Nel mondo greco esisteva la dea Pistis, che era la rappresentazione della fiducia. Sotto il suo sguardo gli agricoltori chiudevano contratti, nei mercati si scambiavano beni, e sotto la sua protezione venivano accolti coloro che, vedendosi morire, la invocavano per dire a chi lasciavano in eredità le loro proprietà.
Non c’era alcun documento scritto, ma il valore della parola era uguale a quello di un contratto o di un atto notarile: stringersi la mano, pronunciare un “Sì” di comune accordo… da allora bastano per sapere che quella persona rispetterà quanto si è stabilito.
L’Impero Romano ha ereditato quella legge. Nella sua mitologia c’era la dea Fides, che era l’equivalente di Pistis e si identificava con la Lealtà, la Fiducia o la Fede. Su una delle colline di Roma, il Senato custodiva i trattati firmati con i popoli stranieri, ed era Fides a prendersene cura.
Essere fedeli alla parola data dimostra grandezza di spirito in una persona. È segno di nobiltà e di bontà. C’è chi, ad esempio, per essere fedele alla parola data ha saputo affrontare con forza periodi di grandi difficoltà economiche, e tutto per mantenere un impegno.
Anche nel diritto di molti Paesi che hanno adottato totalmente o parzialmente il Diritto Romano continua ad essere valida la formula del contratto (o accordo) verbale, salvo in caso di immobili. La parola data resta come scolpita nell’orecchio e nell’anima dell’altra persona.
È logico che si voglia mantenere la parola data, perché ciò che spicca in un contratto di questo tipo è la statura morale di chi la rispetta. Così si forgia il prestigio, e si diventa un’autorità degna di essere rispettata.
Ad ogni modo, si può vedere facilmente che intorno a sé non tutti rispettano sempre i patti. Dobbiamo quindi adottare un “piano di resistenza” di fronte allo svilimento della parola data. Ciascuno assuma quello in cui si è impegnato verbalmente.
Premiate i bambini che rispettano la loro parola e fanno quello che dicono.
Ringraziate i colleghi di lavoro che ricordano in cosa si sono impegnati con voi.
Lodate il familiare che stringe un patto e lo mantiene fino alla fine dei suoi giorni.
Chi non rispetta la parola data diventa bugiardo e ritorce le argomentazioni per avere ragione. Deforma la sua coscienza finché non gli sembra che sia l’altra parte ad aver sbagliato, o incrina la sua forza perché preferisce orientarsi verso un altro bene che in quel momento gli sembra migliore o lo attira di più.
Una parola data non si può cambiare:
-quando non esistono più gli stessi sentimenti che provavamo quando l’abbiamo data. I sentimenti non devono mai modificare un impegno;
-per il fatto che ora non ne traggo tanto beneficio;
-perché non c’è nulla di scritto al riguardo o non ci sono stati testimoni (oltre alle due parti in questione);
-perché ha conseguenze che non ho valutato al momento e per me rappresenterebbero un sacrificio.
La parola data deve rimanere scolpita come sulla pietra. È una questione di cui si parla con familiari e amici, ma soprattutto va praticata e bisogna dare l’esempio. È bellissima la testimonianza di una persona che ha dovuto sacrificarsi per compiere quello che si era impegnata a fare.
Questo atteggiamento nobilita, e non solo quando parliamo d’amore, ma anche quando si parla di affari o accordi professionali o sociali. La convivenza è spesso frutto della parola data, come la pace tra i popoli e le famiglie.
Mantenere la cultura della parola data significa dare tranquillità e sicurezza agli altri, favorire la fiducia, stringere i legami di amicizia e diffondere l’idea che l’uomo non è un lupo per il suo prossimo.