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Perché per pregare bene bisogna essere provocatori e disobbedienti

PRAYING

Cathopic- Dimitri Conejo Sanz

padre Robert McTeigue, SJ - pubblicato il 14/03/19

Pensate chi è l'unico che beneficia delle vostre scuse sulla preghiera. E qualcuno c'è...

Si può stare 30 giorni senza cibo, tre giorni senz’acqua, tre ore senza riparo e circa tre minui senz’aria. Quanto si può stare senza preghiera?

Sollevo la questione perché la preghiera è una delle tre discipline tradizionali della Quaresima, insieme al digiuno e all’elemosina. Qualunque cosa la Chiesa raccomandi come fonte affidabile di grazia, si può essere certi che il Nemico voglia impedirla. Non vorrei che diventasse un altro rimprovero del tipo “Dovreste pregare di più!”, perché non fa bene a nessuno. Guardiamo invece alla preghiera in termini di scuse, impegni e definizioni. Se li comprendessimo in modo adeguato, potremmo diventare migliori amministratori delle nostre esortazioni a pregare.

In primo luogo serve una chiarificazione: Gesù non ha detto di “pregare di più” o di “pregare meglio”, esortandoci invece a “pregare sempre” (Luca 18, 1). In altri termini, dobbiamo imparare a vivere la verità secondo la quale la preghiera non è come prendere il telefono e comporre il numero di Dio. La preghiera – ovvero una via di preghiera piuttosto che solo del tempo dedicato alla preghiera – è piuttosto imparare a vivere consapevolmene alla costante presenza di Dio.

La scusa che sento più spesso sul fatto di evitare la preghiera è “Sono troppo impegnato”. Quello che conta è che l’unico a beneficiare della nostra abitudine di non stare abbastanza alla presenza di Dio attraverso la preghiera è il Nemico, che odia Dio e odia noi. Cosa diremmo a qualcuno che dice “Sono troppo impegnato per inserire l’allarme antifurto”, o “Non sono abbastanza raccolto per prendere questa dose di antidoto al veleno”?


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L’impegno migliore nei confronti di una vera vita di preghiera l’ho trovato quando ho avuto il privilegio di leggere il diario della priora di un monastero che rifletteva sui suoi anni di vita religiosa. Diceva che c’erano tre cose per cui era particolarmente grata: 1) Ha ricevuto la Prima Comunione dal beato Miguel Pro poco prima che venisse martirizzato; 2) È riuscita a entrare in monastero a 15 anni – la stessa età di Santa Teresa; 3) In 65 anni di via religiosa non ha mai mancato un momento programmato di preghiera – tranne quando lo richiedeva la carità nei confronti del prossimo. Se c’è un modo per migliorare questo standard di vita di preghiera non so proprio quale possa essere.

Quale può essere una definizione di preghiera che può aiutarci a rimanere impegnati in una vita di preghiera? Possono esserci tante definizioni di preghiera quante sono le persone che pregano, ma vorrei offrirvene una che potreste non aver mai trovato prima: la preghiera è un atto di sfida; la preghiera è un atto di disobbedienza; la preghiera è un atto di ribellione.

Come può essere un atto di sfida quando Gesù ci dice di “pregare sempre”? La preghiera è un atto di sfida quando rifiutiamo di cooperare con i sussurri, le distrazioni e le seduzioni a non pregare del Nemico. La preghiera è un modo per gridare “Vattene via da me, Satana!” (Matteo 16, 23).

Quando Gesù ha insegnato ai suoi discepoli a pregare, ha detto loro di invocare Dio come Padre Nostro (Matteo 6, 9). Satana vorrebbe farci credere che siamo orfani spirituali – abbandonati, rifiutati, trascurati e soli. Quando non abbiamo l’abitudine di pregare sempre, credere a queste menzogne è fin troppo facile. Quando siamo separati da una vita di preghiera, Satana può sussurrarci: “Sei solo; non lo sa nessuno; non importa a nessuno – ma puoi fare un patto con me. Mi assicurerò che tu ottenga ciò che desideri, ciò di cui hai bisogno, ciò che meriti”. Mia madre, che era una donna dalla saggeza pronta e pratica, ha insegnato fin da molto presto ai suoi figli che “Quando il diavolo accarezza, vuole l’anima”. È l’avvertimento che dovremmo ascoltare quando pensiamo di lesinare sulla preghiera. Qual è la risposta?

Ce la offre Sant’Ignazio di Loyola. Quando siamo tentati di lesinare sulla preghiera, è il momento di diventare testardi. A suo avviso, dobbiamo “insistere di più nella preghiera”. Notate l’ordine delle parole: “insistere di più sulla preghiera”, non “insistere su più preghiera”. Non dobbiamo riservare alla preghiera un tempo che vada al di là delle nostre possibilità (ad esempio, una mamma con tre bambini ancora in età da pannolino non può ovviamente pregare come una Carmeliana), per evitare fallimento e frustrazione. Possiamo però aggrapparci ai nostri giusti impegni di preghiera, e in spirito di sfida, ribellione e disobbedienza rimproverare il Nemico che vorrebbe farci dimenticare il Dio vivente che è la linfa vitale della nostra anima. In questa Quaresima, decidiamo di rivolgerci al nostro Padre Celeste che è sempre con noi e vuole sempre benedirci.

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