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Ecco, la nostra vita da risorti è cominciata!

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Di Zwiebackesser - Shutterstock

Monastero Clarisse Jerusalem - pubblicato il 15/05/19

Il testo della Meditazione per la IV Domenica di Pasqua, Vangelo del Buon Pastore ad opera di Mons. Pizzaballa, Amministratore Apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme.

di Mons. Pierbattista Pizzaballa

Le prime domeniche  del Tempo Pasquale ci hanno fatto ascoltare i brani di Vangelo relativi agli incontri del Signore Risorto con i suoi discepoli.

Oggi iniziamo a vedere come sia la vita nuova dei risorti, quale sia la vocazione dei credenti che il Risorto rende partecipi della sua novità di vita.

Il brano che ascoltiamo oggi è tratto dal capitolo 10 del vangelo di Giovanni, capitolo il cui l’evangelista riporta il discorso di Gesù sul buon pastore.

C’è una prima parte (Gv 10, 1-18), in cui Gesù tratteggia la fisionomia del buon pastore; c’è un intermezzo (Gv 10, 19-24), che riporta la reazione dei giudei a queste parole, con una loro domanda sull’identità di Gesù:

Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente.

I versetti che leggiamo oggi sono la risposta di Gesù a questa domanda, e, come spesso accade, Gesù ribalta la questione.

E dice innanzitutto che per conoscerlo, per sapere veramente se Lui è il Cristo, bisogna far parte del suo gregge (“le mie pecore”, 27; “il Padre mio me le ha date”, 29). Non esiste una conoscenza che possa rimanere all’esterno, una conoscenza intellettuale, un sapere che non coinvolga la vita, che non compromette; la conoscenza di Gesù passa attraverso l’amore, attraverso una relazione di fiducia e di abbandono, attraverso una sequela fatta di umile obbedienza; così, infatti, è anche la relazione di Gesù con il Padre (Gv 10,18).

Rimanendo nella metafora del pastore e delle pecore, Gesù utilizza alcune espressioni: due dicono le disposizioni e le azioni dei discepoli verso di Lui; e le altre due dicono ciò che fa Lui per loro.

I discepoli fanno essenzialmente due cose: ascoltano e seguono (“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”, 27).

Ascoltare e seguire sono l’essenziale del discepolato, della vita nuova, e sono profondamente legati tra di loro: si segue nella misura in cui si ascolta.

Il pastore fa altre due cose, anch’esse fondamentali: conosce e dà la vita (”Io le conosco”, 27; “Io do loro la vita eterna”, 28). Ha con i suoi una relazione di profonda intimità, per cui con ogni discepolo c’è un rapporto personale. E questo rapporto si realizza esclusivamente grazie al dono gratuito della sua vita.


ANDREA DAMANTE E GIULIA DE LELLIS

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Questi versetti mostrano il risvolto esistenziale di questa relazione.

La vita nuova, che nasce dalla relazione con il Signore, ha caratteristiche precise: essere una comunità convocata (“ascoltano la mia voce”, 27). La chiamata di Cristo li ha portati in una nuova relazione con lui (“Io le conosco”); una relazione che a sua volta porta ad un nuovo stile di vita (“esse mi seguono”). È una comunità donata (“do loro la vita eterna, 28), la nuova vita del Regno appartiene a loro; e una comunità sicura (“e non andranno perdute”, 28).

Non la sicurezza di coloro ai quali è promesso che non accadrà mai nulla di fastidioso o di pericoloso, ma la sicurezza di chi sa che la propria vita è custodita in mani buone.

Per cui Gesù dice che questa vita non andrà mai perduta (Gv 10, 28).

Gesù per primo ha fatto questa esperienza nella sua relazione con il Padre: si è affidato a Lui, l’ha ascoltato, e la sua vita non è andata perduta; è passato attraverso la morte, ma il Padre non l’ha abbandonato in suo potere, e gli ha ridonato vita. Gesù ha sperimentato che la relazione con il Padre è una relazione sicura, fedele.

Ed è questa relazione che ora vuole donare ai suoi discepoli, che sono dunque chiamati ad ascoltare il Signore e a seguirlo dentro questa esperienza di affidamento, per cui passano attraverso la morte e scoprono, con stupore, che la loro vita non solo non si perde, ma diventa eterna, vera.

Nei due versetti del vangelo di oggi (12 maggio 2019, NdR) per ben due volte sono nominate le mani: quelle di Gesù (Gv 10, 28) e quelle del Padre (Gv 10,29): nei vangeli della Pasqua compaiono spesso le mani.

Sono mani che tutto hanno ricevuto, che sono passate attraverso la morte di cui portano i segni gloriosi. E ora, proprio per questo, sono capaci di custodire tutto, senza che nulla vada perduto di ciò che il Padre vi ha deposto.

+ Pierbattista

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO PUBBLICATO SUL BLOG MONASTERO CLARISSE JERUSALEM

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