Messe ed esorcismi sono costati al porporato albanese Ernest Simoni 27 anni di prigionia
Ha 91 anni, vive a Firenze ed è cardinale dal 2016. Il cardinale Ernest Simoni, origini albanesi ha trascorso 11.107 giorni di prigionia e lavori forzati. E’ l’unico sacerdote ancora vivente testimone della persecuzione del regime comunista di Enver Hoxha, che proclamò l’Albania il «primo Stato ateo al mondo».
Le torture
Domenica 7 aprile ha festeggiato 63 anni di ordinazione sacerdotale. Gira spesso nelle diocesi per raccontare la sua drammatica testimonianza: l’ultima volta lo ha fatto giovedì scorso nella cappella dell’ospedale San Giovanni-Addolorata a Roma. «Hanno fatto di tutto per eliminarmi ma il Signore non mi ha mai abbandonato – afferma il cardinale Simoni – Ero stato condannato a morte per impiccagione ma Dio mi ha salvato».
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“Stavano per rompermi e braccia”
Fu arrestato la notte di Natale del 1963, dopo la celebrazione della Messa per il solo fatto di essere sacerdote. «Quattro poliziotti mi portarono via con la forza, stavano per rompermi le braccia», ha affermato ricordando che fu arrestato dalle autorità comuniste perché praticava esorcismi e perché aveva celebrato Messe in suffragio del presidente americano John Fitzgerald Kennedy, assassinato il mese precedente.
Fu incarcerato, torturato, condannato a morte, pena commutata in 25 anni di lavori forzati. Tornò libero solo nel 1990 con la caduta del regime comunista.
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“Non ho mai smesso di pregare”
Nonostante le vessazioni non ha mai smesso di pregare per i suoi persecutori perché «chi dice che ama Gesù deve farlo sempre e quando affermiamo che Gesù è vivo non è mitologia, è la verità, è Lui che mi ha dato la forza per affrontare il carcere».
Pane e chicchi d’uva
Si sofferma sull’importanza del perdono perché è quello che «porta Gesù nel mondo», e non ha mai usato parole di odio o di rancore nei confronti dei suoi carcerieri perché «solo l’amore vince».
Ha celebrato Messa anche mentre era recluso, usando pane che si cuoceva da solo e chicchi di uva che spremeva tra le mani per ricavarne il vino da consacrare sull’altare (Roma Sette, 4 aprile).
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