È sentito come abbandono, e non premura, anche l’uso di gesti esclusivamente vezzeggiativi e consolatori; si può nascondere la percezione di un abbandono anche dietro la scelta, troppo precoce, di mettersi in secondo piano come genitori. D’Avenia fa notare un dettaglio solo apparentemente piccolo, cioè che la forma dei passeggini è cambiata proprio all’indomani di quella rivoluzione contro l’autorità che fu il ’68:
Negli anni Settanta i passeggini cambiarono orientamento: il bambino non guardava più il genitore, ma l’esterno: il genitore non faceva più da interprete del mondo dall’alto in basso, ma da accompagnatore. All’obbedisci e poi capirai si sostituì il mettiamoci d’accordo. (Ibid)
Natalidad en Europa
Io stessa ricordo di aver comprato un passeggino «fronte mondo» proprio perché credevo che fosse positivo che i miei figli guardassero fuori, lasciando alla mia mano di guidarli da dietro. Tuttora non la reputo una scelta sbagliata. Ma capisco benissimo ciò che intende D’Avenia: il modo giusto per conoscere il mondo passa di necessità dal confronto con un volto. Non esiste conoscenza che sia spontanea, buona e istintiva; l’educazione è una voce dispotica, se vogliamo, che impedisce al piccolo di diventare dittatore di sè stesso. O che si lasci irretire dai molti dittatori in agguato. La voce del genitore autorevole non è un regno dispotico, ma è la necessaria monarchia del giardiniere che aiuta le rose ad arrampicarsi nel modo giusto, e le difende da afidi, cocciniglia, mal bianco ( … interrompo qui la mia personalissima lamentela sul giardinaggio fai da te). Ritorno al punto: oggigiorno è ancora più cruciale che il mondo dell’infanzia incontri volti in carne ed ossa che lo introducano alla realtà, perché c’è un affollato fronte nemico (senza volto) che non attende altro che la nostra abdicazione.
Mettersi dietro è un gesto bellissimo, spalancare la vista dei nostri figli è un obiettivo che si raggiunge alla fine di un viaggio. Se – riprendendo la metafora del passeggino «fronte mondo» – il bambino non vede la presenza di un genitore o un insegnante come figura di riferimento per comprendere tutto ciò che la vita gli catapulta addosso, tenderà di necessità ad appoggiarsi ad altro o altri. E c’è chi si strofina le mani, non vede l’ora di intercettare prede dall’anima plasmabile. Il secolo scorso Chesterton scrisse che non esistono bambini non educati, ma semmai bambini fin troppo educati: e si riferiva al fatto che, camminando per strada, gli occhi dei più giovani venivano catturati dai messaggi dei cartelloni pubblicitari.
Ora siamo travolti da messaggi che provengono da ogni genere di schermo e non è detto che, come adulti, siamo sempre in grado di controllare a quale genere di informazioni i nostri figli abbiano accesso, con quali «voci» si mettano a parlare, da quali immagini siano stimolati. Non sono più a bordo di un passeggino «fronte mondo» guidato dai genitori, li lasciamo in un oceano in tempesta col pilota automatico. Alla deriva. Riprendere il timone è un gesto necessario e fuor di metafora D’Avenia lo traduce in una ricetta quotidiana:
fate un elenco di «no» che non riuscite a giustificare e per i quali resistere. Chiedetevi perché questi «no» sono buoni per voi e quindi per l’uomo o la donna che vostro figlio/a diventerà. Il vero amore attraversa la negatività e sa darne ragione ai figli, perché la libertà è frutto di conquista. (Ibid)
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