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Notizie dal mondo: mercoledì 3 aprile 2019

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Paul De Maeyer - pubblicato il 04/04/19

Venezuela: tolta l’immunità parlamentare a Juan Guaidó / messaggio della CEV

Senza sorpresa, visto che l’organismo è proprio una creazione del «chavismo», l’Assemblea Nazionale Costituente del Venezuela ha tolto martedì 2 aprile con un voto unanime l’immunità al presidente dell’Assemblea Nazionale e autoproclamato presidente Juan Guaidó. «Prima o  poi dovranno pagare per tutti i mali che hanno fatto. Sempre fedeli, mai traditori!», così ha esclamato il presidente della Costituente ed ex «numero due» di Hugo Chávez, Diosdado Cabello, citato da El Mundo.

Come sottolinea il quotidiano madrileno, si tratta di una mossa «illegale e incostituzionale», perché «solo il Parlamento può togliere l’immunità ad un deputato come Guaidó». Non è il primo tentativo da parte del regime di Caracas di intimidire Guaidó. Il 21 marzo era stato arrestato uno dei suoi più stretti collaboratori, Roberto Marrero, e giovedì 28 marzo la Corte dei Conti del Venezuela – sempre controllata dal «chavismo» – aveva annunciato l’ineleggibilità di Guaidó a ogni carica pubblica per 15 anni.

Nel frattempo continua a peggiorare la situazione socio-economica del Paese sudamericano. Mentre il governo di Caracas ha già introdotto, per un periodo di trenta giorni, il razionamento dell’energia elettrica, inizia a scarseggiare anche l’acqua, così rivela il sito del settimanale francese L’Express.

In un messaggio reso disponibile anche su Facebook, la Conferenza Episcopale del Venezuela (CEV) ha nuovamente espresso la sua preoccupazione per la «gravità della situazione» e riafferma «la dignità e la centralità della persona umana» di fronte ai «crimini contro l’umanità» commessi nel Paese. Nel documento, i vescovi cattolici del Venezuela si rivolgono «al popolo di Dio e a tutte le persone di buona volontà» e anche alle Forze Armate, invitandole «a sentirsi parte di un popolo che va difeso e servito».

Come ricorda l’agenzia Fides, il messaggio dei vescovi arriva solo pochi giorni dopo la pubblicazione di un rapporto delle Nazioni Unite (di cui il New York Times ha preso visione) sulla drammatica situazione umanitaria nel Paese, secondo il quale il 94% della popolazione venezuelana vive oggi in povertà.

Canada: Trudeau espelle due deputate per aver denunciato il caso SNC-Lavalin

A sei mesi e mezzo dalle elezioni legislative del 21 ottobre prossimo, il primo ministro del Canada, Justin Trudeau, ha espulso martedì 2 aprile dal Partito Liberale le due deputate ed ex ministre Jody Wilson-Raybould e Jane Philpott per il loro dissenso sulla gestione da parte del governo del caso o «affaire» SNC-Lavalin.

«La fiducia che in precedenza esisteva tra questi due individui e il nostro team è stata spezzata», ha dichiarato Trudeau, citato da BBC News. «Se onestamente non possono dire di avere fiducia in questo team […], allora non possono far parte di questo team», ha aggiunto il premier 47enne. A scatenare la decisione è stata la diffusione da parte dell’ex ministra della Giustizia ed ex procuratrice generale del Canada, Wilson-Raybould, dell’audio di una conversazione telefonica che ha avuto con il braccio destro del premier, Michael Wernick, registrata di nascosto, che dimostra chiaramente le (ripetute) pressioni subite dalla donna per evitare un processo alla società di ingegneria SNC-Lavalin, coinvolta in uno scandalo di corruzione in Libia.

Per punire la sua mancata «collaborazione», la Wilson-Raybould – la prima donna di origini native ad occupare il prestigioso incarico di «attorney general» (procuratore generale) –, era stata spostata a gennaio dal dicastero di Giustizia a quello molto meno importante degli Affari dei reduci di guerra.

In un tweet, il leader dell’opposizione, il conservatore Andrew Scheer, ha criticato senza mezze parole la decisione di espellere le due ex ministre. Secondo Scheer, il messaggio inviato dal Partito Liberale ai cittadini canadesi è «chiaro». «Se dici la verità, non c’è posto per te nel Partito liberale del Canada». Anche due esponenti del Partito Liberale, Michael Haack e Ujjal Dosanjh, hanno criticato l’espulsione.

Algeria: si è dimesso il presidente Abdelaziz Bouteflika

«Bersaglio di una protesta popolare inedita da oltre un mese e abbandonato dall’esercito», così spiega L’Orient-Le Jour, il presidente dell’Algeria, Abdelaziz Bouteflika, ha rassegnato martedì 2 aprile le dimissioni. «Sua Eccellenza, il signor Abdelaziz Bouteflika, presidente della Repubblica, ha notificato ufficialmente al presidente del Consiglio Costituzionale la decisione di mettere fine al suo mandato di presidente della Repubblica, a partire da oggi, martedì 26 Rajab 1440, corrispondente al 2 aprile 2019», così si legge in un comunicato diffuso dall’agenzia ufficiale Algérie Presse Service (APS). A rendere intenibile la posizione del presidente 82enne, ininterrottamente al potere dal 1999, è stata la richiesta avanzata la settimana scorsa dal capo di Stato maggiore dell’Algeria, il generale Ahmed Gaid Salah, di dichiarare Bouteflika «incapace» di esercitare le sue funzioni.

A provocare la mobilitazione popolare senza precedenti era stato l’annuncio il 10 febbraio scorso della candidatura ad un quinto mandato da parte di Bouteflika per le presidenziali previste originariamente per il 18 aprile ma poi rinviate. Mentre la notizia delle dimissioni del presidente, costretto alla sedia a rotelle dopo l’ictus subito nel 2013, è stata accolta a colpi di clacson, la grande domanda è se basterà a fermare le manifestazioni di protesta. Anche se «Boutef» (come il presidente viene chiamato) si è dimesso, il «sistema» rimane intatto. Ne fanno parte il generale Gaid Salah, che ha spinto il presidente a dimettersi, ma anche il presidente ad interim, Abdelkader Bensalah, 77 anni, descritto come «un puro prodotto del sistema», come spiega Le Monde.

NASA: l’agenzia spaziale americana vuole portare l’uomo su Marte nel 2033

I tempi stringono per l’agenzia spaziale statunitense NASA. Rivolgendosi martedì 26 marzo al National Space Council, il vice-presidente Mike Pence, aveva infatti annunciato che gli USA vogliono ritornare sulla Luna già nel 2024, ovvero nell’ultimo anno dell’eventuale secondo mandato dell’attuale presidente Donald Trump, e non nel 2028, come prima ipotizzato. «Alcuni diranno che è troppo difficile, troppo rischioso, troppo costoso, ma lo stesso è stato detto nel 1962», aveva dichiarato il vice di Donald Trump, citato dal sito Politico.

Il vero obiettivo della nuova missione verso il satellite naturale della Terra è però il pianeta Marte, così ha suggerito martedì 2 aprile l’amministratore dell’agenzia spaziale USA, Jim Bridenstine. «Possiamo avanzare l’atterraggio su Marte avanzando l’atterraggio sulla Luna», ha spiegato Bridenstine in un’audizione al Congresso, durante la quale ha dichiarato di voler portare l’uomo sul Pianeta Rosso nel 2033.

«Dobbiamo imparare a vivere e lavorare in un altro mondo. La Luna è il posto migliore per dimostrare queste capacità e tecnologie. Prima riusciremo a raggiungere questo obiettivo, prima potremo passare a Marte», ha detto l’amministratore. Per ritornare sulla Luna già nel 2024 «per rimanerci» – «non ci andiamo per lasciare bandiere e impronte e poi non ritornarci per 50 anni» – servono extra fondi, non inclusi nel budget di 21 miliardi chiesto in precedenza dall’agenzia, così ricorda il sito Gizmodo.

Le sfide sono però enormi. Per ora la NASA non dispone ancora di un razzo o vettore per ritornare sulla Luna – il progetto Space Launch System (SLS) di Boeing ha subito dei ritardi – e inoltre per arrivare alla Luna ci vogliono pochi giorni, mentre per raggiungere Marte servono dai sei ai nove mesi, visto che la minor distanza dalla Terra è di circa 57,6 milioni di chilometri.

Africa: la FAO costruirà un milione di cisterne nel Sahel

Una delle regioni della Terra più a rischio di siccità è il Sahel, ossia la fascia di territorio stretta tra il deserto del Sahara e la savana africana e che si estende dall’Oceano Atlantico a ovest al Mar Rosso a est. Perciò, l’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura delle Nazioni Unite (meglio nota con la sigla inglese FAO) ha lanciato un ambizioso programma, che mira a costruire un milione di cisterne per lo stoccaggio d’acqua nella zona del Sahel, così scrive Le Monde, che presenta il progetto.

I primi progetti pilota, che si ispirano ad una sperimentazione portata avanti in Brasile, sono stati avviati in Senegal, dove finora sono già stati costruiti 16 serbatoi da 15 m³ cadauno con materiali locali e altri tre serbatoi da 50 m³ cadauno per le comunità agricole. Cinque serbatoi familiari, che contengono una quantità d’acqua sufficiente per superare la stagione secca e per coltivare un piccolo orto, e sei serbatoi comunitari sono stati ultimati in un altro Paese del Sahel, il Niger. Nei prossimi tre anni, il programma dovrebbe beneficiare a 10.000 donne in Senegal, 5.000 in Niger e altre 5.000 in Burkina Faso.

Che affrontare la questione dell’accesso all’acqua sia cosa urgente, lo dimostra del resto un nuovo rapporto del programma congiunto di monitoraggio dell’UNICEF (Fondo per l’Infanzia delle Nazioni Unite) e dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), intitolato «WASH in Health Care Facilities».

Il rapporto – il primo del genere – evidenzia ad esempio che a livello globale nell’arco del 2016 circa un quarto, cioè il 26%, delle strutture sanitarie non disponeva di servizi idrici di base. Di questa percentuale, il 14% aveva solo servizi idrici limitati e il 12% non ne aveva proprio. Nei Paesi meno sviluppati, appena la metà di queste strutture, ossia il 55%, disponeva di servizi idrici di base, con tutte le conseguenze per i pazienti e in modo particolare per le partorienti e i n

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