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Il santo missionario che ha rialzato la Chiesa dello Sri Lanka

VAZ

Asela Dassanayake CC

Colombe de Barmon - pubblicato il 26/04/19

San Joseph Vaz è in assoluto il primo santo dello Sri Lanka. “Grande missionario dell’Evangelo”, ha viaggiato in tutta l’isola – allora sotto dominazione protestante – e si è messo al servizio della Chiesa clandestina, che col suo zelo riuscì a risollevare.

A pochi giorni dai terribili attentati nello Sri Lanka, la figura di padre Joseph Vaz lumeggia in modo particolarissimo la comunità cristiana sri-lankese. Effettivamente, questo prete missionario si è speso senza riserve per la Chiesa clandestina dell’isola di Ceylan nel XVII secolo. Anzi, ha saputo «oltrepassare le divisioni religiose per servire la pace», come nel gennaio 2015 affermava Papa Francesco durante la cerimonia di canonizzazione del prete, celebrata a Colombo.


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In prigione a causa della fede

Il Santo Padre aveva allora salutato particolarmente l’infaticabile servizio del padre Vaz per tutti, senza alcuna distinzione d’origine. In quest’isola multietnica e multireligiosa in cui cristiani, buddisti e musulmani stanno fianco a fianco, il missionario ha «esercitato il suo ministero per le persone che erano nel bisogno, quali che fossero e ovunque si trovassero». E questo anche in carcere, dove il prete fu gettato nel 1692, quando lo accusarono di essere una spia al soldo dei Portoghesi. Non sarebbe bastato questo a fermarlo: insieme con due detenuti cattolici, avrebbe costruito una capanna-chiesa e convertito gli altri prigionieri.




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In realtà, se Joseph Vaz era in prigione lo si doveva alla fede. All’epoca il cattolicesimo era proscritto, sull’isola di Ceylan, a causa della dominazione degli olandesi calvinisti. I cattolici, associati alla precedente dominazione – il Portogallo – venivano perseguitati. Ed è proprio per questo che Joseph Vaz si recò sull’isola, per venire in soccorso ai suoi fratelli nella fede, privati di sacerdoti. Ordinato nel 1676, scese a piedi nudi tutta la costa-sud dell’India travestito da mendicante per raggiungere finalmente di nascosto lo Sri Lanka nel 1687.




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Se la fede fu ciò che fece gettare in carcere il prete, essa fu pure ciò che lo fece uscire di là. Nel 1696 il Paese fu colpito da una terribile siccità, e tutte le preghiere dei monaci buddisti non bastavano a porvi fine. Il re – anch’egli buddista – si rivolse allora al missionario prigioniero. Costui costruì un altare sormontato da una croce e si raccolse in preghiera. Subito cadde una pioggia abbondantissima che lasciò asciutti soltanto padre Vaz e il suo altare di fortuna. Il re autorizzò allora il missionario a predicare liberamente la sua religione, tanto più che quello predicava nella lingua locale. Questo rispetto della cultura-ospite fece così del padre Joseph Vaz un pioniere dell’inculturazione.

Una figura che ispira sempre

Ancora oggi, i cattolici dello Sri-Lanka s’ispirano a questa straordinaria figura di santità. A immagine del santo, la comunità cattolica locale sa già superare le divisioni religiose. Molto rispettata malgrado rappresenti soltanto il 7% della popolazione, essa è riconosciuta come mediatrice, risolutrice di tensioni. Così la salutava Papa Francesco nel 2015: questa comunità

Non fa distinzione di razza, credo, appartenenza tribale, condizione sociale o religione nel servizio che provvede attraverso le sue scuole, ospedali, cliniche e molte altre opere di carità. Essa non chiede altro che la libertà di portare avanti la sua missione. La libertà religiosa è un diritto umano fondamentale. Ogni individuo dev’essere libero, da solo o associato ad altri, di cercare la verità, di esprimere apertamente le sue convinzioni religiose, libero da intimidazioni e da costrizioni esterne. Come ci insegna la vita di Giuseppe Vaz, l’autentica adorazione di Dio porta non alla discriminazione, all’odio e alla violenza, ma al rispetto per la sacralità della vita, al rispetto per la dignità e la libertà degli altri e all’amorevole impegno per il benessere di tutti.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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