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Paul Claudel, convertito “da Notre-Dame” «in un istante»

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Portrait de Paul Claudel.

Kévin Contini - pubblicato il 19/04/19

Paul Claudel (1868-1955) fu uno dei principali poeti e drammaturghi del secolo scorso. Egli fu pure un fervente cattolico, convertito il 25 dicembre 1886 durante i Vespri nella cattedrale di Parigi. Il medesimo luogo in cui avrebbe fatto la sua seconda comunione, nel 1890, e in cui – nel febbraio 1955 – la melodia del Magnificat avrebbe accompagnato le sue spoglie.

Come nota François Angelier nel suo Paul Claudel, biografia del grande letterato,

il suo sforzo, quello di una vita di ottantasette anni, è stato di rendere l’eternità percorribile, di analizzare in un cammino praticabile l’inesorabile colata di gioia che si era aperta per lui nel 1886.

Tutta l’opera di Paul Claudel, infatti – sia quella teatrale (Le Père humilié), sia quella poetica (Cinq grandes Odes), sia esegetica (Un poète regarde la Croix) è al contempo apertura e approfondimento del suo percorso spirituale. Paul Claudel stesso, ammiratore e apologeta di Gilbert Keith Chesterton, altro convertito, non avrebbe esitato a mutuare dall’autore inglese l’immagine di una croce simile a un traliccio, indicatore fra quattro direzioni.


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Niente nella sua famiglia lo predestinava a una vocazione spirituale. Sua madre è insensibile alla pratica religiosa quasi quanto il padre è anticlericale. È dunque per convenzione e opportunità che riceve i due primi sacramenti. La prima comunione – lo spiega egli stesso ne La mia conversione – «insieme il coronamento e il termine» delle pratiche religiose per tanti giovani della sua epoca. Da adolescente, non si considera credente. Il suo ingresso al famoso liceo parigino Louis-le-Grand non fa che accentuare questo stile di vita lontano dalla spiritualità. In effetti, il giovane Paul Claudel – che del resto frequenta Marcel Schwob e Léon Daudet – frequenta l’élite intellettuale parigina, che ha largamente perduto il senso del sacro.

Un incontro che cambia la sua vita

Ora, tra l’adolescenza e l’età adulta il giovane Paul sente che non conduce una vita morale e accusa un profondo malessere. Scopre l’angoscia della morte in seguito al decesso del nonno, ma ancora non si cura delle risposte che in siffatto genere di prove può apportare la fede. Mentre conclude il percorso liceale, egli non sopporta più i corsi filosofici che glorificano Kant e la Ragione. Sul piano famigliare la situazione è ugualmente lancinante: dietro a delle ingannevoli apparenze di calma, favorite da una situazione finanziaria paterna stabile, le relazioni sono complesse con la sorella Camille e coi genitori. Cercando una sorta di salvezza estetica, Paul Claudel si volge verso la poesia e la bellezza della natura, e incontra Stéphane Mallarmé.




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Ma è un altro grande poeta quello che segnerà per sempre la sua vita, così come la prima tappa della sua conversione alla fede cattolica, poiché lo scoprirà in quel famoso 1886: Arthur Rimbaud. Nelle Illuminations sente la forza del soprannaturale. Vi intravede una mistica che lo purifica dall’atmosfera razionalistica e materialistica nella quale ristagna il milieu intellettuale parigino alla fine del XIX secolo. Egli si appoggerà sull’opera del poeta-profeta per tutto il corso della sua carriera, come mostra questo estratto dalle Mémoires improvisés:

Rimbaud ha esercitato su di me un’influenza seminale. […] Non so immaginare che cosa sarei potuto essere se l’incontro con Rimbaud non mi avesse dato un impulso assolutamente essenziale.

“Seminale” ed “essenziale”: nessun dubbio, il giovane poeta Rimbaud sarebbe stato per Claudel un “padre spirituale”.

Certo non è un caso che, tra la lettura di Rimbaud e la conversione a Notre-Dame de Paris, nell’agosto 1886 Claudel scrisse una lunga poesia intitolata Pour la messe des hommes. Del Cristo di cui si parla in questo testo, però (che a posteriori Claudel avrebbe giudicato mediocre dal punto di vista formale ma importante nel suo sviluppo spirituale), si afferma ancora – per il momento – non essere il figlio di Dio.

La rivelazione

Arriva infine il famoso episodio del Natale 1886 a Notre-Dame, che si svolge durante i vespri. Claudel ascolta il Magnificat.

In un istante, il mio cuore fu toccato e io credetti. Credetti con una tale forza di adesione – con una tale elevazione di tutto il mio essere, con una così potente convinzione, con una tale certezza che a nessuna specie di dubbio lasciava spazio – che, in seguito, tutti i libri, tutti i ragionamenti, tutti i casi di una vita agitata, non hanno potuto distruggere la mia fede né, a dire il vero, toccarla.

Paul Claudel, Ma conversion, pubblicato il 13 ottobre 1913 nella Revue de la jeunesse

La fede arriva all’improvviso, semplicemente, potentemente, irrevocabilmente, nel cuore di Paul, che ha diciott’anni. È una cosa definitiva, ma resta da assumerla, da digerirla. Anche se ormai legge di teologia cristiana e frequenta la Chiesa, non osa parlarne né ai suoi amici né ai genitori. Neppure uno dei suoi amici è praticante. Un altro problema che gli si pone è il legame da stabilire fra le sue aspirazioni poetiche e le sue nuove aspirazioni religiose. Quale equilibrio possibile tra la sua cultura, le sue concezioni letterarie, e la sua fede?

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Pascal Deloche / GODONG | Ref:430

Nostra Signora del Pilar, cattedrale di Notre Dame de Paris.

Una lettera a Louis Gillet, datata 10 novembre 1941, rende ben conto di tali difficoltà:

Da una parte il mondo della realtà sensibile, che era per la mia giovane vocazione poetica il mondo della bellezza e della gioia, quello pure dei desiderî e delle passioni; e dall’altro quello fuori da questo, così potente, così ficcante e così formidabile, che veniva a farsi presente al mio animo con un’autorità invincibile.

Quattro anni prima aveva espresso il proprio sgomento parlando della folgorazione della propria fede come di un parto, o più precisamente di un bambino che all’improvviso ci viene affidato:

Questa specie di enorme bambino fra le braccia, e un informe pacchetto di assurde e rivoltanti certezze […]; questo fagotto di cose folli che mi avevano appena piantato tra le braccia.

Paul Claudel, Lettres à l’ange gardien, 1937).

Se dunque la sua anima è liberata, tuttavia sente il peso che implica un impegno cristiano totale.

Assumere la propria fede

Il fatto di pregare in segreto diventa però per lui intollerabile. Apprendendo della conversione tardiva di Charles Baudelaire (altro poeta che ammirava), si decise finalmente, nel 1889, a vedere un prete (il reverendo Jouin), di Saint-Médard, la sua parrocchia. Quest’ultimo gli ordinò di confessare la propria conversione alla sua famiglia e si mostrò relativamente insensibile al percorso spirituale del giovane artista. Paul ne sarebbe uscito profondamente deluso:

Non ho mai provato un orrore e un’agonia simili a quelle che ho subito il giorno della mia prima confessione.

Paul Claudel, Lettre à Jacques Rivière, 1907

Un anno di attesa supplementare e tornò a Saint-Médard. Stavolta vi trovò un altro ecclesiastico, più comprensivo, e soprattutto il reverendo Villaume, che sarebbe stato il suo direttore spirituale, e verso cui si sarebbe sentito debitore fino alla fine dei suoi giorni. Il 25 dicembre 1890, Paul Claudel chiude il cerchio: fa la comunione, per la seconda volta nella sua vita, e a Notre-Name (proprio lì dove era stato toccato dalla grazia quattro anni prima, e dove avrebbero avuto luogo le sue esequie sessantacinque anni più tardi.




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Proprio come G.K. Chesterton, Claudel si sarebbe mostrato pudico riguardo alla propria conversione. Egli crede, tutto sta in un punto. Nessun bisogno di analisi intellettualizzanti o autocompiaciute. Il suo racconto più noto, Ma conversion, sarebbe stato scritto diciotto anni dopo i fatti. Sembra che una battuta d’arresto l’abbia ritenuta necessaria. Come avrebbe detto il suo amico Louis Matignon:

È gradualmente che la grazia agisce; quando l’allusione è compresa, quando le lezioni hanno fatto il loro dovere, l’avvento soprannaturale appare in rapporto con tutto il suo significato e con tutto il suo rilievo.

Paul Claudel, Conference à Louvain, 1927

Claudel ne avrebbe resi partecipi alcuni corrispondenti, come Gabriel Frizeau (1904) o Louis Gillet (1941) in particolare, come anche in componimenti come la terza delle Cinque grandi odi, scritta nel terribile 1942, che porta anche il titolo di 25 dicembre 1886. Contiene dei versi liberi (ma non vacui):

Niente da fare, contro quest’eruzione, come il mondo in fondo alle viscere della mia fede!

Niente da fare contro questa voce di prima che il mondo e che mi disse “sei Mio!”.

Niente da fare contro l’impeto, come qualcuno che si fende dall’alto in basso, come l’animale che dice “io credo!”.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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