17 anni, mai entrata in chiesa e mai fatto il segno della croce. Poi incontra una compagnia di amici e si ritrova a dire: “Se la vostra felicità c’entra con Dio, anche io voglio essere sua”.
di Emma Neri
Prendete la periferia di una grande città, una qualsiasi: in Europa si assomigliano tutte, da Roma a Bruxelles a Madrid. Prendete poi una famiglia normale di oggi, dove i genitori lavorano duro, con un figlio, massimo due. L’ultimo dei loro problemi è la fede. È l’ambiente in cui è cresciuta Angela [il nome è di fantasia, ndr], 17 anni: mai entrata in chiesa, mai fatto un segno della croce, mai sentito parlare di Gesù. Poi però è successo qualcosa.
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Quando arriva negli uffici della parrocchia di San Juan Bautista, a Fuenlabrada, anche l’inverno si accende. Si presenta con le mani affondate nella giacca rossa, i lunghi capelli neri che incorniciano il volto gentile, una gioia che gli occhi e la bocca non bastano a contenere. Una ragazza di oggi, giovane ma non sprovveduta. Conosce il mondo e ha già scelto il suo ruolo: il prossimo anno andrà all’università per studiare Ingegneria civile. Racconta volentieri, Angela: di quella prima volta, a maggio, quando, invitata da un’amica a una cena dove non conosceva nessuno, si è sentita “abbracciata e amata da tutti. Una serata impressionante”. Anche perché a tavola si parla di argomenti importanti, di quelli che a casa sua suscitano disagio: fede, destino. La parola più grossa che lei conosce è amicizia. E anche di questo, si discute:
Non avevo mai pensato che le amicizie fossero qualcosa che ti viene regalato. Pensavo capitassero, e basta.
La sera, la riaccompagna a casa lo stupore, insieme al ricordo delle parole di quel ragazzone, Stefano, il primo prete incontrato nella sua vita: “Puoi venire quando vuoi” le ha detto. “Questa è casa tua”. Ascolta, Angela, e osserva:
Mi aveva colpito l’amicizia che c’era tra loro. Conoscevo tanta gente ma non avevo mai vissuto un sentimento così profondo. Mi stupiva che anche una persona quasi sconosciuta, all’interno dell’amicizia che vivevano, potesse volermi bene e condividere la mia vita.
“Era una mitragliatrice di domande, semplicissime ma vere” ricorda don Stefano Motta. “Non sapeva niente e chiedeva tutto: ‘Perché pregate in questo modo? Che preghiere sono? Perché il prete apre le braccia sull’altare? Cosa significa il segno della croce?’. Era attratta da tutto quello che vivevamo”. Gli inviti si moltiplicano, cene, serate. E lei dice di sì. Quasi sempre. “La scuola di comunità, no. Perché il loro modo forte ed esplicito di parlare di Cristo mi faceva quasi paura”.
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Poi è la volta di una vacanza-studio in montagna. A toccarle il cuore, è una testimonianza:
Si presenta questo ragazzo e ci racconta di come la morte di suo fratello sia stata, per lui e per tanti, un’occasione di bene. La sua storia mi ha colpito tantissimo. Ho provato una specie di invidia, ho pensato: voglio vivere come vivi tu”. Arriva l’estate e Angela accetta l’invito a un campeggio di Gs. Ha un po’ di timore, le hanno detto che ci saranno ragazzi da tutta la Spagna: “Io conoscevo solo quelli di Fuenlabrada, una quindicina di persone in tutto.
Ma un’amica promette: “Sarà bellissimo. Vedrai cose che ti apriranno gli occhi”. E lei si fida. Oggi ne parla con profonda commozione: “Quella settimana ha segnato un punto di non ritorno nella mia vita. C’è un prima e un dopo”. La stessa amica, durante una notte passata all’aperto, in montagna, le chiede: “Non provi la curiosità di sapere che cosa c’è all’origine della bellezza che viviamo?”. “Aveva ragione anche quella volta” dice Angela.
Desideravo vivere tutto al cento per cento, ad esempio la messa, dove andavo forse per la terza volta nella mia vita: e le due volte precedenti erano state alla vacanza-studio. Quando sono tornata a casa, avevo dentro una pace e una felicità mai conosciute prima.
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Diventa inevitabile parlarne con i genitori. Anche perché Angela ha deciso che vuole farsi battezzare. “Non è stato semplice. Ho detto loro che Gesù stava diventando una presenza importante nella mia vita. Mi hanno risposto: ‘Se questo ti fa felice, stai lì’”. Poi ne parla a don Stefano: “Voglio stare con voi. Voglio ricevere il battesimo”. “Non hai bisogno di farti battezzare per stare con noi. Perché desideri il battesimo?”. “Perché non mi basta una settimana con voi, una cena. Voglio quello che vivete voi. Se c’entra con Dio, voglio essere sua”. L’anno appena trascorso l’ha profondamente cambiata, racconta.
“Prima, davanti a un problema qualunque, anche solo una discussione con i miei genitori, volevo morire. Adesso, so che se succede qualcosa è per una ragione. Posso affrontare tutto quello che accade. Don Tommaso mi ha detto, una volta: ‘Dio non ti toglierà mai niente se non per accrescere il bene nella tua vita’. Ho solo 17 anni e non so nulla. Ma se non fossi venuta qua, non avrei iniziato questo cammino”.
E il battesimo, cosa cambierà ancora? “Fisicamente, poco. Continuerò a fare quello che faccio. Ma credo che sarà qualcosa di importante, un’esperienza intensa. Soprattutto sarà ufficiale, anche formale. Inizierò a fare le cose per bene”.
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Un’ultima domanda, quasi d’obbligo qui a Fuenlabrada. Che cosa hanno di speciale questi preti, venuti da lontano per incontrare ragazzi come te? “Un giorno, con quelli di Gs, siamo andati ad aiutare chi lavorava con i ragazzini delle medie, i Cavalieri. C’erano un sacco di preti vecchi. E tra me ho detto: ‘Che strano!’ Avevo conosciuto solo loro. Credevo che i preti fossero tutti giovani!”.
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