Intervista con l’attore romano che gira l’Italia con uno spettacolo sulle ultime parole di Gesù e che a teatro parla di sesso e mistica cristianaLo guardi in faccia e ti fa subito simpatia, lo ascolti e capisci subito che è un attore, e di quelli bravi, parliamo di Giovanni Scifoni, romano, classe 1976, passato dalle fiction alla tv dei vescovi, ma sempre con il cuore ancorato al teatro e il naso all’insù a scrutare il Cielo. Giovanni con Dio ha un rapporto vero, un corpo a corpo che ben si adatta alla fisicità del teatro, alle rinunce, alle gioie e ai dolori dell’arte. Che questo rapporto esiste ed è sincero, si vede dai suoi lavori, lo avrete visto quasi certamente alle prese coi santi, di cui fa divertentissime clip per la sua pagina facebook, per togliere il patinato da uomini e donne fortissimi, che spesso abbiamo il demerito di trasformare appunto in “santini”, un qualcosa di tascabile e quindi in fondo poco impegnativo.
Giovanni Scifoni per il Burkina Faso https://t.co/8cHAYPpqcS di @YouTube
— Serena Sartini (@SereNere76) 14 marzo 2019
Con lui Aleteia ha parlato di santi, di sesso, di famiglia, di figli (lui ne ha tre), di arte, e delle sue ultimissime fatiche, come quella che anche adesso lo ha portato al Brancaccino a Roma, ma che prossimamente, per una data speciale, lo porterà il 10 aprile al mitico Brancaccio. Parliamo di “Santo piacere” che è – fin dal titolo – un qualcosa di geniale, che rompe con un certo modo di comunicare del mondo cattolico il tema del sesso.
Giovanni come ti è venuto in mente?
Sono rimasto folgorato della lettura Mistica della Carne di Fabrice Hadjadj che descrive che nel mondo ci sono due tipi di esseri umani: i bigotti e i libertini, i libertini propongono una carne senza mistica e i bigotti l’opposto, una mistica senza carne. I cristiani invece devono proporre una mistica della carne. Dentro di me, mi sono guardato, ho una carica di testosterone che mi fa fare mille cose: mi ha fatto mettere su famiglia, mi spinge a fare molte delle cose folli che faccio, possibile che non abbia a che fare con Dio? Il primo comandamento del resto è “andate e moltiplicatevi”. Nello spettacolo emergono le domande facili facili: c’è una via alla santità che passa per il sesso? Ho cercato di scrivere una sorta di romanzo di formazione erotico-sentimentale del giovane cattolico attraverso mille situazioni, personaggi, dall’adolescenza ai quaranta. Per rispondere alle domande della vita…
Come la mettiamo con il VI comandamento?
Questo facciamo: un grande viaggio nel sesto senza dare risposte, ma proponendo domande e coinvolgendo il pubblico. Un viaggio anche dentro la storia della Chiesa, questo ragazzo – il personaggio principale – ha due maestri: uno è un pretino che non ha proprio gli strumenti e che lo rimanda settimana dopo settimana ai corsi in parrocchia, e un altro è un pizzaiolo islamico che sa tutto della teologia dei papi, che ha letto tutte le encicliche e gli dà delle dritte mostruose con delle risposte fulminanti!
Come sta andando lo spettacolo, so che hai avuto un successo pazzesco…
Adesso al Brancaccio mi tremano le gambe all’idea di andare a fare lo spettacolo lì il 10 aprile è bello e terribile [ci sarà una data extra proprio per via del grande successo al Brancaccino, nda]. Il pubblico della fiction non è che veniva automaticamente convogliato nel teatro, invece la gente coinvolta sul web, ha generato un popolo che mi segue e che va a teatro! C’è una comunità che si vuole incontrare. In tv tu spii, rimani nella tua vita, nel web invece tu partecipi a quel che vedi, quando un artista si esprime sul web è come se promettesse qualcosa di più grande dopo, a cui poi le persone hanno voglia di partecipare. Il web funziona tanto più sei autentico e le persone vengono a testare la tua sincerità. In teatro non si può mentire. Si mente per produrre una verità!
Per restare in tema: Papa Francesco fece fare la ola a molti quando disse “Il sesso è un dono di Dio” nel 2016, e poi lo ha ripetuto in occasione del Sinodo dei giovani a cui hai partecipato anche tu…
Il papa mi ha dato un assist (ride). Ma anche Giovanni Paolo II con la Teologia del Corpo, ma la genialità di Francesco è nell’immediatezza del messaggio e nella sua chiarezza. Ma in realtà quello che più mi ha spronato è l’enciclica Laudato Si’, che dice una cosa semplicissima ma lampante: l’ecologia integrale, avere rispetto per il Creato e avere rispetto per il nostro corpo sono la medesima cosa. Buttare le cose e buttare le relazioni, i nostri corpi, il nostro sesso sono lo stesso movimento. C’è una corrispondenza tra l’inquinamento ambientale e quello della propria persona, del proprio corpo, quella che il Papa chiama di continuo “la cultura dello scarto”.
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La TV, il teatro, i social. Un artista a tutto tondo, tra l’altro tu vieni dalla Silvio D’Amico, un’ottima scuola. Dove ti trovi più a tuo agio?
Teatro tutta la vita. Proprio per la partecipazione del pubblico. Con la tv non hai percezione del confronto. Evviva gli hater! Sono il pane quotidiano, creano interesse, discussione. Per ognuno di loro che ti urlano dietro, ci sono cento persone che ti difendono. Io mi diverto tantissimo a rispondere! C’è un sacerdote che mi definisce “il figlio del demonio”, lui è lì, sempre, mi accompagna, ogni volta che posto qualcosa. Ci sono ovviamente i rischi se sei una persona esposta, e gli errori li paghi, la gente subito ti fa notare, ti urla, ti minaccia, ma è così.
Le “Ultime sette parole di Cristo” invece ti sta portando in giro per l’Italia. Ce ne parli?
E’ sempre uno spettacolo comico-esistenziale, si può ridere anche di Gesù Cristo in croce, ma non per farsi beffe, ci mancherebbe, ma perché quella è una bella notizia e delle buone notizie si può ridere di felicità. C’è chi si scandalizza eh, gente che si alza e se ne va, ma per chi resta poi c’è contentezza. Lo spettacolo riprende il rito settecentesco della quaresima di leggere le ultime sette frasi dette da Gesù prima della fine, su ciascuna costruisco una storia…
I santi come li racconti tu sono fantastici, cosa ti ispira?
Sono nati sotto impulso del mio ex direttore Paolo Ruffini a Tv2000, all’inizio erano degli sproloqui teologici che non si filava nessuno, poi una notte alle tre, ho svegliato mia moglie Eisabetta mentre dormiva per chiederle di San Tommaso d’Aquino. Non ti dico cosa mi ha risposto (ride)! Ma è così, bisogna risvegliare i morti, e togliere questa coltre di polvere sotto cui sono nascosti i santi, che è l’umano al 100%. Per farlo mi domando sempre: come lo racconterei ad un bambino ateo? C’è sempre un nocciolo di universalità nelle vite dei santi. Quello che mi affascina dei tanti santi è che spesso non hanno qualità o le hanno e le sciupano, hanno gli stessi miei problemi, le stesse dinamiche. La cosa bella è che di fronte al santo puoi dire “ce l’ha fatta lui, ce la posso fare pure io”. San Giovanni Di Dio che senza qualità o risorse ha fatto il Fatebenefratelli, uno che fino a 40 anni ha fatto il fricchettone, poi lo chiudono in manicomio e lì lui ha l’intuizione di cosa fare della sua vita. Infatti è il mio santo preferito…
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Si vede che hai un rapporto vivo con la fede: cosa ti accende e cosa ti mette in crisi?
Mi accende laddove vedo Dio nelle persone, quando vedo Dio incarnato nelle persone che fanno gesti d’amore, quello mi commuove e mi dà speranza, mi da forza. Mi mette in crisi invece il mio individualismo, quando il mio più grande limite, che mi impedisce di guardare alto, è lo sguardo su me stesso, l’incapacità di fronte agli eventi di guardare in alto, essere bisognoso dell’approvazione dell’anima. Lo sgurdo ripiegato è quello che chiude il Cielo, offri la nuca al Cielo e mi fa capire che il mondo è brutto.
Com’è la tua vita in famiglia? Nei tuoi video ogni tanto spunta anche qualcuno dei tuoi tre figlioli, ti aiutano? Sono affascinati dal mestiere del loro padre?
I miei figli vivono come tutti i figli degli artisti con l’assenza del papà in tournée, non è solo importante la qualità, ma è essenziale anche la quantità, serve anche la quotidianità di questo soffro io, loro, mia moglie. Nelle cose straordinarie sono bravissimo, meno sull’ordinario. Con quello che faccio si vogliono misurare ma per ora sono più attratti dalla musica, certo si divertono ma ci entrano in punta di piedi, capiscono che il palcoscenico o la telecamera, sono luoghi pericolosi e quindi sanno che è un territorio affascinante ma anche pericoloso.