Una domanda su una delle più celebri parabole di Gesù, quella del seminatoreNei Vangeli di Matteo, Marco e Luca troviamo le Parabole che raccontava Gesù ai suoi discepoli e alla folla. Fra le varie parabole mi viene in mente quella del Seminatore in cui racconta la semina del contadino e i frutti che porta quando cade nella terra buona e in quella spinosa. La mia domanda è questa: la nostra vita è un’insieme di semine con la speranza di vedere un giorno i frutti buoni ma come facciamo a capire se stiamo seminando sul terreno buono anche se rispettiamo ogni norma e regola dettata dal buon senso che si può applicare in tanti contesti?
Marco Giraldi
Risponde don Francesco Carensi, docente di Sacra Scrittura alla facoltà teologica dell’Italia centrale
Le parabole del seminatore si trovano nei vangeli sinottici, Marco, Luca e Matteo. Siamo di fronte ad un’antologia di detti parabolici legati all’immagine del seme. Se Gesù racconta una parabola di questo tipo, non è per scoraggiare i discepoli sulla possibilità che il seme gettato, vada perduto e non porti frutto, ma per garantire che un risultato positivo ci sarà.
Il testo di riferimento che può aiutare a comprendere queste parabole, è la versione di Marco (4,31-34). Nel terreno palestinese a differenza della nostra abitudine di arare e seminare, si inizia con la semina e solo dopo si ara. È quindi inevitabile che il seme finisca anche in mezzo alle pietre, o che finisca sul sentiero, o che finisca in mezzo ai cespugli.
Noi spesso ci lasciamo ingannare dalle quattro immagini, cioè dai vari terreni dove cade il seme. Non significa che un quarto va sul sentiero, e un quarto va sulle pietre, etc.
Il sentiero è più stretto del campo, e la parte che cade sul terreno buono è maggiore. Ricordiamo poi che questo contadino particolare è preceduto da un articolo determinativo (il seminatore) che non può essere che Dio.
Importante è il finale della parabola, quando Gesù afferma che quel seme renderà cento volte, e come possibilità, il sessanta o trenta. Ma ci rendiamo conto che poco che renda, rende sempre il trenta. Una cifra comunque abbondante.
Il messaggio che Gesù vuole dare con questa parabola è quello di un risultato grande, che supera ogni attesa. È una parabola di speranza, e di grande attesa, che cerca di consolare gli apostoli, cercando di far capire che là dove c’è la sua parola il messaggio arriva, l’effetto c’è perché la sua parola trasforma.
Non dimentichiamo il testo di Isaia 55,10:
Come infatti la pioggia e la neve
scendono dal cielo e non vi ritornano
senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme al seminatore
e pane da mangiare,
così sarà della parola
uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata.
Il risultato non dipende dal nostro impegno, in prima istanza, ma è La parola di Dio che realizza quello che dice. Un altro importante passo di Marco conferma quanto detto, nei versetti 26-29 : «Gesù diceva [alla folla]: “Così è il Regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura”».
Occorre meravigliarsi che il seme della Parola di Dio darà frutto anche se l’uomo non se ne accorge, e di conseguenza occorre avere fiducia nella forza del seme. E il seme è la parola che annunciata darà frutto anche se l’eventuale predicatore che fatica non se ne accorge, né può verificare i risultati.
La nostra pastorale a servizio della vita cristiana deve vivere nell’attesa e nella speranza che il seme buono darà frutto anche in maniera invisibile.
La speranza del raccolto e della mietitura non può essere messa in discussione. La risposta è fidarsi di Dio e permettere che la sua parola lavori nella nostra vita.