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“Professione?” mi chiede. “Casalinga” rispondo. “Ah, quindi è disoccupata!”

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Rachele Sagramoso - pubblicato il 20/05/19

Esistono le donne di serie A e quelle di serie B? Le prime lavorano e percepiscono uno stipendio, quindi hanno un valore economico. Le seconde no poiché si dedicano a qualcosa di inutile, come i bambini.

“Professione?” mi viene chiesto dall’impiegata (call center).
“Casalinga” rispondo io.
“Ah quindi è disoccupata” mi parla lei con espressione vaga.
“No, mi occupo della mia famiglia” sottolineo sorridendo.
“Io non posso scrivere ‘casalinga’: metto ‘in cerca di prima occupazione'” afferma cominciando a sbuffare.
“Mentirebbe – la correggo – e non è giusto farlo” . “Se Lei è casalinga, mi scusi, ma per lo Stato e la comunità, Lei non esiste” afferma la Signora. “Mi scusi, mi sta dicendo che fare la mamma e occuparsi della casa mi fa essere meno importante di chi riceve uno stipendio?” m’informo. “Certo! Lei non fa niente. Lei non è nulla, se non guadagna” chiude la discussione l’impiegata.

Esistono le donne di serie A e quelle di serie B?
Le prime lavorano e percepiscono uno stipendio, quindi hanno un valore economico.
Le seconde no poiché si dedicano a qualcosa di inutile, come i bambini. Questo è ciò che mi hanno insegnato le donne della generazione di mia madre (classe 1955) e di mia nonna (classe 1928): donne che mi hanno sempre detto che la realizzazione professionale è fondamentale, donne che hanno abbandonato la propria prole e la propria casa alla cura di altre persone (per lo più donne). Donne che hanno sempre affermato che se non mi fossi realizzata laureandomi e percependo uno stipendio, sarei finita schiava ignorante.




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E invece quanto sono ricca… Quanto sono importante… Fare la madre è fondamentale non solo quando i bambini sono piccoli, ma quando crescono e quando vivono la fase più bella, quella dell’adolescenza, durante la quale la madre e il padre sono fondamentali. Per lo Stato io non ci sono, non sono importante. Allora chiariamo un concetto: fino a che la cultura affermerà che fare la madre “non è nulla”, non si compirà un passaggio culturale necessario. Fino a che la crescita di un bambino non sarà vista per quella che è, ovvero la maturazione di un cittadino, mettendo il bambino al centro della cultura, non avverrà il “salto di qualità”. Messo il bambino al centro, fare la madre potrà solo essere visto come uno dei più importanti gesti che una donna può compiere nella sua vita. La maternità riceverà giusto valore ed essere madre (biologica, affidataria, adottiva, spirituale) sarà premiato da rispetto e gratitudine.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA RACHELE SAGRAMOSO

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