"Era un neuroblastoma allo stadio 4, sono parole piuttosto terribili da sentirsi dire. Ora possiamo pronunciarle, ma all’inizio no" così mamma Kimberly comincia a raccontare questa storia di dolore e speranza.
Vivere la disabilità e la malattia come quotidiane compagne di vita mette alla prova una famiglia. Sappiamo che nei momenti più difficili l’umano è capace di trovare risorse impensabili, ma la fatica e le obiezioni quotidiane – le molte forme di inciampi, ostacoli, paure – sono un peso che non si cancella. I grandi riflettori del mondo sdegnano queste storie di straordinaria cura perché un falso pregiudizio ci porta a misurare con criteri sballati il “valore” delle persone e dei gesti.
Questa piccola storia che viene dal Canada è un’ulteriore testimonianza di quanto seme di speranza ci sia dentro un piccolo recinto domestico, dove persone semplici e comuni – messe alla prova – rispondono ai bisogni con una creatività entusiasta; e sarebbero, invece, più che giustificate a sovrabbondare in lamentele e adirate invettive contro il destino.
Evelyn e il neuroblastoma
Era un neuroblastoma allo stadio 4, sono parole piuttosto terribili da sentirsi dire. Ora possiamo pronunciarle, ma all’inizio no. (da Today)
Kimberly Moore comincia così a raccontare il momento in cui ha appreso della malattia di sua figlia Evelyn, quando aveva appena 4 mesi. Il tumore aveva attaccato la spina dorsale, un polmone e il cuore. Otto cicli di chemioterapia hanno permesso di sconfiggere la bestia, ma la bimba è rimasta paralizzata agli arti. All’età in cui gli altri si lasciano andare all’ebrezza di gattonare e poi camminare, Evelyn ha perso l’uso delle gambe. I Moore sono usciti dall’ospedale con una figlia viva, una vera benedizione, ma avevano addosso otto mesi di permanenza in clinica e gli strascichi di una forte depressione e un’ansia fuori controllo.
Tornare a casa è stato un chiaroscuro di gioia e paura: si trattava di pensare e dare concretezza a una nuova realtà, non ipotizzata a priori. Nient’altro che la quotidianità ha stimolato mamma e papà Moore a inventare uno strumento che, in seguito, ha calamitato l’attenzione di molti: una sedia a rotelle su misura. Il pensiero è nato dal desiderio più semplice possibile: permettere a Evelyn di muoversi. E si sa che i bambini amano i percorsi spericolati … fatti di zig zag e cambiamenti di rotta improvvisi, di corse e frenate. Una sedia a rotelle non offre una così vasta gamma di opzioni, ma nel caso in questione il problema era a monte: non esistevano supporti medici per bimbi di quasi due anni.
L’idea di vedere Evelyn trascinarsi a terra in stile addestramento militare fino all’età giusta per avere una sedia a rotelle ha innescato la creatività dei signori Moore.