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Hector Berlioz, un ateo al servizio della fede

BERLIOZ; MUSIQUE

© Pierre Petit [Public domain]

Caroline Becker - pubblicato il 29/03/19

Anche se è più noto per la sua Sinfonia Fantastica che per la sua fede, ha lasciato alcuni capolavori di musica sacra che continuano a ispirare chi ama la musica, credente o meno

Destinato alla carriera medica come suo padre, il giovane Hector Berlioz non aveva inclinazioni per la scienza e l’anatomia. Fin dalla tenera età si sentì attratto dalla musica e sognò una carriera da artista. Suo padre, però, non lo incoraggiava, e arrivò al punto di proibirgli il pianoforte.

Appassionato e testardo, il giovane Berlioz disobbedì e abbandonò la biblioteca della facoltà di Medicina per quella del conservatorio, dove si confermò la sua vocazione. Nel 1823 lasciò finalmente la medicina per iscriversi alle lezioni di composizione di Jean-François Lesueur, compositore francese e nipote del famoso pittore Eustache Lesueur.

Ateo, e tuttavia…

All’inizio la carriera di Berlioz faticò a decollare. Fallì tre volte nel concorso del Premio di Roma, scandalizzò il pubblico con la sua Sinfonia Fantastica, la cui costruzione musicale non risultò gradita a tutti, e ricevette in generale una cattiva accoglienza in Francia.

In parte per dissipare questo fatto, Berlioz iniziò a scrivere le sue memorie nel 1849. Viaggiò in tutta l’Europa, fino in Russia, riscuotendo grande successo. La sua musica si avvicinava allo stile più romantico che all’epoca trionfava in Germania.

Anche se è più noto per le sue sinfonie e le sue opere, Berlioz si fece conoscere anche nel campo della musica religiosa, cosa sorprendente considerando che mostrava senza pudore il suo anticlericalismo dichiarando però al contempo: “Non ho bisogno di dire di essere stato allevato nella fede cattolica, apostolica e romana. Questa religione splendida è stata la mia fonte di felicità per sette anni interi, e anche se abbiamo lottato per molto tempo ne ho sempre conservato un ricordo molto tenero”.

Sarà stata questa tenerezza a convincerlo ad accettare alcune commissioni per opere religiose?

La Messa Solenne

Nel 1824, il maestro della cappella della chiesa di San Rocco chiese al giovane compositore di scrivere una Messa solenne per il giorno dei Santi Innocenti, festa patronale dei chierichetti.

La presentazione, rimandata per problemi di prove, ebbe luogo il 10 luglio 1825, e il giovane Berlioz, noto per il suo rigore, approfittò di quel momento per migliorare i dettagli.

Il giorno della prima, mentre terminava l’esecuzione, il suo maestro Lesueur, orgoglioso, gli disse: “Fatti abbracciare! Non sarai medico né farmacista, ma un grande compositore. Hai genio, lo dico perché è vero”. La partitura, non pubblicata all’epoca, scomparve per molto tempo prima di essere ritrovata nel 1992 nella chiesa di San Carlo Borromeo ad Amberes, ed è stata rieseguita per la prima volta nel 1993 sotto la direzione di John Eliot Gardiner.

Il Requiem

Berlioz ricevette poi un secondo incarico religioso di prestigio. Nel 1837 venne scelto dal Ministro dell’Interno, Adrien de Gasparin, per comporre un Requiem. Gelosi, e ritenendo che le opere di Berlioz esulassero dalle regole, i sostenitori di Cherubini cercarono di cancellare il contratto, riuscendo nell’intento. Dopo tre mesi di composizione, il Ministero cancellò il contratto senza alcuna spiegazione.

L’opera, però, non venne dimenticata, e fu eseguita nella cappella des Invalides in occasione della sepoltura del generale Damrémont e alla presenza della famiglia reale. Fu una rappresentazione grandiosa, perché Berlioz aveva a disposizione 190 strumentisti e 110 coristi.

Il Te Deum

Tra il 1848 e il 1849, Berlioz si dedicò alla composizione di una delle sue ultime grandi opere: il Te Deum. Originariamente elaborato sperando che venisse interpretato per l’incoronazione di Napoleone III, non venne considerato per quell’occasione. Fu però diretto per la cerimonia di inaugurazione della Fiera Mondiale del 1855 nella chiesa di Saint-Eustache di Parigi.

La “struttura” fu impressionante: 900 artisti, inclusi 160 strumentisti e un coro di 600 bambini. Venne anche progettato un organo speciale per quel giorno. Stupito, il critico musicale Edmond Viel scrisse su Le Ménestrel il 6 maggio 1855: “Berlioz è l’uomo delle grandi macchine musicali; il suo pensiero, così pittoresco, è pieno di elevazione, gli piace essere tradotto da mezzi e combinazioni eccezionali. In mezzo allle masse vocali e strumentali, sembra un re che domina i suoi sudditi, un generale che manovra le sue truppe, o meglio ancora il genio della musica che lancia o trattiene a volontà, agitando o calmando le tormente sonore dell’armonia”.

Anche se Berlioz aveva perso la fede della sua infanzia, la religione continuò a ispirarlo per tutta la vita. Più che la fede, è stato l’amore a sublimare tutta la sua opera magistrale. “Quale dei due poteri può elevare l’uomo alle vette più sublimi, l’amore o la musica? L’amore non può dare un’idea della musica, ma questa può darla dell’amore… Perché separare l’una dall’altro? Sono le due ali dell’anima”, diceva.

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