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«Né seduttore né presuntuoso»: parla l’autore di un libro su san Giuseppe

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© Philippe Lissac / Godong

Joseph Vallançon - pubblicato il 18/03/19

Né sdolcinati né astratti, le “Pensées spirituelles sur saint Joseph” (Artège 2019) rendono al capo della Sacra Famiglia i dovuti onori. Abbiamo intervistato l’autore, frate Dominique Joseph, monaco della Famille de Saint Joseph e presidente della rete Saint Joseph International.

San Giuseppe, un santo troppo discreto? E se la sua vita, la sua vocazione di sposo, il suo mestiere fossero da riscoprire? Anche se fu una figura nell’ombra, padre Dominique-Joseph riesce a mostrare nel suo recentissimo “Pensieri spirituali su san Giuseppe” quanto il carpentiere di Nazaret possa parlarci. L’autore, biblista, monaco di una nuova comunità (La Famille de Saint Joseph) a Puimisson, vicino Béziers (Hérault), ci fa entrare nel mistero e nella profondità della vita del discendente del re Davide. Nella vita amorosa come in quella lavorativa, non abbiamo finito di (ri)scoprire le lezioni dello sposo della Vergine.

Joseph Vallançon: San Giuseppe è l’uomo obbediente per eccellenza. Quel cuore a cuore docile di san Giuseppe con la volontà del Padre va riscoperto?

P. Dominique-Joseph: Nel XXI secolo rivendichiamo l’autonomia con molta forza. Promettiamo il compimento, l’autorganizzazione del sé, mediante il sé e spesso per il sé. San Giuseppe ci ricorda che vivere dello Spirito Santo – per noi, cristiani, vivere secondo l’insegnamento dell’Evangelo – è esattamente il contrario. A che serve costruire palazzi, se Dio non l’ha chiesto? Se quei palazzi non servono il Regno? Se essi non sono che a gloria del nostro ego? San Giuseppe non ha mai fatto qualcosa che non fosse al servizio di Dio, che non fosse una risposta alla volontà di Dio. In tal senso, è un modello particolarmente fecondo per noi oggi.


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San Giuseppe non è un seduttore ma un servitore

J. V.: San Giuseppe è stato innamorato di Maria. Come può aiutare i single a trovare l’anima gemella?

p. D.-J.: In effetti io credo che Maria e Giuseppe fossero due giovani profondamente innamorati l’uno dell’altro. Non sottoscrivo la tesi del matrimonio combinato. San Matteo lo dice nell’introduzione al suo Vangelo: Maria è presentata come fidanzata (1, 18) e Giuseppe è immediatamente chiamato “sposo di Maria” (1, 16). Lo sposo è colui che ama. Il Nuovo Testamento si apre dunque con un matrimonio autentico. I fidanzati e gli sposi trovano naturalmente un modello e un esempio in Maria e Giuseppe. Quanto ai single, mi sembra che possano trovare in san Giuseppe un prezioso alleato. I giovani uomini apprenderanno l’amore che serve, le giovani donne scopriranno l’amore oblativo dell’uomo.

J. V.: Può essere più preciso?

p. D.-J.: Contrariamente all’amore rapace che mette la mano sull’altro, per sé, per il proprio piacere, l’amore coniugale è offerta di sé e rispetto del cammino di santità del coniuge. In quanto sposo, san Giuseppe discerne il progetto dello Spirito Santo su Maria, si preoccupa dell’identità spirituale della sua fidanzata e si mette al suo servizio. È così che san Girolamo (Padre e Dottore della Chiesa morto nel 420, N.d.R.) afferma che la verginità di san Giuseppe è al servizio della verginità di Maria. L’argomento è forte e oltrepassa i semplici accorgimenti sociali che alle volte s’erano escogitati, tipo rappresentarlo come un vecchio “inoffensivo” per la verginità di Maria.

J. V.: San Giuseppe avrebbe dunque scelto egli stesso di custodire la verginità per amore di Maria?

p. D.-J.: San Giuseppe sposa Maria conoscendo perfettamente la consacrazione verginale della sposa (e come avrebbe fatto Maria a nascondergliela?), divenendo il custode della sua verginità. In altri termini, Giuseppe non è un seduttore (non porta la donna a sé), bensì è un servitore: va verso il suo sposo come collaboratore del disegno divino su di lei. Notate che è vero anche il reciproco: Maria e Giuseppe sono i mutui custodi delle reciproche verginità.

J. V.: L’amore di Giuseppe per Maria è apertura all’altro mediante lo spossessamento di sé? Il contrario del possesso “mondano”, insomma…?

p. D.-J.: Esattamente questo. È una forma di oblazione, vale a dire di offerta. E tutti gli innamorati – o apprendisti tali – possono misurare il proprio amore su questo metro. Tale movimento, tuttavia, non si spiega che mediante l’apertura della coppia all’Amore in sé. Nella relazione di Maria e di Giuseppe, Dio risveglia in ciascuno dei due l’amore del coniuge. Per l’uno e per l’altra, Dio è il primo. Questo significa che per loro il matrimonio è una forma della loro consacrazione a Dio. Tutti gli sposi sono chiamati a vivere questo, in una certa maniera, ma Maria e Giuseppe sono gli unici che hanno vissuto tale mistero nella sua pienezza.


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San Giuseppe non cerca di autorealizzarsi

J. V.: Sembra che lei stia mostrandoci san Giuseppe come “un maestro della piccola via”, colui che «ha rinunciato a ogni sicurezza». Noi cristiani, però, spesso siamo fagocitati da ogni sorta di sicurezza affettiva, finanziaria o materiale, morale o spirituale. In cosa san Giuseppe può aiutarci a uscire dalle nostre sicurezze?

p. D.-J.: Ecco una questione centrale, dal momento che facciamo fatica a dare a Dio la nostra fiducia. Piuttosto che dargli fiducia, cerchiamo dei sostituti: i soldi, il potere, i piaceri, la vanagloria… Preferiamo le sicurezze alla fiducia e Dio stesso può diventare una sicurezza tra le altre: ci si butta nella vita sperando che egli assicuri l’esito. La vita di san Giuseppe illustra l’autentica umiltà spirituale: egli si assume il rischio di non contare su altri che su Dio, invece di correre dei rischi rifacendosi a Dio.

J. V.: Per i moderni imprenditori che vorrebbero metter su bottega, san Giuseppe ha ancora qualcosa da dire?

p. D.-J.: Nulla Giuseppe intraprende per perseguire i propri obiettivi: egli non cerca l’autorealizzazione né lo sviluppo personale – risponde in tutto alla volontà di Dio. Nella bottega di Nazaret egli ha certamente conosciuto le preoccupazioni di ogni imprenditore: gli insolventi, i cattivi clienti, le difficoltà di approvvigionamento e via dicendo. Però le viveva in modo tale da essere trovato degno di ricevere Gesù come apprendista e come compagno di lavoro. Questo potrebbe essere un criterio per valutare ogni impresa: Gesù ci lavorerebbe felice? Le relazioni nei gruppi di lavoro manifestano Gesù come fratello? Ci si realizza la volontà di Dio?

J. V.: Fare impresa come san Giuseppe significa dunque non anticipare le cose?

p. D.-J.: Governare significa prevedere. San Giuseppe aveva senza dubbio il senso dell’iniziativa. Questo non è certo incompatibile con l’ascolto e con l’obbedienza: è la volontà di Dio che non dobbiamo anticipare. Dio conosce il tempo per agire; resta da tenere desta la vigilanza interiore per interpretare i segni dei tempi e sentire la chiamata del Signore. Ogni azione necessita un cuore che ascolta.




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[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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