La libera scelta educativa dello studente e della sua famiglia come diritto umano fondamentale, in grado di concorrere al miglioramento della qualità dell’intero sistema scolastico nazionale: è uno dei temi trattati sabato 6 aprile a Roma durante il convegno «Liberi di educare», ospitato dalla Pontificia università Lateranense, in collaborazione con l’Ufficio scuola della diocesi di Roma. Un’occasione per celebrare Giovanni Battista de La Salle, santo patrono degli educatori cristiani, nel trecentesimo anniversario della morte. Il fondatore della congregazione religiosa laicale dei Fratelli delle scuole cristiane contribuì in maniera determinante a dare risposta alle sfide educative in Francia, acquisendo un posto indiscusso nella storia della pedagogia di tutti i tempi. Nella ricorrenza dell’anniversario Papa Francesco ha concesso l’Anno giubilare lasalliano: iniziato il 17 novembre 2018, giorno della dedicazione del santuario, terminerà il 31 dicembre 2019. L’opportunità, soprattutto per chi non conosce la figura di de La Salle, di scoprirne il carisma e l’impegno. Il convegno è stato caratterizzato da una tavola rotonda, moderata dal direttore de «L’Osservatore Romano», che ha approfondito l’importanza dei carismi educativi e delle scuole cattoliche. In precedenza due interventi, uno del filosofo Dario Antiseri, l’altro di fratel Donato Petti, direttore della «Rivista lasalliana», trimestrale di cultura e formazione pedagogica della stessa congregazione, hanno sottolineato la necessità di una scuola libera in Italia come in Europa. Giovanni Battista de La Salle può rappresentare oggi, per insegnanti e genitori, un punto di riferimento, un’opzione. E “Opzione de La Salle” (Cantalupa, Effatà, 2019, pagine 238, euro 15) è il titolo dell’ultimo libro di Petti, che abbiamo intervistato.
Qual è l’importanza di Giovanni Battista de La Salle nella storia dell’educazione?
È uno dei grandi innovatori dell’istruzione moderna: fondò scuole popolari quando gli stati non avevano ancora un loro sistema educativo, promosse il lavoro di gruppo, impegnò gli insegnanti affinché fossero sempre in mezzo ai ragazzi, «dalla mattina alla sera». Una scuola gratuita, centrata sulla formazione integrale della persona. Fondò una congregazione di religiosi insegnanti, non sacerdoti. Per lui i docenti erano educatori per vocazione, la loro missione era un autentico “ministero” educativo, collaborando all’opera di Dio. Introdusse inoltre nell’apprendimento il “metodo simultaneo”, dividendo gli alunni in classi, secondo l’età, in sostituzione del “metodo individuale”. Organizzò per primo le scuole serali e le scuole domenicali per gli studenti lavoratori e può essere considerato l’ideatore dell’insegnamento a indirizzo tecnico, commerciale e professionale. Merito peculiare di de La Salle è di aver dato dignità alla professione dell’insegnante e di aver provveduto alla formazione integrale di essi. Per questo la Chiesa l’ha proclamato “patrono degli educatori”.
Quali sono le caratteristiche dell’educatore lasalliano?
Ha detto bene: “educatore” lasalliano. Infatti l’insegnante, secondo il pensiero di Giovanni Battista de La Salle, oltre a essere un professionista di qualità è soprattutto un educatore, che vuol dire: insegnante per vocazione, “ministro” dell’educazione, manifestazione visibile dell’amore di Dio. È un docente senza frontiere, il sostegno degli alunni più poveri, guida spirituale dei giovani, fratello maggiore per i suoi alunni, costruttore e testimone di fraternità. Per i lasalliani la cultura è mezzo privilegiato per elevare i ragazzi e i giovani agli ideali più impegnativi, educandoli all’incontro con Gesù Cristo, modello di vita, e con il suo Vangelo, fondamento della fratellanza universale e della civiltà dell’amore.
Perché la libertà di scelta educativa?
La famiglia, che per diritto naturale è il soggetto primario dell’educazione dei figli, deve godere di una reale scelta educativa — tra scuole statali e non statali, cattoliche e non — secondo propri convincimenti ideologici e religiosi, senza discriminazioni giuridiche, sociali ed economiche. Lo stato ha il dovere di garantire concretamente alle famiglie tale diritto. La libera scelta educativa pertanto è pienamente legittimata non solo sul piano giuridico, ma anche su quello storico, culturale e pedagogico. D’altro canto, la libertà di scelta educativa concorre a migliorare la qualità dell’intero sistema scolastico nazionale attraverso il confronto dialettico ed emulativo tra scuole statali e non statali, siano esse laiche o a indirizzo religioso, su un piano di piena parità giuridica ed economica. La scuola non statale è garanzia di libertà, offrendo alle famiglie la possibilità di un’alternativa sia sul piano dell’indirizzo culturale, politico o religioso, che sotto il profilo della qualità e del contenuto dell’insegnamento. La pluralità di indirizzi, la varietà e la diversità di contenuti rappresentano infatti una componente essenziale della libertà. La scuola non statale, proprio perché rispetta la propria identità, contribuisce al pluralismo culturale, educativo e scolastico di uno stato democratico. Dunque, diritto di libertà nella scuola (pluralismo culturale) ma anche delle scuole (pluralismo delle istituzioni scolastiche). Una lettura culturale e non ideologica della libertà di scelta educativa porterebbe serenamente a imboccare la strada del pluralismo scolastico, in ragione non solo di principi teorici incontrovertibili, ma soprattutto per dare risposta, in Italia, alla sfida dell’emergenza educativa, dando vita a una nuova alleanza per l’educazione tra tutti i soggetti coinvolti (studenti, genitori, docenti, società civile).
Le scuole cattoliche stanno vivendo oggi in Italia una grave crisi, tanto che molte sono costrette a chiudere. Quali sono le cause?
In Italia la situazione attuale delle scuole orientate cristianamente è a dir poco drammatica. I dati ufficiali del ministero dell’Istruzione, aggiornati al 2017-2018, relativamente alle scuole statali e paritarie, sono eloquenti: rispetto al 2015-2016 il numero degli istituti paritari è diminuito di 415 unità, con un decremento complessivo del 3,2 per cento, mentre nello stesso periodo quelli statali sono aumentati di 92 unità. Mediamente ogni anno chiudono i battenti più di duecento scuole paritarie. Altre scuole cattoliche, gestite da congregazioni religiose, con tradizioni ultracentenarie, a denti stretti, cercano di resistere alla crisi, ma fino a quando? A provocare tale emergenza concorrono molteplici fattori, innanzitutto la crisi delle vocazioni religiose, maschili e femminili, dedite alla missione educativa e il progressivo invecchiamento del personale religioso. Permane diffuso un senso di rassegnazione, con il rischio di cedere alla tentazione di mitizzare il passato, senza costruire il futuro. C’è poi la crisi economica nazionale e internazionale: le famiglie, anche quelle tradizionalmente più sensibili alla formazione e all’educazione cristiana per il loro figli, sono costrette a fare i conti con i bilanci familiari. Va aggiunta l’anomalia della scuola italiana, cioè la mancata parità scolastica tra scuole statali e non statali: oggi, in Italia, a differenza delle altre nazioni europee, non esiste libertà di educazione, cioè la possibilità di scegliere, a parità di condizioni, una scuola diversa da quella statale. Infatti, mentre chi manda un figlio a una scuola pubblica riceve un servizio che ha pagato con le imposte, il contribuente che, per i motivi più diversi, non manda il figlio in tale struttura, paga con le imposte un servizio che non riceve, o, ed è lo stesso, paga due volte l’istruzione dei propri figli: la prima con le imposte, la seconda sotto forma di retta scolastica da corrispondere alla scuola non statale. Il sistema attuale, da un lato, consente un lusso che non tutti si possono permettere (pagare due volte l’istruzione dei figli), dall’altro danneggia i cittadini meno abbienti, che non possono liberamente scegliere una scuola diversa da quella pubblica. Altro motivo della crisi è la precarietà del personale docente che, alla prima occasione, per ragioni di sicurezza economica, lascia l’insegnamento nella scuola cattolica e passa nelle file dello stato. Ai gestori delle scuole cattoliche non resta che sottostare inerti a questa umiliante condizione di inferiorità, frutto di inciviltà giuridica.
Cosa risponde a coloro che accusano la paritaria cattolica di essere la scuola per i figli dei ricchi?
Sul piano socio-politico la scuola paritaria, cattolica e laica, soffre acutamente di un’emarginazione normativa ed economica che la costringe a vivere unicamente delle proprie risorse e del contributo delle famiglie, con la conseguenza di apparire spazio di privilegio, aperto soltanto a coloro che sono in grado di garantire a se stessi strumenti educativi selezionati e costosi, e di compromettere così la stessa validità del suo operare. In tal modo viene anche ratificata una palese discriminazione nei confronti delle famiglie e dello stesso diritto alla libera scelta della scuola. All’origine di questa situazione sta il misconoscimento del servizio di pubblica utilità reso da istituzioni private; il che rende difficile l’interazione tra scuola statale e non statale in un contesto di complementarità e di libertà educativa e produce l’esclusione delle istituzioni paritarie dalla possibilità di accedere alle pubbliche risorse.
Ma le scuole paritarie non ricevono già contributi pubblici?
Il contributo dello stato italiano alle scuole paritarie è poco più che una miseria, soprattutto se paragonato a quello elargito agli istituti non statali dagli altri paesi europei. Mentre il costo medio allo stato per alunno di scuola statale è di 5.246,60 euro, quello per ogni studente di scuola paritaria ammonta a 481,40 euro. Le scuole paritarie, in un anno, fanno risparmiare allo stato la bella cifra di cinque miliardi di euro. Ma uno stato che costringe a comprare pezzi di libertà non è uno stato di diritto.
Cosa avviene nelle altre nazioni europee per quanto concerne il finanziamento pubblico alle scuole non statali?
Citando come fonte dati 2012 dell’Associazione genitori scuole cattoliche, posso rispondere che in Belgio gli stipendi di tutto il personale sono a carico dello stato, mentre in Francia sono possibili quattro alternative: integrazione amministrativa, con tutte le spese a carico dello stato; contratto di associazione, con spese di funzionamento e per i docenti a carico dello stato, a condizione che i docenti abbiano gli stessi titoli dei colleghi statali; contratto semplice, con spese pubbliche per il solo personale docente; contratto di massima libertà, che non prevede alcun contributo. In Germania sono a carico dello stato e delle regioni (Länder) lo stipendio dei docenti (85 per cento), gli oneri previdenziali (90 per cento), le spese di funzionamento (10 per cento) e la manutenzione degli immobili (100 per cento). In Inghilterra e Galles, nelle maintained school, lo stato paga tutti gli stipendi e le spese di funzionamento, oltre all’85 per cento delle spese di costruzione, mentre in Irlanda i costi di costruzione degli immobili sono a carico dello stato in misura completa per le scuole dell’obbligo, per l’88 per cento negli istituti superiori. In Spagna e in Lussemburgo lo stato paga tutte le spese; stessa cosa nei Paesi Bassi relativamente alla scuola dell’obbligo, ma sono forniti sussidi per la costruzione e il funzionamento degli istituti superiori. In Portogallo, infine, è erogato dallo stato l’equivalente del costo medio di un alunno di scuola pubblica.
Quali potrebbero essere le soluzioni per uscire dalla crisi e dar vita a una nuova stagione dell’educazione cristiana in Italia?
L’educazione cristiana è al bivio. Di fronte a questo incontestabile scenario, s’impongono alcune considerazioni. I gestori delle scuole cattoliche paritarie (congregazioni e ordini religiosi, diocesi, enti e associazioni) vivono da decenni con evidente preoccupazione, spesso con rassegnazione e pessimismo, il futuro della proprie scuole. Eutanasia delle scuole cattoliche? Fine ingloriosa di una gloriosa tradizione? La lettura dei segni dei tempi, il magistero della Chiesa e il carisma vivente di fondatrici e fondatori — come san Giovanni Battista de La Salle — delle famiglie religiose educatrici, nonché l’esempio coraggioso e credibile di valenti educatori, spingono a un rinnovato impegno per la formazione integrale delle nuove generazioni. Una nuova stagione dell’educazione cristiana si fonda su due presupposti. Il primo è l’impegno per la libertà di educazione. La libera scelta educativa dello studente e della sua famiglia è un diritto umano fondamentale, espressione della libertà della persona e della famiglia di scegliere il proprio percorso educativo, in un sistema scolastico pubblico integrato, in cui potranno operare per il bene dell’intero paese, a pari condizioni giuridiche ed economiche, le scuole pubbliche-statali e le scuole pubbliche-paritarie, nella direzione di una scuola di qualità e di eccellenza. L’altra sfida riguarda la formazione integrale degli educatori. La crisi educativa, oggi, è crisi di leadership. Una chiara coscienza dell’identità della scuola cattolica e la sua differenza rispetto alle altre presuppone una coraggiosa presa di coscienza della formazione degli insegnanti che deve avere, rispetto a quelli degli istituti pubblici, un valore aggiunto. Perciò è urgente assicurare alle scuole orientate cristianamente un corpo docente non solo fornito di idonei titoli di studio, ma anche di un’organica e certificata formazione sul piano dottrinale, professionale e del carisma specifico. Dalla sfida della formazione integrale degli educatori laici dipende il futuro dell’educazione cristiana.
Quali caratteristiche fondamentali dovrebbe avere una scuola cristiana secondo l’“opzione” de La Salle?
È una scuola a servizio dei giovani, protagonisti del proprio processo educativo, persone nella loro integralità, fisica, intellettiva, morale, spirituale. L’opzione de La Salle indica che la preoccupazione degli insegnanti per i giovani non si esaurisce con il termine della loro frequenza scolastica, ma si prolunga nell’accompagnarli anche nel mondo del lavoro e nella società. È una scuola inclusiva e solidale quella ispirata al carisma lasalliano, aperta a tutti i ragazzi ma privilegia i poveri, gli esclusi e gli emarginati, contribuendo alla loro promozione culturale, sociale e professionale, nel rispetto delle differenze personali, etiche, razziali e religiose. Come ama ribadire Papa Francesco, educare è accogliere e celebrare la diversità, caratteristica sempre più ricorrente di questo nostro secolo. È dunque una scuola che si caratterizza per lo spirito comunitario fra tutte le componenti, una scuola in dialogo: i profondi cambiamenti in atto nella società sempre più multietnica, multiculturale e multireligiosa interpellano gli operatori del mondo dell’educazione perché possano attuarsi itinerari educativi di confronto e di dialogo, rispettosi delle identità e delle differenze. Essere in dialogo significa essere anche inseriti nella realtà sociale. La formazione culturale si apre alle istanze che determinano ingiustizia, povertà e violenza. Per meglio perseguire tali obiettivi, la scuola cristiana si avvale di attività che impegnino i giovani soprattutto in esperienze di volontariato, in settori caritativi, assistenziali e sociali. La scuola cristiana non può segnare il passo e limitarsi a essere solo fedele alle tradizioni del passato, ma è protesa continuamente alla ricerca del rinnovamento pedagogico e didattico, sottraendosi all’immobilismo e alle geometrie prefabbricate. Il modello resta Cristo, maestro perché aperto all’ascolto, esempio perché testimone.