Non è detto che l’attuale legislatura riuscirà a portare a termine l’iter dei “prenup”, gli accordi pre-nozze all’italiana. Del resto gli stessi erano già in agenda (con provvedimento bipartisan) nella legislatura precedente e se pure non ce la facesse il governo Conte a mandare la cosa a segno ci penserebbe qualcuno dopo. Anzitutto però cerchiamo di capire il tema – che è il pericolo sociale e spirituale comportato da una tale norma –, quindi prepariamoci alle debite considerazioni pratiche.
Non sappiamo ancora se i patti prematrimoniali del governo Conte riusciranno a vedere la luce. Ad ogni modo c’è un dato – che è politico – e che è la volontà di introdurre per via normativa un ulteriore elemento di instabilità sociale a mezzo dell’ennesima mina sull’istituto famigliare.
Non che un simile provvedimento abbia un peculiare colore politico, ovviamente: stavolta la compagine è quella gialloverde (e ci dicono che l’iniziativa sarebbe piuttosto grillina che leghista), ma tre anni fa il medesimo tentativo fu fatto dalla piddina Alessia Morani e dal forzista Luca D’Alessandro. Dunque sembra essere soprattutto un’iniziativa di quello che Del Noce chiamava “il partito radicale di massa”.
L’altro dato politico – l’ultimo cui qui accenniamo – è tuttavia il veto non-posto dal ministro della Famiglia: naturale che in una compagine di governo si debbano fare delle scelte… curioso che non si colga la portata deflagrante di un provvedimento come quello dei patti prematrimoniali.
È evidente difatti come i “prenup” (all’americana) siano solo l’altra faccia del “divorzio-lampo”, che la legislatura “del Nazareno” approvò nel 2015 (legge 55 del 6 maggio): quali siano gli effetti sulla stabilità dello stato civile italiano sarebbe immaginabile anche senza studiare le (puntuali) conferme dell’Istat (inverno demografico e crescente povertà in testa); noi vorremmo invece soffermarci su una domanda afferente al diritto concordatario – i patti prematrimoniali non costituiscono già in sé una causa di nullità per il matrimonio sacramentale cattolico?
I patti prematrimoniali
Per cercare di rispondere meno scorrettamente possibile alla domanda – e tenendo a mente che il diritto concordatario e quello canonico matrimoniale sono già di per sé lave proteiformi – richiamiamo anzitutto che cosa s’intenda per “patti prematrimoniali”. Recuperiamo perciò le dichiarazioni al Corriere dell’avvocato Gian Ettore Gassani, presidente degli Avvocati matrimonialisti italiani:
Va detto che si tratta di una rivoluzione copernicana anche se poi i nostri patti pre-matrimoniali saranno più soft, più mediterranei, più umani rispetto a quelli previsti in Gran Bretagna e negli Usa nei quali si può scrivere di tutto, compresi numero e modalità dei rapporti sessuali.
Dopo aver dunque ricordato che, nel dispositivo attualmente in discussione in Parlamento sarebbero esclusi gli accordi relativi all’affidamento dei figli, sintetizzava così Dino Martirano sulle colonne di Via Solferino:
Si parte dai rapporti personali che regolano, per esempio, la città di residenza e l’eventualità di un trasloco per motivi di lavoro. Poi ci sono i rapporti patrimoniali per stabilire cosa spetta a chi in caso di separazione o divorzio e infine «i criteri per l’educazione dei figli» che potrebbero riguardare la preferenza verso un certo tipo di scuola (statale, cattolica, straniera, etc). Tutto, davanti a un notaio o un avvocato, va scritto nel «rispetto delle norme imperative, dei diritti fondamentali della persona, dell’ordine pubblico e del buon costume».
Dunque i patti – che sarebbero non obbligatori, in Italia, ma legalmente vincolanti una volta sottoscritti – si occuperebbero di questioni patrimoniali e relative all’educazione dei figli, con possibili accordi sull’eventuale rottura del vincolo.
Il matrimonio secondo la Chiesa
Ecco, qui sta – in nuce – il problema canonico da dirimere, poiché andare all’altare con delle clausole già firmate per normare gli eventi in caso di divorzio, significa de facto infirmare la solidità del consenso, ovvero escluderne l’indissolubilità. Il che sembrerebbe costituire di per sé una causa di nullità matrimoniale.
Andiamo con ordine e cerchiamo di limitarci ai soli fondamentali. Nella costituzione pastorale Gaudium et Spes il Concilio Vaticano II si esprime così circa il vincolo matrimoniale:
L’intima comunità di vita e d’amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dall’alleanza dei coniugi, vale a dire dall’irrevocabile consenso personale. E così, è dall’atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l’istituzione del matrimonio, che ha stabilità per ordinamento divino. In vista del bene dei coniugi, della prole e anche della società, questo legame sacro non dipende dall’arbitrio dell’uomo . Perché è Dio stesso l’autore del matrimonio, dotato di molteplici valori e fini (106): tutto ciò è di somma importanza per la continuità del genere umano, il progresso personale e la sorte eterna di ciascuno dei membri della famiglia, per la dignità, la stabilità, la pace e la prosperità della stessa famiglia e di tutta la società umana.
Per la sua stessa natura l’istituto del matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento. E così l’uomo e la donna, che per l’alleanza coniugale « non sono più due, ma una sola carne » (Mt 19,6), prestandosi un mutuo aiuto e servizio con l’intima unione delle persone e delle attività, esperimentano il senso della propria unità e sempre più pienamente la conseguono.
Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l’indissolubile unità (107).
Proseguendo successivamente alla ricaduta normativa del dettato conciliare, gli estensori del Codice di Diritto Canonico del 1983 (che sostituisce quello “pio-benedettino” del 1917) compilarono i seguenti canoni:
Can. 1101 – § 1. Il consenso interno dell’animo si presume conforme alle parole o ai segni adoperati nel celebrare il matrimonio.
§ 2. Ma se una o entrambe le parti escludono con un positivo atto di volontà il matrimonio stesso, oppure un suo elemento essenziale o una sua proprietà essenziale, contraggono invalidamente.
Insomma, se si va all’altare (non sotto costrizione, beninteso) con la persona che si desidera sposare, ma frapponendo tra sé e il proprio consenso l’esclusione o la limitazione di cose come la prole (uno non vuole avere figli), l’indissolubilità (cioè non si esclude il divorzio), l’unità/fedeltà (uno si sposa ma già si ripromette di tradire il coniuge, magari pur non volendo divorziare)… se ricorre anche solo una di queste condizioni, il matrimonio è nullo.
I “prenup” secondo la Chiesa
E ora si capisce forse un po’ meglio perché l’aver sottoscritto un accordo sulla spartizione dei beni in caso di divorzio assomigli moltissimo all’esclusione dell’indissolubilità del vincolo. Forse Bertini Malgarini e quelli che lo avranno aiutato nei dialoghi di Romolo + Giuly (andato in onda nello scorso autunno su Sky Italia) neppure si rendevano conto di quanto il loro notaio si avvicinasse alla tragica realtà dei sacri canoni mentre – in una surreale climax di condizioni grottesche – concludeva:
…il giorno stesso verrà fatta richiesta di annullamento [sic!] alla Sacra Rota dopodiché la signorina […] nulla avrà a che pretendere.
È verissimo, infatti, che con queste premesse il processo per il riconoscimento della nullità durerebbe un giorno.
I patti prematrimoniali, però, sembrano essere stati considerati dal legislatore ecclesiastico più specificamente nel canone successivo, che recita:
Can. 1102 – § 1. Non si può contrarre validamente il matrimonio sotto condizione futura.
§ 2. Il matrimonio celebrato sotto condizione passata o presente è valido o no, a seconda che esista o no ciò su cui si fonda la condizione.
§ 3. Tuttavia non si può porre lecitamente la condizione di cui nel § 2, se non con la licenza dell’Ordinario del luogo.
Qui si aprirebbe una ridda di considerazioni su cosa sia ascrivibile alla condizione passata/presente o futura: alcuni canonisti, ad esempio, vorrebbero considerare nel primo gruppo anche condizioni quali “ti sposo a condizione che non torni a giocare d’azzardo” (o “a bere”, “a drogarti”) e via dicendo, ma la materia è estremamente liquida – soprattutto non tocca il punto centrale della questione, che consta soprattutto, hic et nunc, nella posizione di clausole di separazione.
Ora va detto questo, anche sintetizzando quanto andiamo scrivendo: i patti prematrimoniali non erodono – necessariamente e per sé – il consenso, salvo il caso appunto che includano riferimenti a un’eventuale separazione. Così James H. Provost scriveva nel 1984, rispondendo a una consultazione per la Canon Law Society of America:
Secondo me […] i patti prematrimoniali non invalidano il matrimonio, di per sé, nella loro natura propria; però potrebbero farlo, se conducessero a una simulazione o a suoi equivalenti, o se implicassero una condizione futura invalidante. Renderebbero illecito il matrimonio se fosse presente una condizione non permessa dall’Ordinario locale. Oppure potrebbe non avere alcun effetto sul matrimonio. L’unico modo per determinare quale possa essere l’effetto di un patto prematrimoniale è di esaminare caso per caso.
James H. Provost, Canon 1066 in William A. Schumacher e Richard A. Hill (edd.), Roman Replies and CLSA Advisory Opinions 1984, 54-55
Sei anni dopo ebbe a rincarare la dose, in tal senso, Gregory Ingels. Parlava di un caso in cui era stato stipulato un accordo prematrimoniale per tutelare i diritti patrimoniali di famiglia a mezzo di un fondo fiduciario da 500 milioni di dollari, per via di una delle parti. Scriveva dunque il canonista statunitense:
Nella nostra società, sempre più litigiosa, circostanze come quelle presentate nel caso di specie hanno sollevato la necessità di formalità civili innovative come i patti prematrimoniali, proprio per offrire protezione aggiuntiva nel foro civile in relazione non solo ai diritti della coppia stessa e dei figli, ma anche alle famiglie di entrambe le parti, nel caso in cui il matrimonio dovesse finire.
Da questa prospettiva, un patto prematrimoniale non deve necessariamente essere visto come una condizione presente o futura che affetti il consenso che la coppia sta ponendo, cosa che renderebbe il matrimonio nullo o illecito (c. 1102), oppure come una presunzione che il matrimonio debba fallire. Piuttosto, un patto prematrimoniale può essere visto come un mezzo civilmente accettabile mediante il quale le parti e le loro famiglie provvedono sul piano della legge civile a una protezione che essi stimano necessaria.
Gregory Ingels, Canon 1066: Pre-Nuptial Agreements in William A. Schumacher e Richard A. Hill (edd.), Roman Replies and CLSA Advisory Opinions 1990, 106
Di tutte queste considerazioni ha preso rispettosamente atto Joseph B. McGrath, docente ad Harvard, diacono permanente e giudice del tribunale arcidiocesano di Washington: esse tuttavia «non riescono a superare uno scrutinio canonico»,
quando in nome della protezione dei diritti legali delle parti il patto prematrimoniale anticipa e classifica tutte le conseguenze giuridiche che, per le due parti, a cascata deriverebbero da una futura separazione/divorzio.
In entrambi gli scritti sopra citati, del resto, gli autori si premurano di dire che una valutazione canonica del patto prematrimoniale deve sempre essere fatta per assicurarsi che i suoi termini non siano contrari alla legge canonica. Provost annota che tra i problemi canonici presentati da un patto prematrimoniale ci sono i seguenti:
- Se il patto prematrimoniale sia prova di un difetto nel consenso della persona, per esempio la prova di una mentalità che esclude la durevolezza del matrimonio, o prova di un errore sulla natura del matrimonio. L’uno o l’altro può già invalidare il matrimonio.
- Se il patto costituisca una conditio sine qua non per stipulare il matrimonio.
- Se il patto contenga una condizione sul futuro, che invaliderebbe il matrimonio a norma del canone 1102, § 1.
- Se il patto contenga una condizione sul presente, non sul futuro, la quale rende necessario, per la liceità del matrimonio, il permesso scritto dell’Ordinario del luogo.
Joseph B. McGrath, The effect of pre-nuptial Agreements on the Validity of Marriage, in The Jurist 53 (1993), 385-395, 394-395
Valutazioni conclusive
Insomma, due cose sono evidenti:
- da un lato che, per quanto si voglia distinguere, facilmente il “prenup” attenta alla validità del matrimonio sacramentale (e il discorso vale anche, mutatis mutandis, per il diritto canonico delle Chiese Orientali);
- dall’altro che la Chiesa esprime, nell’abbondante e costante richiesta di pareri e di studi, l’intento di armonizzare le proprie disposizioni alla cultura dominante non per una qualche smania di conformità al mondo, ma proprio in ottemperanza a quanto il Can. 1752, alla fine del CIC, ricorda – che cioè «la salvezza delle anime […] deve sempre essere nella Chiesa la legge suprema».
E certamente nessuno s’illude che si possa garantire salvezza a qualcuno sovvertendo la legge di Cristo: donde appunto le ricerche, gli studi, le riforme. E a proposito: non è un caso che gli autori citati siano tutti statunitensi – per forza di cose è lì che si è finora prodotta la maggiore giurisprudenza in materia –, ma le recenti riforme del diritto matrimoniale avviate da Papa Francesco vanno proprio nella direzione di un vaglio più attento e severo della qualità del consenso (e nella formazione al matrimonio e nei processi di nullità). Dunque cosa diremo? Come verrà percepita Oltretevere l’ostinata mania dei governi italiani di aggiungere a una materia già tanto intricata (e nella quale annaspano numerosissime persone in condizione di grande sofferenza) un enzima che – per dirla popolarmente – fa piovere sul bagnato?
E qui occorre un’ultima considerazione, che dovrà essere anch’essa necessariamente “politica”: i cattolici, infatti, non possono pretendere dalla Santa Sede un rigore spietato se non si adoperano fattivamente perché i combinati disposti delle leggi e dei costumi facilitino la convivenza umana, anziché complicarla. Se la Santa Sede dichiarasse tout court nulli tutti i matrimoni di chi ricorresse ai patti prematrimoniali, aiuterebbe o no la vita dei cattolici?
Tornando ai “prenup”, ma sempre nell’ambito delle considerazioni sul ruolo civile e politico dei cattolici – sempre più brutalmente estromessi dalla gestione della cosa pubblica –, non ho potuto fare a meno di notare che l’annuncio del silenzio del Ministro alla Famiglia sul tema è stato accolto da un imbarazzato ronzio proprio da quella pars che per anni ha minacciato interventi al napalm circa le futuribili aberrazioni che eventualmente potrebbero derivare dalla famigerata nota 351 di Amoris Lætitia. Non che la cosa, tuttavia, mi abbia sorpreso…