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Frances Bean Cobain, sarebbe stato incredibile avere un padre

KURT, COBAIN, DAUGHTER

space witch | Youtube

Annalisa Teggi - pubblicato il 28/03/19

La figlia del leader dei Nirvana, morto suicida quando lei aveva appena 20 mesi, racconta la mancanza di un affetto in carne e ossa da chiamare papà.
Se fosse rimasto vivo, io avrei avuto un padre e sarebbe stata un’esperienza incredibile.

Quando ho incrociato queste parole non ho potuto far a meno di fermarmi. Il desiderio di legami originali che cresce in luoghi inospitali mi attrae. E così, grazie allo spunto offerto da un articolo di MarieClaire, sono andata a rileggermi l’intervista che la figlia di Kurt Cobain, Frances Bean rilasciò nel 2015 a Rolling Stone.

Il leader dei Nirvana si suicidò quando lei aveva appena 20 mesi, la madre Courtney Love aveva portato avanti la gravidanza continuando a farsi di eroina. Basterebbero questi pochi elementi per farne una storia umana tragica e infelice. Basterebbero questi pochi elementi per confezionare una reprimenda su una pessima famiglia, e cavarsela così a buon mercato.


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La famiglia, il concetto astratto di essa soprattutto, oggigiorno è oggetto di contesa. Madre e padre sono figure indispensabili? Basta l’amore per crescere i figli e un variabile mix di genitori naturali, surrogati, acquisiti, mancanti? A fronte di tante posizioni ideologiche, ecco una piccola storia vera: il ritratto di una figlia che ha conosciuto il volto più tragico e assurdo della famiglia, e non rinuncia a confrontarsi con questi termini desueti, padre e madre. Non compaiono più su certi moduli burocratici da compilare, ma non scompaiono dal nostro DNA … evidentemente.

Una presenza ineluttabile

Il prossimo agosto Frances Bean Cobain compirà 27 anni, l’età in cui suo padre Kurt si suicidò. L’ultima volta che lo vide, non aveva ancora due anni, lui era in un centro di riabilitazione. All’indomani del tragico lutto, nacque il mito del frontman dei Nirvana e Frances veniva sballottata da una nonna all’altra, a causa della non affidabilità della madre, Courtney Love.


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Non solo le persone integerrime e moralmente impeccabili diventano genitori. Quante volte questo moralismo incombe sulle nostre discussioni? Se la famiglia tradizionale è luogo di così tante violenze, allora meglio che sparisca o che si valorizzino altre unioni dove l’amore conta davvero. L’amore, con tutto il mistero di dolore che ne deriva, non appartiene solo alle persone per bene. La famiglia fondata sul mito astratto dell’amore non esiste, non è mai esistita.

E questo non giustifica il male che può accadere dentro una famiglia. E’ solo la premessa per dire che i legami naturali, padre e madre e figli, non si lasciano imbrigliare da etichette esclusive: buono o cattivo, amorevole o spregevole. Frances Bean non ha un rapporto semplice con i suoi genitori, fa i conti con un vissuto complesso: difende una madre quasi indifendibile, ha scelto di riferirsi al padre chiamandolo solo per nome ma nutre per lui un profondo amore.

Alcuni fotogrammi della vita di questa giovane ragazza ci portano in un territorio inospitale e montuoso, che pure ci restituisce un’idea di famiglia in termini chiarissimi. Racconta Frances:

Kurt arrivò al punto di sacrificare tutto ciò che era per la sua arte, perché il mondo glielo chiedeva. Penso che questo sia stato uno dei principali motivi scatenanti che lo indussero a pensare di non volere più stare qui e che tutti sarebbero stati più felici senza di lui. Ma in realtà, se fosse rimasto in vita, avrei avuto un padre. E quella sarebbe stata un’esperienza incredibile. (da Rolling Stone)
Photo of Kurt COBAIN and NIRVANA
Photo by Michel Linssen/Redferns
NETHERLANDS - NOVEMBER 25: HILVERSUM Photo of Kurt COBAIN and NIRVANA, Kurt Cobain recording in Hilversum Studios, playing bass guitar (Photo by Michel Linssen/Redferns)

Una lucidità che suscita stupore. Aveva 22 anni quando disse questo, Frances. Non antepone il suo cuore ferito di figlia, s’immedesima nella sofferenza del padre. Non c’è odio, non c’è idolatria. Poi, però, da figlia non gira attorno al discorso: comprende le ombre pesanti che spinsero Kurt al suicidio, ma reclama la mancanza di un padre presente.


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Il secondo fotogramma è dedicato al bisogno cocciuto di presenze. In un passaggio successivo dell’intervista la giovane Cobain è ancora più chiara nel dipingere il dramma della sua vita, l’onnipresenza del “mito” e l’assenza di un uomo vivo da chiamare papà:

Avevo circa 15 anni quando mi resi conto che era una presenza ineluttabile. Anche mentre sono in macchina e ho la radio accesa, c’è mio padre. E’ ormai oltre la vita stessa e la nostra cultura è ossessionata dai musicisti morti. Amiamo metterli sul piedistallo. Se Kurt fosse stato solo un altro tipo che abbandona la famiglia nel peggior modo possibile… ma non lo era. Ha ispirato la gente a metterlo sul piedistallo, a farlo diventare San Kurt. La sua figura si è addirittura ingigantita dopo la morte.

Il mondo delle presenze fa la differenza, deve averlo chiaro Frances Bean che ha lavorato nella sede di Rolling Stone a un passo dalla gigantografia del padre, e che ha anche lavorato con cura certosina al documentario su suo padre Kurt Cobain: Montage of Heck. Ha cercato in tutti i modi di conoscerlo e di amarlo, ma non a potuto parlargli e tenerlo per mano.

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Le presenze contano, ce lo conferma un’altra istantanea della sua vita. A soli 13 anni Frances Bean  disse a un giornalista di aver appeso al muro di camera sua le foto dei suoi pochi amici. L’intervistatore si aspettava che ci fossero dei poster di personaggi famosi, ignorando evidentemente che il cuore di lei aveva già scelto la strada degli affetti in carne e ossa da abbracciare:

Ho cinque migliori amici ma due migliori-migliori amiche, Samantha e Giana, loro sono le mie super migliori amiche e le ho messe sul mio muro. (da I-D)

Costruire con mattoni nuovi

In luoghi abbandonati noi costruiremo come mattoni nuovi.

E’ il mio verso preferito di T. S. Eliot e non perché io veneri l’astrazione della poesia, ma perché ne amo la semplicità operativa. La famiglia è uno di quei luoghi abbandonati che occorre ricostruire con mattoni nuovi. Ma dove trovarli? Nel cuore ferito e vivo dei nostri simili.


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Lì dove una persona vive in pienezza di gioia e patimento la propria esperienza, troveremo calce e cemento che non patiscono usura né il vento passeggero delle ideologie. Ci sono luoghi deserti e inospitali dove l’idea idillica e buonista di famiglia è stata tradita, da cui emergono voci che parlano di verità antiche quanto il mondo. Non ho lo scanner umano per giudicare Frances Bean Cobain, le poche informazioni che ho raccolto la ritraggono come una delle tante celebrità che si barcamena con gli affetti zoppicando. Ha dato una festa di compleanno mettendo a tema il suicidio. La morte è un tema debordante della sua vita, confessa.

Proprio perciò mi pare che ci sia qualcosa che la sua voce ci suggerisce in modo efficace, più di molti che dedicano le proprie giornate a fare battaglie puramente intellettuali su cosa sia o non sia la famiglia.

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Il padre è una presenza ineluttabile. Si possono fare i conti con genitori che fanno il male, eppure non odiarli solamente. E poi una nostalgia che si aggrappa all’idea di essere tre: perché – mi chiedo – una giovane come Frances (a cui nessun bigotto lavaggio del cervello è stato fatto, che potrebbe benissimo lodare l’assenza di vincoli, idolatrare il via vai dei sentimenti) serba come memoria prima e indelebile questo ricordo amaro di “essere in tre”?

Il mio primo ricordo è quello di essere in tre su una sedia di pelliccia sintetica su cui era dipinto un volto. Avevo una bambola in braccio, avvolta in una coperta, e giocavo a fare la mamma. Usavo quella sedia come culla per la bambola. Questa è la prima memoria della mia vita. Non ho ricordi di mio padre (da The Indipendent).

Lei, il volto su una sedia e una bambola in braccio: sono tre, ma solo uno di loro è vivo. Una bambina in compagnia di nessuno in carne ed ossa che gioca a fare una famiglia. Perché mi chiedo è questo il suo primo ricordo? E stare nello spazio che apre questa domanda mi ripiomba coi piedi per terra.


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