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Che tipo di croce ha portato Gesù sul Calvario?

WEB3 CHRIST CARRYING THE CROSS Pd

Sandro Botticelli | Public Domain

Philip Kosloski - pubblicato il 10/04/19

Era una semplice trave trasversale o l'intera croce?

I racconti evangelici parlano molto poco del percorso di Gesù verso il Calvario e della croce che portava. Matteo, Marco e Luca notano che Gesù non è riuscito a portare la croce per tutto il tempo e ha dovuto essere aiutato:

Costrinsero a portare la croce di lui un certo Simone di Cirene, padre di Alessandro e di Rufo, che passava di là, tornando dai campi (Marco 15, 21).

Il resoconto di Giovanni menziona solo Gesù e come abbia preso su di sé la croce e l’abbia portata al Calvario:

Presero dunque Gesù; ed egli, portando la sua croce, giunse al luogo detto del Teschio, che in ebraico si chiama Golgota (Giovanni 19, 16-17).

Tutte le narrazioni non rivelano dettagli della croce portata da Gesù, probabilmente perché il pubblico, composto da ebrei e greci del I secolo, conosceva bene i romani e i loro metodi di tortura. Nell’Impero Romano la crocifissione era una punizione comune per i criminali, e veniva usata come deterrente. Chi leggeva o ascoltava i resoconti della crocifissione di Gesù non aveva bisogno di una descrizione dettagliata, perché sapeva esattamente come fosse.

Lo storico Hershel Shanks spiega in un articolo sulla Biblical Archeology Review che il legno era difficile da reperire, e i romani riutilizzavano montanti in legno già fissati a terra. Ciò vuol dire che chiunque venisse crocifisso doveva portare “solo” l’asse orizzontale:

Secondo le fonti letterarie, chi veniva condannato alla crocifissione non portava mai la croce completa, nonostante la comune convinzione contraria e malgrado le tante rievocazioni del percorso di Gesù verso il Golgota. Veniva invece portato solo l’asse orizzontale, mentre quella verticale rimaneva sul posto, dove veniva usata per esecuzioni successive. Come ha sottolineato lo storico ebraico Giuseppe, nel I secolo a.C. il legno a Gerusalemme era così scarso che i romani erano costretti a percorrere una quindicina di chilometri da Gerusalemme per trovare quello che serviva per la loro macchina di tortura.

Allo stesso tempo, molti scienziati e storici hanno preso in considerazione la Sacra Sindone di Torino, che molti credono sia il sudario che ha coperto Gesù nella tomba, sostenendo che offra prove del fatto che Gesù ha portato tutta la croce.

Lo scrittore Harrington Lackey spiega come gli studi scientifici sulla Sindone abbiano confermato la tradizione artistica della Via Crucis:

Usando la progettazione al computer, che ha analizzato la parte posteriore della Sindone, hanno scoperto che c’erano più di due segni di abrasione su di essa; c’erano nove segni di sangue, corrispondenti alla tunica che indossava Gesù (Giovanni 19, 23-24). I segni sulla tunica indicano uno schema a croce, creato dalla pressione dell’intera croce – patibulum e stipes – sulla schiena, nonostante la tunica che smorzava i lividi.

Questa teoria corrisponde anche alle leggi ebraiche sulla presenza di oggetti non puliti:

Si è anche speculato sul fatto che Gesù abbia dovuto portare l’intera croce, perché lo stipes usato e sporco, coperto di sangue e feci, veniva tirato fuori da terra e messo da parte. Ciò era probabilmente dovuto al fatto che intorno a un luogo santo come Gerusalemme e al suo interno la legge proibiva che chiunque toccasse qualsiasi cosa non pulita. Gesù e i due ladri crocifissi con Lui dovettero quindi portare sia il patibulum che lo stipes. In luoghi più secolari dell’Impero Romano, lo stipes sporco rimaneva infisso a terra in attesa della vittima successiva.

Se forse non sapremo mai tutta la verità sulla croce che Gesù ha portato su questa Terra, ma la cosa più importante è che l’abbia portata per salvare il mondo, perdonare i nostri peccati e aprirci le porte del Paradiso.

Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti (Isaia 53, 5).

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