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Fraternità universale: La Civiltà Cattolica torna con calma sul Documento di Abu-Dhabi

UAE-VATICAN-RELIGION-POPE-ISLAM

Vincenzo PINTO / AFP

Le pape François salue le grand imam égyptien Azhar Ahmed Al-Tayeb après avoir signé des documents lors de la réunion de la fraternité humaine au Mémorial des fondateurs à Abu Dhabi le 4 février 2019. - Le pape François a rejeté la "haine" et violence "au nom de Dieu.

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 16/05/19

Il professor Felix Körner – titolare fra l'altro della cattedra di “Teologia del dialogo interreligioso” in Gregoriana – ha firmato un denso commento al testo firmato insieme da Papa Francesco e dal Grande Imam Ahmed al-Tayyeb il 4 febbraio scorso negli Emirati Arabi Uniti. Ne passiamo in rassegna alcuni passaggi salienti.

Nel numero 4054 de La Civiltà Cattolica, in uscita dopodomani, il professor Felix Körner torna da par suo sul documento di Abu Dhabi, proponendo una riflessione incentrata sul concetto di “Fratellanza umana” (codesto è pure il titolo dell’articolo).

Qualcuno ricorderà che anche noi, si parva licet magnis comparare, avevamo trattato l’argomento, e in realtà moltissimi avevano fatto lo stesso già all’indomani del 4 febbraio 2019, quando Papa Francesco e il Grande Imam di al-Azhar avevano pubblicamente sottoscritto il documento congiunto sulla “Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”.




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Il professor Körner è attualmente docente dei corsi su Religione e politica e Teologia del dialogo interreligioso (oltre che di Sacramentaria II) nella Pontificia Università Gregoriana in Roma: donde il lettore già capisce che tipo di profilo accademico abbia prodotto il commento pubblicato sulla nota rivista dei gesuiti. Più nello specifico, la sua abilitazione all’insegnamento è stata conseguita dieci anni fa in Teologia fondamentale e Teologia delle Religioni: già a partire dall’aprile 2001, però – dunque prima degli attentati dell’11 settembre – Körner studiava lingue islamiche in Siria e in Turchia. Dal 2002 al 2008 ha collaborato inoltre con la Facoltà di teologia islamica di Ankara. A ciò si aggiunga che dal 2013 al 2017 il gesuita è stato membro del Consiglio Pontificio per il Dialogo Interreligioso, in ispecie nella Commissione per le Relazioni Religiose con i Musulmani. Il curriculum si estende ancora molto, ma quanto si è detto è forse l’indispensabile per meglio apprezzare il contributo sul documento di Abu Dhabi.

Osservazioni iniziali di Felix Körner

Nel quale ritroviamo molte cose già dette da molti in molti contesti – come era ovvio – ma pure alcuni affondi che difficilmente possono trovarsi fuori da un’esperienza ormai quasi ventennale.




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Prima ancora di parlare del documento, Körner ricorda che esso è frutto di una relazione personale tra le due personalità che l’hanno sottoscritto, ossia Papa Francesco e Ahmed al-Tayyeb: se il Santo Padre è grossomodo noto a tutti i cattolici, lo stesso non può dirsi dello sceicco – il cui titolo è vitalizio e viene conferito dal governo egiziano –, che pure dopo il tramonto del Califfato sunnita (1924) rappresenta la più alta autorità morale del frastagliato mondo islamico non-scita. Körner ricorda che

Al-Tayyeb è nato nel 1946, ha effettuato la propria formazione classica ad al-Azhar e possiede un dottorato europeo, ottenuto alla Sorbona di Parigi. È diventato Grande imam nel 2010. Ha ripetutamente auspicato una modernizzazione dell’islam. Il fatto che egli si pronunci contro l’Illuminismo e la laicizzazione dello Stato va inteso nel senso che per lui essi equivalgono al tentativo di escludere la religione dalla sfera pubblica e ad accettare che i governanti controllino le comunità religiose. Al-Tayyeb è favorevole a una dottrina islamica più aperta nei contenuti e nella forma: su questo punto la sua posizione è indubitabile, dal momento che l’ha dimostrata coraggiosamente ospitando rinnovatori islamici al Cairo per consultazioni, sebbene ciò gli abbia attirato critiche.

Felix Körner, Fratellanza umana. Una riflessione sul Documento di Abu Dhabi, in La Civiltà Cattolica 4054, 313-327, 314

Nel tracciare il retroterra del documento Papa Francesco ha ricordato di quando, nella domenica di Pentecoste 2014, Papa Francesco ha ricevuto il leader palestinese Maḥmūd Abbās e l’allora presidente israeliano Shimon Peres nei Giardini Vaticani, e a loro ha ricordato che la spirale dell’odio potrebbe essere spezzata

con una sola parola: “fratello”. Ma per dire questa parola dobbiamo alzare tutti lo sguardo al Cielo, e riconoscerci figli di un solo Padre.

Florilegio magisteriale (dal Vaticano II in qua) e lezione coranica

Ricca e interessante è la sezione dell’articolo in cui Körner raccoglie i documenti del Magistero Pontificio e Conciliare sulla fraternità, e vale la pena riportarne un passaggio poiché molti degli attacchi allo stesso documento sembrano viziati dalla pregiudiziale comprensione di uno stravolgimento del portato tradizionale cattolico:

Verso la fine della sua enciclica Pacem in terris (PT), Giovanni XXIII ha rivolto a Cristo una preghiera pressante per la pace; poi ha affermato: «In virtù della sua azione, si affratellino tutti i popoli della terra» (PT 91).

Il Concilio Vaticano II, nella Gaudium et spes (GS), ha apprezzato l’operato delle istituzioni internazionali come strumento di sviluppo e di riconciliazione, dichiarando: «La Chiesa si rallegra dello spirito di vera fratellanza che fiorisce tra cristiani e non cristiani, e dello sforzo d’intensificare i tentativi intesi a sollevare l’immane miseria» (GS 84). E la medesima Costituzione pastorale, riassumendo la propria proposta nelle parole di chiusura, afferma che la Chiesa «intende aiutare tutti gli uomini del nostro tempo – sia quelli che credono in Dio, sia quelli che esplicitamente non lo riconoscono – affinché, percependo più chiaramente la pienezza della loro vocazione, rendano il mondo più conforme all’eminente dignità dell’uomo, aspirino a una fratellanza universale poggiata su fondamenti più profondi, e possano rispondere, sotto l’impulso dell’amore, con uno sforzo generoso e congiunto agli appelli più pressanti della nostra epoca» (GS 91).

Già sei settimane prima, al termine della Dichiarazione Nostra aetate (NA) sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, il Concilio si era espresso con parole simili: «Non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio» (NA 5).

F. Körner, Fratellanza umana, 315-316

Importanti anche i richiami al magistero dei pontificati più recenti, ma Körner mette onestamente le mani avanti: quanto Francesco diceva ad Abbas e Peres è accettabile, per un musulmano, solo in senso analogico:

Essi, a loro volta, usano formule simili, ma non le motivano con l’idea che siamo tutti figli di Dio. Infatti, non chiamano Dio «Padre», perché il termine appare loro troppo umano. Nel Corano, ne danno ragione Adamo ed Eva: «O uomini, vi abbiamo creato da un maschio e una femmina e abbiamo fatto di voi popoli e tribù, affinché vi conosceste a vicenda» (Sura 49,13). Dalla comune discendenza di tutti gli uomini lo stesso versetto deduce immediatamente la loro uguaglianza: la dignità non è legata a una discendenza superiore, ma piuttosto al fatto che, «presso Dio, il più nobile di voi è colui che più Lo teme».

F. Körner, Fratellanza umana, 317

Le piccole polemiche e la grande contestazione

Il Professore illustra allora con succinta compendiosità la struttura del documento, per poi dedicarsi a commentare alcune fra le polemiche di cui il testo (da parte cattolica) si è rivelato suo malgrado occasione prossima. E si va da quanti affermano che il documento non giustifichi le proprie affermazioni con citazioni tratte dalle Scritture (cristiane, s’intende) all’accusa di elitismo (sic!), passando per quella di essenzialismo e per la vibrata protesta che dichiara il documento troppo distante dalla Rivelazione ma insostenibile senza una teologia positiva. L’ultima critica raccolta è l’accusa di star costruendo una “santa alleanza” (o “patto d’acciaio”, a seconda dei periodi di riferimento personale…) tra cristiani e musulmani escludendo i non credenti e i credenti di altre religioni.




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Ciascuna di queste contestazioni viene agevolmente risolta con un capoverso, ma un paragrafo a parte è dedicato al tema della diversità religiosa nella storia della salvezza, di cui anche noi scrivemmo e che sembrò in qualche modo inquietare perfino alcuni eccellentissimi o eminentissimi prelati: Körner non sembra appassionarsi al tema di come secondo una teologia cattolica le religioni possano originare da una “sapiente volontà divina”, difatti la questione viene programmaticamente relegata in un terzo di tre punti, sciolto con una certa rapidità. Più spazio e più attenzione sono invece dati al primo dei tre, ossia all’accettabilità dell’espressione incriminata da parte musulmana. E lì si legge un passaggio indubbiamente degno di sottolineatura:

Ma la visione coranica della storia della rivelazione comprende anche il fatto che i vari libri rivelati sono stati trasmessi a uomini «profeti», come Mosè, Davide, Gesù e Maometto, e che ogni libro istituisce una «via» differente, anche se sostanzialmente identica quanto al contenuto. Così, secondo la Sura, Dio si rivolge a Maometto parlando delle confessioni apparentemente diverse degli ebrei e dei cristiani, e dice del Corano: «E su di te abbiamo fatto scendere il Libro con la Verità, a conferma della Scrittura che era scesa in precedenza […]. A ognuno di voi abbiamo assegnato una via e un percorso. Se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità. Ma vi ha voluto provare con quello che vi ha dato. Gareggiate in opere buone» (Sura 48).

F. Körner, Fratellanza umana, 326

In merito alla teologia cattolica, come accennavamo, Körner si limita invece ad evocare la prossimità e la dipendenza da Nostra Ætate 5: più suggestivo – e anzi ci sarebbe piaciuto leggerne uno sviluppo maggiormente diffuso – il passaggio che evoca le tipologie bibliche che illustrano quanto Dio riconduca a maggior bene comune perfino gli strappi dovuti ai peccati dei singoli uomini.

Ma quando il Documento sulla fratellanza parla di «una sapiente volontà divina», suggerisce qualcosa di più. Molte volte il governo della storia da parte di Dio porta a situazioni che a noi paiono incomprensibili. Perché Giuseppe fu venduto in Egitto dai fratelli gelosi? Perché Cristo è stato crocifisso? Perché non tutti riconoscono la pienezza della salvezza in Cristo? Alla fine, Giuseppe rivelerà ai propri fratelli: «Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita» (Gen 45,5). Dio ha agito anche attraverso la gelosia di quei fratelli.

F. Körner, Fratellanza umana, 327

In tal senso dunque la “sapiente volontà di Dio” non è tale solo in quanto permissiva (concetto dipanato su queste pagine e poi più volte confermato dallo stesso Santo Padre), ma anche in quanto ordinatrice e provvidente.

Due osservazioni a margine

Il testo del professor Körner è ricco e arricchente: giunge a riaprire una discussione parzialmente già dismessa (i tempi folgoranti delle dialettiche al tempo dei social!) ma lo fa con un apporto che rende utile il tutto. Due margini di perfettibilità ci permettiamo qui di sollevare, uno con una domanda e uno con una questione esegetica.


Ahmed Al-Issa

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La domanda è questa: tornando da Abu Dhabi Papa Francesco disse ai giornalisti che non era personalmente a conoscenza di polemiche sul documento nella ricezione in ambienti musulmani, ma che poteva facilmente immaginarsele presenti. Ecco, poiché l’autore dispone di una lunga e accurata conoscenza di molti di quegli ambienti (e difatti l’articolo pullula di considerazioni “ex altera parte”), sarebbe stato interessantissimo leggere di una rassegna di tali polemiche.


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La questione esegetica riguarda il secondo dei due riferimenti (il primo è Mt 12,50) rapidamente offerti dal Professore come parterre scritturistico al tema della fraternità universale: «Onorate tutti, amate la fratellanza» (1Pt 2, 17). A leggerla così, sembra effettivamente che all’interno dei due membri posti in parallelo il sostantivo “fratellanza” rimandi al pronome “tutti” come i due verbi si riecheggiano l’un l’altro; ma così il versetto è citato solo a metà, perché la parte finale prosegue specularmente: «Temete Dio, onorate il re». A questo punto i membri non sono più due ma quattro, e la seconda coppia è decisiva nell’indicare – mediante i verbi e mediante i sostantivi – come anche nella prima la scansione non sia quella di un merismo, ossia come la seconda parte non vada a reiterare e rafforzare il concetto della prima, ma ad esprimerne una sua versione ridotta. Come infatti il re è infinitamente inferiore a Dio, e come c’è una distanza altrettanto infinita fra il timore reverenziale che si esprime nel rispetto delle istituzioni e il φόβος [phobos] della creatura davanti a Dio; così c’è pure una distanza fra l’“onore” che si deve a tutti e l’“amore” che va riservato alla “fratellanza” (o “fraternità”). Infine, la disposizione chiastica dei quattro verbi, con “τιμάω” [timao] in prima e quarta posizione ci porta a ritenere che l’autore avvicinasse decisamente il dominio di “tutti” a quello del re e la pertinenza della “fraternità” a quello di Dio. Insomma, sembra discutibile che per l’autore di questo testo tutti gli uomini siano fratelli.


WATU WOTE

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Ma la ragione per cui vale la pena sottolineare questa indecidibilità è che nell’oscillazione storica del semantema di “ἀδελφότης” [adelphotes] l’uso – ancora per secoli impiegato perfino come formula di cortesia (penso all’epistolario di Sinesio di Cirene) – avrebbe presto portato la parola a indicare il solo consesso dei cristiani (già in Eusebio di Cesarea!) e poco dopo addirittura la vita monastica (per esempio come grecismo nelle lettere di Gregorio Magno), insomma gruppi via via più ristretti.

Concludendo

Né desta stupore, ché la fraternità è sempre stata predicata in molti modi, stricto sensu e poi in accezioni via via più analogiche: ancora oggi un religioso che parla della “sua fraternità” indica il convento (o l’equivalente) in cui vive; l’aderente a un particolare movimento presenta disinvoltamente “un suo fratello di comunità”, noi stessi – tutti quanti – ci sentiamo talvolta “più fratelli” di persone cui ci legano le esperienze e gli ideali che di quanti sono uniti a noi dalla carne e dal sangue. Tutto ciò si riflette immancabilmente anche negli scritti canonici e nelle opere teologiche: quel che è certo è che ogni prospettiva teologica che ammetta un’azione creatrice e redentrice, insomma provvidente, di Dio, può fondare il concetto di fraternità senza che questo intralci le vie altrui o contamini le proprie.

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