L’idea è prendere alcuni giovanissimi, ossessionati dai selfie e dal piacere fisico, e scaraventarli in un universo “in cui l’edonismo viene soppiantato dall’umiltà”. Luci e ombre di questo esperimento televisivo inglese.
Visto così, ha l’aria di essere una di quelle cose così trash, ma così trash, che a un certo punto fanno il giro dall’altra parte e diventano perle preziose.
Non ho visto il programma, non come sia, non ho un’idea precisa di cosa aspettarmi, ma non ho potuto resistere alla tentazione di googlare il titolo. La mia prima domanda, molto terra a terra, era “ma sarà vero?”. È tutto vero, e vi dirò di più: non solo le suore sono reali suore in carne ed ossa, ma sono pure suore cattoliche. Per la precisione, sono Figlie della Divina Carità, piccola congregazione religiosa fondata in Austria nel 1868 e presente, in Italia, a Grottaferrata, dove le sorelle gestiscono una casa di riposo per anziani.
A Swaffham, nel Norfolk, le suore gestiscono invece una scuola dedicata al Sacred Heart. E proprio lì si sono svolte le riprese del reality Bad Habits, Holy Orders, trasmesso inizialmente nel Regno Unito su Channel 5, e riproposto oggi in Italia da Real Time.
A questo punto, ero curiosa e non poco. Il processo mentale per cui una congregazione religiosa avrebbe dovuto accettare di prestarsi a una siffatta roba, mi era ignoto (e francamente incomprensibile). Ho deciso di googlare un altro po’ e mi sono imbattuta in due pagine che hanno chiarito la genesi (e gli intenti) dell’opera, dal punto di vista della produzione TV e della comunità religiosa.
L’idea per questo format nasce nell’estate del 2016, quando l’executive producer della Crackit Productions si imbatté in un articolo secondo il quale, nel Regno Unito, il numero di vocazioni femminili in seno alla Chiesa Cattolica ha toccato il picco massimo mai registrato negli ultimi trent’anni. Per contro, secondo un sondaggio, solo il 17% dei millenials sarebbe pronto a dichiarare di avere dei forti valori morali.
I produttori si domandarono se ci fosse un modo per mettere in correlazione questi due dati, il che li portò a sollevare la cornetta per contattare l’Ufficio Nazionale Vocazioni della Chiesa Cattolica. Per ammissione stessa di Channel 5, don Christopher Jamieson, OSB e suor Elaine Penrice, FSP – i due derelitti che stanno a capo di questo ufficio – ricevono una media di due richieste a settimana da parte di troupe televisive che vogliono ospitare religiosi cattolici in TV. E, in genere, scartano tutte queste richieste senza nemmeno passare dal via.
In qualche modo, però, i ragazzi della Crackit Productions riuscirono a dire tutte le paroline magiche volte a catturare l’attenzione di don Christopher. Il sacerdote trovò non poco intrigante l’idea che gli veniva prospettata: prendere alcuni giovanissimi, ossessionati dai selfie e dal piacere fisico, e scaraventarli in un universo “in cui l’edonismo viene soppiantato dall’umiltà”, per citare le parole di Channel 5. All’atto pratico, a don Christopher fu chiesto di sondare il terreno per trovare un convento femminile, con suore di differenti fasce d’età, disposte a ospitare per un certo periodo di tempo cinque ragazze che volevano cambiare vita.
Prevedibilmente, trovarlo non fu facile: l’ultima volta che un convento inglese aveva aperto le porte a una troupe televisiva era stato dieci anni prima. I produttori incontrarono oltre cento ordini religiosi diversi, e a un certo punto vennero in contatto con le Figlie della Divina Carità. Le quali, in effetti, nutrivano una certa curiosità per il progetto.
La Sacred Heart School, essendo un convitto tutt’oggi funzionante, aveva senz’altro gli spazi adatti per ospitare le fanciulle. Le famiglie degli studenti non si erano dette contrarie, e gli alunni erano anzi prevedibilmente elettrizzati all’idea di poter finire in TV come comparse di un reality. Alcuni membri dello staff, inoltre, guardavano entusiasticamente a questa occasione, ritenendo che la partecipazione a un programma TV sarebbe stata una grandiosa pubblicità a costo zero per la scuola, che si trovava ad affrontare una grave crisi economica (un dettaglio, questo, che mi ha fatta ridere fino alle lacrime, conoscendo la realtà della scuola cattolica in Italia. Da domani, Grande Fratello per tutti).
Per contro, c’erano ovviamente anche opinioni radicalmente opposte. C’era chi riteneva che ospitare cinque post-adolescenti ribelli, promiscue e semi-alcolizzate all’interno di un collegio cattolico potesse avere, come dire, risvolti educativi non esattamente edificanti. C’era anche il timore che la produzione potesse mettere in cattiva luce le suore (e, di conseguenza, la Chiesa), facendole apparire eccessivamente rigide, demodé e fuori dal mondo.
Dopo alcune riunioni comunitarie e intense sessioni di preghiera, le suore decisero di tirarsi indietro, nonostante un certo feeling che si era venuto a creare nel tempo con la Crackit Productions. Talmente grande era il feeling che, quando la Crackit si trovò nella necessità di girare un video di prova da sottoporre a Channel 5, interessato a comprare il format, le suore – che pure si erano formalmente tirate indietro – decisero di aiutare i produttori prestandosi per la sessione di prova. Il risultato fu che Channel 5 si innamorò follemente di questa piccola comunità, mix perfetto di suore con età, caratteri ed esperienze di vita differenti e complementari. E inoltre, provviste di abito religioso, a differenza di altri ordini, il che fu un dettaglio non ininfluente.
E insomma: Channel 5, determinato ad avere a tutti i costi le suorine, le “corteggiò” e le rassicurò al punto tale che la comunità decise infine di accettare.
Partì il casting delle ragazze da coinvolgere nel programma. Don Christopher fu presente a tutte le audizioni ed ebbe voce in capitolo sulla scelta finale delle partecipanti, a mo’ di garanzia extra per le suore coinvolte – anche perché era previsto dal format che le religiose e le ragazze si incontrassero per la prima volta in assoluto davanti alle telecamere, senza alcun tipo di conoscenza pregressa.
Le suore richiesero, e ottennero, di potersi prendere del tempo privato con le ragazze anche al di fuori delle riprese, per affrontare con loro temi troppo delicati da mandare in onda.
Channel 5, per contro, mise fin da subito in chiaro che lo show non avrebbe dovuto essere uno spottone del cattolicesimo – anche se, alla fin fine, la trasmissione uscì fuori persino “troppo cattolica” per i gusti dell’emittente. Man mano che procedevano le riprese, ad esempio, la produzione si rese conto che non sarebbe stato né realistico né sensato chiudere lo show senza toccare temi importanti come i voti di castità, povertà e obbedienza. E nel momento in cui furono diffuse le fotografie del new look delle ragazze dopo il restyling conventuale, Channel 5 rese esplicita la sua perplessità, domandandosi se il tutto non stesse virando un po’ troppo verso il bigotto.