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Riconosciute le virtù eroiche del missionario “combattente” padre Carlo Salerio

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Padre Carlo Salerio

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 16/05/19
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Più vicina la beatificazione del fondatore delle Suore della Riparazione che, da seminarista, partecipò alle Cinque Giornate di Milano, e poi fu inviato in Oceania

Importante passo in avanti per la causa di beatificazione di padre Carlo Salerio, missionario del PIME. Papa Francesco ha infatti autorizzato la Congregazione per le cause dei santi a emanare il decreto che riconosce le sue virtù eroiche.

Prossimo obiettivo è l’autenticazione di un miracolo avvenuto per intercessione di Padre Carlo: in quel caso per il missionario si aprirebbero le porte della beatificazione.

Il seminario

Il percorso verso gli altari di questo missionario è molto singolare. Fondatore della Congregazione delle “Suore riparatrici”, padre Carlo, oltre che sacerdote e missionario, è stato un combattente. E come è possibile che un combattente possa diventare beato o santo? Ve lo spieghiamo ripercorrendo i fatti più importanti della sua vita.

Nato a Milano il 22 marzo 1827, entrò nel Seminario dell’arcidiocesi di Milano e lì conclusi gli studi classici. Poi passò a frequentare filosofia in quello di Monza. Era ancora seminarista nel 1848, allo scoppio delle Cinque giornate di Milano (Asia News, 15 maggio).



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Barricate e battaglione

Siamo in piena Prima Guerra d’Indipendenza. I seminaristi ambrosiani, specie quelli che studiavano Teologia nella sede di corso Venezia a Milano, invece che preparare le valigie e partire per la loro prima missione, si videro coinvolti nella rivolta delle Cinque Giornate, esplosa il 18 marzo 1848.

Carlo, che si era trasferito in quella sede dall’anno seminaristico 1846/’47, fu tra coloro che dapprima prestarono opera di carità curando i feriti e ospitando gli sfollati. Poi, quando un ignoto popolano ferito irruppe in Seminario incitando a correre alle barricate, aiutò i compagni a erigere una barricata rinomata nelle cronache del tempo. Insieme ad alcuni di essi, inoltre, partecipò all’assedio di Mantova in qualità di portabandiera del “Battaglione degli studenti”, composto anche da seminaristi di Lodi, Bergamo, Como e Cremona.

Diacono nel dopo guerra

Al termine della prima guerra d’indipendenza, molti lasciarono gli studi verso il sacerdozio, ma non Carlo, il quale chiamava a casa sua i compagni che abitavano vicino per ripassare, dato che i seminari della città e molte case private erano inagibili perché occupati da militari stranieri. Le tappe verso l’altare si susseguivano: venne ordinato suddiacono nel Natale 1849 e diacono il 25 marzo 1850.


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La partenza per l’Oceania

Il 16 marzo 1852, l’Arcivescovo Bartolomeo Carlo Romilli consegnò il Crocifisso ai primi missionari partenti: tra loro c’era Carlo. Tutti furono destinati in Oceania.

Dopo un lungo cammino via terra e, dal 10 aprile al 26 luglio 1852, via nave, i missionari approdarono a Sydney e di lì, l’8 ottobre, raggiunsero l’isola di Woodlark. Don Carlo, al vedere i primi indigeni, li considerava già suoi figli, ma il lavoro da compiere era arduo.

La malattia e il ritorno a casa

La difficile integrazione si combinò con le malattie, che costrinsero i missionari a lasciare quella località nel 1855, per trascorrere un periodo di convalescenza a Sydney e attendere una nuova destinazione. Ma Don Carlo, mentre gli altri miglioravano, non guarì: con suo enorme dolore, dovette essere rimpatriato.



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L’incontro in confessionale

Restò tra il 1857 e 1858 a disposizione della diocesi. Trascorreva molto tempo nel confessionale, e lì, il 19 luglio 1858, venne a confidarsi con lui la giovane contessa Agnese Salazar. Era indecisa se unirsi o meno a una comunità di volontarie laiche sorta nella parrocchia milanese di San Marco, guidata da Maria Carolina Orsenigo.

Don Carlo volle parlare personalmente con questa donna: dopo quell’incontro, fu persuaso di aver trovato le persone giuste per un’opera che aveva in animo da tempo, ossia una congregazione femminile impegnata a riparare le offese ai cuori di Gesù e di Maria.

Le “Suore della Riparazione”

Dopo mesi trascorsi a stendere un abbozzo di Regola e alla ricerca di una casa, il 2 ottobre 1859, festa dei Santi Angeli Custodi, Carolina e le sue compagne andarono ad abitare in via Brera, oggi via degli Orti. Il nome che venne dato alla nuova comunità fu “Pie Signore Riparatrici”, mentre la loro casa fu detta “Casa di Nazareth”, per ricordare il luogo da cui ha avuto inizio la Redenzione. Lo scopo, come riporta santiebeati.it, che venne a delinearsi fu l’assistenza alle donne più in difficoltà

Il 1862 vide l’apertura del noviziato canonico e l’assunzione, in via definitiva, del nome di “Suore della Riparazione” (ogni suora, invece, ha il titolo di “Madre”), mentre si erano aperte altre case e accolti nuovi bisogni, come quelli delle ragazze sordomute.


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L’Unzione degli infermi

Don Carlo, che era il “padre spirituale” della Congregazione continuò ad avere problemi di saluti sempre più gravi: il 25 settembre 1970 ebbe l’ultimo incontro con madre Carolina ed espresse, quasi in un testamento spirituale, le sue ultime raccomandazioni.

La sera del 28 settembre ricevette nuovamente l’Unzione degli Infermi e salutò l’amico don Giuseppe Bordoni, che aveva nominato Superiore dell’istituto. Alle cinque del mattino dell’indomani, 29 settembre, don Carlo, assistito da monsignor Giuseppe Marinoni, Superiore delle Missioni Estere di Milano, rese l’anima a Dio.



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Preghiera (con approvazione ecclesiastica)

O Gesù Salvatore, che per liberarci dai nostri peccati, ti sei offerto vittima al Padre e per nostro amore ti sei fatto obbediente fino alla morte di croce, noi ti preghiamo umilmente di glorificare, anche su questa terra, il tuo servo, Padre Carlo Salerio, che consacrò se stesso alla gloria della Santissima Trinità e alla salvezza delle anime più bisognose e abbandonate, perché sia, anche oggi, modello di intenso amore per l’Eucaristia e di fervente carità apostolica.

Ti supplichiamo di volerci concedere, per sua intercessione, la grazia…, che ardentemente desideriamo.

Gloria…


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