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Castità e purezza: così ne parla l’esortazione “Christus vivit”

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Syda Productions

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 03/04/19

È stato finalmente pubblicato il testo dell'esortazione apostolica postsinodale su giovani, vocazione e discernimento. Dopo poche ore di sondaggio del testo a mezzo di parole-chiave (strumento utile ma aberrante ove assolutizzato), qualcuno ha osservato che le parole “castità” e “purezza” hanno nel documento una ricorrenza ciascuna. In realtà all'argomento è dedicato una pagina luminosa, ben integrata nell'impianto complessivo.

Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che Lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita. Perciò, le prime parole che voglio rivolgere a ciascun giovane cristiano sono: Lui vive e ti vuole vivo!

Lui è in te, Lui è con te e non se ne va mai. Per quanto tu ti possa allontanare, accanto a te c’è il Risorto, che ti chiama e ti aspetta per ricominciare. Quando ti senti vecchio per la tristezza, i rancori, le paure, i dubbi o i fallimenti, Lui sarà lì per ridarti la forza e la speranza.

L’esortazione apostolica postsinodale Christus vivit, con la quale Papa Francesco sintetizza autorevolmente gli spunti del Documento Finale dell’assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi tenutasi a Roma nello scorso ottobre, è una vasta ma scorrevole miniera di spunti, disposta con una scansione assai razionale e un impianto cristologico così solido che lo si percepisce distintamente fin dai primi due paragrafi.


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Come uno sguardo d’insieme

Si potrebbero dire molte cose per presentare il documento, ma per farlo adeguatamente se ne dovrebbero scrivere sicuramente più di quante possiamo permettercene in questa sede. Affido volentieri una sintesi delle impressioni generali a Laphidil Oppong Twumasi, la venticinquenne studentessa di ingegneria biomedica a Bologna che ieri mattina è intervenuta in sala stampa a presentare il documento, e lo faccio sottoscrivendone queste parole:

leggendolo mi è sembrato di parlare con una persona vicina, come un padre che mi offre consigli e suggerimenti. È un Documento che, alla luce della relazione con Cristo, illumina le diverse realtà della vita dei giovani. È facile da capire e non si perde in arcaismi, anzi, ho trovato termini come tutorial, zapping ed influencer che direi sono termini giovanili. […]

Per me è stato emozionante anche trovare citazioni testuali e anche interi paragrafi presi dal nostro Documento Presinodale, ed avendo fatto parte del gruppo di redazione a suo tempo, sento che quelle notti dove siamo rimasti svegli a mettere insieme quel Documento non sono trascorse invano. […]

Mi ha inoltre fatto molto piacere il fatto che questo Documento non sia un manuale di sola dottrina ed insegnamenti, ma per me sembra una guida e un insieme di suggerimenti, qualcosa alla quale fare riferimento quando ci sentiamo un po’ persi. Non ha risposte preconfezionate alle nostre domande perché sarebbe anche fisicamente impossibile inglobare e fare un tutt’uno della vastità e diversità di problematiche che abbiamo noi giovani e la Chiesa in generale nel mondo, perché appunto siamo diversi.

Sta a noi adesso come giovani nella Chiesa, inseriti nella pastorale giovanile, nelle parrocchie, nelle varie aggregazioni ecclesiali, nelle unità pastorali in generale, alzarci e darci da fare. Dobbiamo prendere in mano il Documento finale del Sinodo e questa Esortazione Apostolica, estrapolare i temi e le realtà a noi più vicine ed adattarle alle nostre esigenze, altrimenti tutto il lavoro fatto in questi due anni diventerebbe fine a se stesso.

Se c’era il rischio che il sentiment giovanilistico dello scorso ottobre sfociasse in un documento volto a “toccare la pancia” dei giovani, Christus vivit non soltanto ne fuga la memoria, ma la rende pure ridicola:

Voglio sottolineare che i giovani stessi sono attori della pastorale giovanile, accompagnati e guidati, ma liberi di trovare strade sempre nuove con creatività e audacia. Di conseguenza, sarebbe superfluo soffermarmi qui a proporre qualche sorta di manuale di pastorale giovanile o una guida pratica di pastorale. Si tratta piuttosto di fare ricorso all’astuzia, all’ingegno e alla conoscenza che i giovani stessi hanno della sensibilità, del linguaggio e delle problematiche degli altri giovani.

Anche dopo una rapida scorsa del testo è chiaro che non ci troverà granché, chi andasse a cercare “cosa dice di nuovo il Papa in materia di omosessualità, aborto, divorzio, eutanasia” e altre follie del nostro tempo triste. 

Neppure ci troverebbe molto chi andasse a setacciarlo in cerca di presunti sociologismi, di cosiddette derive moderniste, di “scivoloni bergogliani” e tutto quanto eccita i malsani lettori di certa stampa malata (benché si dica cattolica).


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Quanti invece cercano uno sguardo sui giovani ampio e dettagliato, paziente e intraprendente, radicato nell’Evangelo e che germoglia in tutto il mondo, che non nasconde i problemi ma neppure può disperare, questi troveranno in Christus vivit pane per i loro denti.

L’ermeneutica dei testi

C’è un modo sbagliato per leggere i documenti pontifici, ed implica purtroppo un metodo quasi ovvio, dati i tempi strettissimi che con legge non scritta c’impone il nostro mondo iperconnesso: quello di sondare il testo per parole-chiave, trovare così il paragrafo di nostro interesse, farci una sommaria idea del contenuto della pericope e sparare in pagina un titolo. Possibilmente forte nella sostanza e nella forma. Lo fanno i giornalisti e lo fanno i semplici utenti dei social (ché tanto fingere di avere un’opinione è un lusso a buon mercato): i giornalisti lo fanno quando sono lontani dalla chiesa e disinteressati (e in quel caso cercano soprattutto le parole che secondo loro dovrebbero esserci) ma anche quando sono al servizio di un organo di stampa dal forte connotato religioso (ma allora cercano anzitutto le parole che secondo loro non dovrebbero esserci).

Le statistiche lessicali offrono sempre dati interessanti, al recensore, ma essi non possono precedere né tantomeno sostituire il semplice, onesto e fiducioso approccio al testo: starci di fronte e lasciarsi portare per mano. Diversamente, la direttrice della recensione sarà necessariamente una precomprensione, più specificamente un pregiudizio, e la recensione risulterà fatta “a tesi”.


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Mi è capitato stamane di sentirmi chiedere, ad esempio, perché il Papa non parli mai nel testo della castità o della purezza, se non «una volta, peraltro in senso negativo – come argomento di incontri che destano noia». Ecco come funziona: uno prende il documento in formato digitale, apre la finestra di ricerca e scrive “castità”, esce il paragrafo 212, unica occorrenza della parola. Poi cerca “purezza” ed esce il paragrafo 36, unica occorrenza della parola. Il primo è abbastanza asettico, il secondo abbastanza generico, in sintesi: «Il Papa ai giovani è asettico e generico su castità e purezza».

Invece davanti al testo si sta lasciandocene condurre, se vogliamo capirlo: seguire la sua scansione e i suoi tempi, ricordando la lezione di Benedetto XVI nella introduzione al primo volume di Gesù di Nazaret, dando cioè al testo e al suo autore «quell’anticipo di simpatia senza la quale non c’è alcuna comprensione».

Contesto e testo in cui il Papa propone castità e purezza

Nella Christus vivit, invece, Papa Francesco inserisce l’invito alla castità e alla purezza in un contesto organico di sprone alla ricerca della propria vocazione, al crocevia tra la trattazione antropologica e l’esaltazione del matrimonio. L’ottavo capitolo, dedicato alla vocazione, si apre infatti con l’universale chiamata all’amicizia con Lui (Cristo, l’amico – secondo la migliore tradizione della devotio moderna), seguita da un richiamo antropologico all’uomo come “essere-per-altri” e solo dopo dal lungo passaggio sulla famiglia (vocazione primaria e giardino di vocazioni – e il capitolo si chiude con “il lavoro” e “le vocazioni di speciale consacrazione”).


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Qual è il senso di questa scelta? È presto detto: la castità non può essere predicata come “valore”, in assoluto e in astratto – così diventerebbe a stento l’oggetto di un’approvazione intellettuale e di uno sforzo volontaristico (destinato peraltro all’insuccesso più fragoroso). Castità e purezza hanno senso perché l’uomo è chiamato all’amicizia con Cristo, che casto e puro è, così come tali vuole e può rendere noi; hanno senso perché l’uomo è chiamato ad essere “per-altri” e a ricreare da adulto quell’«intima comunità di vita e di amore» che è la famiglia. Allora si spiega il senso della castità e della purezza, che sono buone proprio perché rivelano le mistiche dinamiche degli ingranaggi cui accennavo sopra:

In questo contesto, ricordo che Dio ci ha creati sessuati. Egli stesso «ha creato la sessualità, che è un regalo meraviglioso per le sue creature».[143] All’interno della vocazione al matrimonio, dobbiamo riconoscere ed essere grati per il fatto che «la sessualità, il sesso, è un dono di Dio. Niente tabù. È un dono di Dio, un dono che il Signore ci dà. Ha due scopi: amarsi e generare vita. È una passione, è l’amore appassionato. Il vero amore è appassionato. L’amore fra un uomo e una donna, quando è appassionato, ti porta a dare la vita per sempre. Sempre. E a darla con il corpo e l’anima».[144]

Il Sinodo ha sottolineato che «la famiglia continua a rappresentare il principale punto di riferimento per i giovani. I figli apprezzano l’amore e la cura da parte dei genitori, hanno a cuore i legami familiari e sperano di riuscire a formare a loro volta una famiglia. Indubbiamente l’aumento di separazioni, divorzi, seconde unioni e famiglie monoparentali può causare nei giovani grandi sofferenze e crisi d’identità. Talora devono farsi carico di responsabilità che non sono proporzionate alla loro età e li costringono a divenire adulti prima del tempo. I nonni offrono spesso un contributo decisivo nell’affetto e nell’educazione religiosa: con la loro saggezza sono un anello decisivo nel rapporto tra le generazioni».[145]

Queste difficoltà incontrate nella famiglia di origine portano certamente molti giovani a chiedersi se vale la pena formare una nuova famiglia, essere fedeli, essere generosi. Voglio dirvi di sì, che vale la pena scommettere sulla famiglia e che in essa troverete gli stimoli migliori per maturare e le gioie più belle da condividere. Non lasciate che vi rubino la possibilità di amare sul serio. Non fatevi ingannare da coloro che propongono una vita di sregolatezza individualistica che finisce per portare all’isolamento e alla peggiore solitudine.

Oggi regna una cultura del provvisorio che è un’illusione. Credere che nulla può essere definitivo è un inganno e una menzogna. Molte volte «c’è chi dice che oggi il matrimonio è “fuori moda”. […] Nella cultura del provvisorio, del relativo, molti predicano che l’importante è “godere” il momento, che non vale la pena di impegnarsi per tutta la vita, di fare scelte definitive. […] Io, invece, vi chiedo di essere rivoluzionari, vi chiedo di andare controcorrente; sì, in questo vi chiedo di ribellarvi a questa cultura del provvisorio, che, in fondo, crede che voi non siate in grado di assumervi responsabilità, crede che voi non siate capaci di amare veramente».[146] Io invece ho fiducia in voi, per questo vi incoraggio a scegliere il matrimonio.

Al matrimonio bisogna prepararsi, e questo richiede di educare sé stessi, di sviluppare le migliori virtù, specialmente l’amore, la pazienza, la capacità di dialogo e di servizio. Implica anche educare la propria sessualità, in modo che sia sempre meno uno strumento per usare gli altri e sempre più una capacità di donarsi pienamente a una persona in modo esclusivo e generoso.

I Vescovi della Colombia ci hanno insegnato che «Cristo sa che gli sposi non sono perfetti e che hanno bisogno di superare la loro debolezza e incostanza perché il loro amore possa crescere e durare nel tempo. Per questo, concede ai coniugi la sua grazia che è, allo stesso tempo, luce e forza che permette loro di realizzare il loro progetto di vita matrimoniale in conformità con il piano di Dio».[147]

Christus vivit 261-266

Proprio perché non è proposta come “valore”, bensì come “virtù”, la castità smette di essere un concetto astratto e comincia fin da subito a diventare un programma di vita, un traguardo attraente perché promettente e utile: essere casti e puri è doveroso perché è giusto, è giusto perché è bello, è bello perché è utile al retto funzionamento del piano divino per l’umanità e per ogni uomo. È sotteso il “provare per credere”: scommetti che tu puoi essere più felice e realizzato vivendo casto e puro che vivendo nella dissolutezza? E soprattutto un cuore giovane, ancora molto sensibile agli ideali e alle sfide, s’interrogherà assai seriamente sulla proposta.




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Non basta “non fornicare” per essere casti e puri, e questo è il lato “brutto” dell’etica delle virtù (in realtà anche questo è un elemento positivo). Viceversa, si può essere casti anche prima di avvicinarsi alla purezza di sant’Agnese e san Luigi Gonzaga: nel momento stesso in cui oggi faccio il fermo proposito di essere casto, riscopro la mia amicizia con Cristo, mi ricordo che sono fatto per gli altri (e che sono sposato/consacrato/celibe), e comincerò a declinare la mia sessualità – con o senza esercizio della genitalità – io avrò mosso qualche passo verso la castità e la purezza e comincerò – veramente, benché imperfettamente – ad essere casto. Oggi stesso. E presto i sintomi della vita pura diventeranno esperienzialmente percettibili su tutti i piani della mia persona. «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?», chiede Gesù. E sul finire del II secolo Ireneo chiosava: «La gloria di Dio è l’uomo vivente». Per questo Cristo ci vuole vivi: perché Egli vive.

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