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«Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?»

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Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 17/04/19
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Non è Gesù a pronunciare su Giuda una sentenza di morte, fosse dipeso da Lui lo avrebbe salvato. È Giuda che si autodistrugge. È questo l’inferno.Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: «Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo.
Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse: «In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà». Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto». (Mt 26,14-25)

“Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: «Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?»”. Questo tipo di contrattazione non ha mai smesso di essere in atto. Il peccato è sempre frutto di un commercio così. Vendiamo Gesù, vendiamo la Verità, il Bene, il Senso per monetizzare con sicurezze immediate a breve termine, piaceri che finiscono dopo dieci minuti, e vite che sono solo la celebrazione del vuoto. Ci sembra sempre un affare vendere Gesù. In fondo il mondo si è specializzato nel marketing, e ha imparato dal migliore, da quell’antico serpente che rifilò il frutto proibito ad Adamo ed Eva, promettendogli mari e monti e lasciandoli solo nudi con due foglie di fico, senza più una casa e con una storia iniziata bene e finita male. Siamo figli di questo inganno, e ne portiamo i segni. Ma torniamo all’ultima cena. Nello sgomento generale, mentre tutti si domandano chi è il traditore, Gesù aggiunge un dettaglio durissimo: “Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”. Non credo sia bello sentirsi dire che per come è andata forse sarebbe stato meglio non nascere, ma senza anestetici credo che sia questo il destino del peccato, quando arriva all’estreme conseguenze. Si può talmente fare del male fino a diventare una maledizione. Non dovrebbe mai accadere che la nostra vita diventi una maledizione, dovremmo difendere fino alla fine la possibilità di lasciarla per ciò che è, e cioè una benedizione. Ma questo accade solo a patto di conservare dentro di noi una briciola di pentimento e un angolo di umiltà nel cuore. Non è forse questo che salverà più tardi Pietro? E non è forse questo invece che tingerà di tragedia la fine di Giuda? “Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto»”. Infatti non è Gesù a pronunciare su Giuda una sentenza di morte, fosse dipeso da Lui lo avrebbe salvato. È Giuda che si autodistrugge. È questo l’inferno. (Mt 26,14-25)

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