Alla nascita d’un bimbo | il mondo non è mai pronto
Wislawa Szymborka
Quando rimasi incinta per la prima volta fu tutto nuovo, ovviamente, e mi avvicinai alla realtà di una gravidanza con le pure e semplici idee astratte che avevo per la testa.
Segnali luminosi
Ad esempio, andai all’ospedale a fare la prima ecografia con l’entusiasmo e la paura di chi, in quel momento, pensava che tutto il mondo fosse a fissare a occhi spalancati la mia attesa.
Immaginavo un’accoglienza stratosferica da parte del personale medico che mi avrebbe visitata, lunghe chiacchierate affettuose, un pianto di gioia a dirotto; né più né meno quello che accade nei film. Mi ritrovai da sola in una sala d’attesa e uscii cinque minuti dopo dall’ambulatorio, senza aver scambiato nessuna parola con la dottoressa presente se non risposte spicciole e formali sull’ultimo ciclo, la mia data di nascita. Avrei voluto ascoltare quel battito cardiaco un po’ di più, invece no; sullo schermo dell’ecografo vedevo cose che non capivo, avrei voluto sapere.
Subito dopo, telefonai a mio marito, che con grande rammarico non aveva potuto essere presente, e gli rovesciai addosso la gioia di aver sentito il cuore del bambino, ma il dolore infinito di essere stata quasi ignorata. Fu lui a quietare il flusso della mia emotività, quando tirai fuori brutte parole per quella dottoressa: mi ricordò che io ero ancora in una fase in cui l’aborto era concesso, dunque il personale medico doveva astenersi dall’entrare nel merito della mia gravidanza. Non era cattiveria, era una prassi.
Tutto, in effetti, cambiò qualche mese dopo quando andai a fare l’ecografia morfologica: stesso ospedale, stesso personale, ma un altro mondo. Fui trattata come una regina; l’esame durò all’infinito, fu risposto a tutto quello che volevo sapere; complimenti a profusione per quel piccolo nasino all’insù che s’intravedeva; battute sul fatto che fosse indubitabilmente maschio.