Era arrabbiata, triste, stanca. Pregò, pianse e infine accettò il consiglio di un’amica di dedicarsi al volontariato. E così, poco dopo, tutto cambiò… perché il Signore provvede!Era il 6 giugno del 2000. Giorno del mio ultimo esame all’Università (Scienze dell’Educazione). Camminavo lungo una lunga strada centrale nella città dove ero andata ad abitare di recente ed entrai dentro una chiesa. Mi misi di fronte al Santissimo Sacramento. Era il decimo anno che la mia vita era andata a rotoli: la morte della mia nonna quando avevo 10 anni aveva segnato l’inizio della mia adolescenza. Il tutto proseguì con la separazione dei miei genitori, con la confusione venutasi a creare a causa di un uomo che aveva rovinato mia madre (e che prima o poi incontrerò di nuovo) e col suo successivo tentativo di togliersi la vita. Avevo attraversato storielle affettive di poco conto e, all’alba dei vent’anni, ero stufa.
Glielo dissi così, a Nostro Signore: “Vuoi altro da me?”. Ero arrabbiata. Triste. Stanca. Avevo subìto le decisioni di adulti immaturi (alcuni direbbero “liberi”) e in quel momento, ero definitivamente inesorabilmente incontrovertibilmente stufa.
Uscii di Chiesa. Piangendo. I miei occhi non sapevano più dove trovare le lacrime. Avevo diritto di diventare padrona della mia vita?
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Camminai per un po’ e andai a trovare una cara conoscente, responsabile della scuola guida dove avevo preso la patente. Ridendo e scherzando, un po’ per passare il tempo, mi disse che forse avrei avuto bisogno di fare un po’ di volontariato, progetto che avevo accarezzato già da qualche settimana. Mi suggerì di andarmi a segnare al corso per andare sull’ambulanza, presso l’associazione di volontariato lì vicina. Aggiunse ridendo che lei il marito lo aveva trovato lì. Giunsi baldanzosa presso la portineria e mi iscrissi al corso, come suggeritomi. La sera mi presentai e cominciai a seguire la lezione. Pochi istanti dopo, ci divisero in gruppi e un ragazzo si presentò a fare due chiacchiere. Qualche giorno dopo mi invitò al mare: era moderatamente insistente, così mi costrinse a prenderlo di punta e affrontarlo: “Amico – gli dissi perentoriamente – se ciò che cerchi è divertimento, hai sbagliato strada. Io devo sposarmi e farmi una famiglia. Per cui prendi la tua decisione”. Poveraccio: non sono mai stata famosa per la mia delicatezza. Temo di averlo ghiacciato, poiché passò un po’ di tempo prima che lui si accorgesse che la mozzarella stava colando dalla fetta di pizza che teneva sospesa per aria a bocca aperta. Rimase interdetto qualche minuto, poi, con la mozzarella colata in bocca e un grande imbarazzo mi disse un “A me va bene”.
Iniziai ad accettare le sue visite. Stavamo sotto casa mia per qualche minuto, poi lui tornava a lavorare. Continuò così un mesetto, prima ch’io cedessi (anche il marmo può scalfirsi). Decidemmo di andare in montagna assieme e lì fu rapida la decisione di sposarci il maggio successivo.
Poi successe. Ci affidammo. Non era un’impresa semplice. Ma io buttai giù dal letto Nostro Signore e gli chiesi aiuto. Potevo fidarmi? Era arrivata la mia serenità? Toccava a me?
Il 6 giugno 2001, esattamente 365 giorni dopo il nostro incontro, lo sapemmo. Alle 17.02 nacque nostra figlia.
Meglio di così, Nostro Signore non poteva dircelo.
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