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Continui ad essere mia madre, anche in cielo

mom with son

Di Jacob Lund - Shutterstock

padre Carlos Padilla - pubblicato il 10/05/19

Siamo uniti in modo sacro da un filo invisibile sostenuto da Dio

Guardo commosso l’amore di una madre. Guardo la sua dedizione, la sua cura. Guardo la sua verità e la sua pazienza. La guardo nel giardino della mia infanzia, della mia vita. Piena di ricordi.

Cos’ha quel cuore di madre che si lega al mio, che sono suo figlio? Io e lei siamo uniti, in modo sacro, da un filo invisibile sostenuto da Dio. Leggevo giorni fa una riflessione che mi ha fatto pensare:

“E arriva un giorno in cui ti senti parlare come lei, cucini come lei, ti lamenti come lei, canti come lei, insegni come lei, scrivi come lei, piangi come lei. E a ogni passo capisci tutto quello che una volta hai criticato. E capisci i limiti, le sfide, le preoccupazioni, le paure. E ringrazi per il fatto che sia stata lì, accompagnandoti da vicino, curandoti, vegliando su di te. E ringrazi i suoi sacrifici, il suo tempo. Arriva un giorno in cui ti guardi allo specchio e la vedi. Perché per qualche mese siamo stati dentro di lei, ma lei sarà per sempre dentro di noi”.

Pensavo a mia madre. Alla sua presenza costante. Alle sue lotte e alle sue rinunce. Pensava alla sua risata. Alla sua capacità di attendere pazientemente le mie assenze. Di baciare i miei sogni vegliando mentre dormivo.

Mi vengono al cuore le sue parole e i suoi silenzi. Il suo sguardo complice. Il suo affetto smisurato. Sbocciano nella mia memoria le sue storie ripetute tante volte. Le sue tristezze e le sue gioie.

Mi torna in mente il suo passo saldo, non molto rapido. La sua capacità di assaporare un dolce. La sua passione per il cioccolato. La sua paura al volante. La sua disponibilità a mettersi in cammino quando c’era davanti un’avventura. Senza guardare l’ora. Senza lesinare tempo.

La vedo felice in casa, mentre crea la famiglia con la sua presenza. La vedo abbracciarmi quando ne avevo più bisogno e sostenermi quando da solo non ce la facevo. E io le tenevo la mano, da bambino, da grande. E lei mi stava accanto perché non fossi solo.

Ricordo le sue lacrime in mia assenza, e il suo desiderio di condividere con me sogni e progetti.

Mi soffermo davanti a lei quando non controllava più la sua vita, e allora mi metto nei suoi panni per essere io madre, per prendermi cura delle sue paure, per sostenere i suoi passi fragili che avanzavano appena.

Ora io più madre, e lei più figlia, e tutti e due camminando per una via stretta della vita. Con orizzonti ampi e nostalgia infinita.

E sostengo le sue mani stanche per il tempo. Per il tanto curare, amare, vestire, vivere, vegliare. Le sue mani salde e dolci. Le sue mani bianche, pure, piene di ricordi. E sostengo i suoi occhi azzurri che mi parlano del cielo dipinto sul mare. Il cielo della mia anima. Il mare dei miei desideri.

E navigo su di lei come sulla mia storia santa, ricordando il giorno in cui ho lasciato allontanarsi il suo ultimo respiro. Era un giorno qualunque, del mese di Maria.

Lo stesso giorno in cui Lei, l’altra mia Madre, è venuta a prendere mia padre per portarla con sé, senza chiedermi il permesso. Quelo stesso giorno in cui ho versato mille lacrime, accanto a lei, sorpreso. Incontinente nell’anima. Lasciando fluire un fiume di nostalgia e di cielo azzurro in un respiro eterno. In ricordi che il mio cuore ferito effondeva a cascata.

Come dimenticare tanto cielo dipinto nel suo volto! Quell’ultimo respiro. Quell’ultimo sguardo. Quell’ultimo abbraccio…

E ora sì, guardandomi allo specchio vedo lei. Continue a vivere. Nel ricordo sacro che porto dentro. Perché alla fin fin so che non mi lascia mai solo.

E con la sua vita mi ha insegnato quello che Mía Couto dice in una poesia: “L’importante non è la casa in cui viviamo, ma dove in noi vive la casa”.

E so che lei è in me. Vive in me. Perché è la mia casa. La mia casa più vera. La mia terra più profonda. La radice della mia vita che non smette mai di avventurarsi nel profondo della mia terra. Di ampliarsi nel più profondo del cielo. Di immergersi nel più sacro del mare. In mezzo a mille ricordi che non si sostengono nel mio specchio. Mentre mi guardo in essi e vedo lei, dentro di me, mentre canta.

Non sarei io senza quella vita vissuta accanto a lei. Senza tanto amore versato. Continua ad essere in me la stessa bambina che Dio ha sognato un giorno.

Custodisco nella mia anima le sue parole sacre. Sostengo nel mio cuore il suo sguardo puro. E so che essendo bambino sono figlio. E lei continua ad essere madre che veglia sulle mie notti. Perché io non abbia paura. Perché la porto dentro. E lei, non so bene come, mi porta dentro di sé, in qualche posto del cielo.

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