madre.

Ana sapeva che Luka era stato in Italia e poi in Spagna, e disse alla figlia di comunicare con il padre attraverso le stelle. Le diceva: “In questo momento papà vede le stesse stelle e anche lui pensa a noi”. Élica scrisse: “Ero convinta che le stelle fossero degli strani ‘postini’ del pensiero, e che se dicevo loro qualcosa lo avrebbero raccontato a mio padre, lì, da qualche parte, dove le stava guardando anche lui”.

Luka, nostalgico, scrisse dopo aver ricevuto una lettera di Ana: “La mia amata mi dice parole che mi incoraggiano, mi consolano e risollevano il mio spirito, mi danno la forza per sopportare, almeno per avere speranza, che non si dovrebbe estinguere. Mi chiedo spesso se ho meritato tanto amore. O è forse il premio per il grande amore che nutro per lei e che non diminuirà mai?”

Le lettere non furono mai regolari, o perché venivano intercettate da agenti e spie, o perché suscitavano sospetti nelle autorità comuniste.

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Luka riuscì finalmente ad abbracciare la moglie e la figlia nella stazione ferroviaria di Monaco (Germania) dopo che aveva compiuto un pellegrinaggio al santuario della Madonna ad Altötting.

Era l’ottobre 1956. Regalò alla moglie dodici rose rosse, in ricordo di ciascuno degli anni che avevano passato separati.

Luka non raccontava queste cose ai suoi figli. Era riservato e non ha mai odiato nessuno, racconta la figlia Olga. “Ha sempre perdonato chi gli aveva fatto del male, fin dal primo momento. Lottava ogni giorno positivamente contro l’odio”.

Luka Brajnovich è sempre stato un giornalista indipendente in un Paese in cui l’indipendenza in quell’epoca non era possibile. Dopo l’esilio, è stato per molti anni un professore molto amato dell’Università di Navarra e a Bologna, Roma e Madrid.

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Chi scrive è stato suo allievo e pensa che ricordando Luka si ricordino tutti coloro che hanno vissuto situazioni analoghe nella II Guerra Mondiale dietro la Cortina di Ferro.

Luka è morto a Pamplona nel 2001 dopo aver vissuto altri 45 anni con la sua amata Ana, morta nel 2017.

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