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Costruisci giardini o lasci avanzare il deserto?

HERB GARDEN

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padre Carlos Padilla - pubblicato il 12/03/19

Non voglio costruire deserti con la mia ira, il mio odio, il mio disprezzo. Voglio costruire giardini pieni di speranza, donando amore, pace e allegria

L’immagine del deserto mi accompagna all’inizio della Quaresima. Il deserto è il luogo delle tentazioni. È il luogo della ricerca interiore di Gesù.

Lì scopre chi è. Sotto la luce delle stelle. Nel deserto il cielo è più ampio, lo sguardo anche, e le stelle brillano di più.

Fino a lì arriva spinto dallo Spirito ricevuto nel Giordano: “In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto”.

Il deserto è l’opposto del frutteto, della vita, dell’abbondanza. Nel deserto c’è anelito al paradiso, alla vita piena. “La creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio” (Romani 8, 19).

Il deserto mi ricorda la solitudine, la siccità, la mancanza di speranza. Andare nel deserto significa addentrarsi nel proprio mondo interiore. Mondo di opposti, di tensioni.

Nella mia anima tutto grida anelando al cielo che non possiedo. Vedo intorno a me segni di deserto. Commenta Papa Francesco: “In questo mondo l’armonia generata dalla redenzione è ancora e sempre minacciata dalla forza negativa del peccato e della morte”. La minaccia del male che pretende di distruggere il bene. Il deserto di un mondo chiamato ad essere frutteto, paradiso. Il peccato si è introdotto nella pelle dell’uomo. E il paradiso ha smesso di essere tale.

Prosegue il Papa: “Rompendosi la comunione con Dio, si è venuto ad incrinare anche l’armonioso rapporto degli esseri umani con l’ambiente in cui sono chiamati a vivere, così che il giardino si è trasformato in un deserto. Si tratta di quel peccato che porta l’uomo a ritenersi dio del creato, a sentirsene il padrone assoluto e a usarlo non per il fine voluto dal Creatore, ma per il proprio interesse, a scapito delle creature e degli altri”.

Vivo in un deserto anelando al giardino. Il processo che mi porta al giardino è la Quaresima.

Dice il Pontefice: “La ‘Quaresima’ del Figlio di Dio è stata un entrare nel deserto del creato per farlo tornare ad essere quel giardino della comunione con Dio che era prima del peccato delle origini”. È quello a cui anelo in questi giorni.

Mi colpisce sempre che molti film che parlano di un tempo futuro mostrino una realtà più simile a un deserto che a un giardino.

Un mondo di cemento, di solitudine, di distruzione. I boschi sono morti. I mari si sono seccati.

Un deserto nel cuore degli uomini. Il peccato che ha spezzato il vincolo profondo dell’uomo con Dio. Il cuore umano che smette di cercare Dio per passare a credersi egli stesso Dio.

Mi fa paura che la mia vita sia un deserto. Che il mondo in cui vivo e cresco abbia più deserto che giardino.

Mi piace guardare come crescono le piante, con il loro ritmo cadenzato, o pensare agli alberi che oggi proteggono con la loro ombra e tanto tempo fa erano solo un piccolo tronco. Mi sorprende lo sviluppo lento della vita, da dentro.

Entrare in un giardino mi parla di vita che cresce da dentro. Nulla accade rapidamente. Né la morte, né la vita. Tutto inizia in momenti appena percettibili.

Forse è come la mia vita. Non cresco rapidamente. A volte penso di non crescere. Poi, col passare del tempo vedo le cose chiaramente. Sono cresciuto, o sono invecchiato, o sono maturato. Tutto a fuoco lento. O mi sono avvicinato a Dio senza rendermene conto. O mi sono allontanato goffamente da Lui. La fedeltà e l’infedeltà sono la fine di una sequenza. Si giocano in momenti insignificanti che si succedono.

Tra il giardino e il deserto ci sono centinaia di istanti sacri. Si succedono quasi senza che me ne renda conto. La vita è così. Non avviene tutto di colpo. Un ambiente non cambia in un istante.

La mia anima non si secca in un solo battito. Non arrivo alla meta senza un’infinità di momenti di lotta. La vita si gioca in istanti. Lo capisco. Non in uno, in molti.

Posso sempre tornare a seminare con la speranza della vita. O posso strappare ciò che ho piantato in un gesto d’ira, avvicinandomi al deserto.

Costruisco giardini. O con la mia vita faccio sì che cresca il deserto. Posso andare in una direzione o nell’altra.

Posso creare l’oasi nel deserto. Posso far sì che la mia vita sia un deserto in mezzo ai giardini.

Leggevo giorni fa una riflessione sul deserto: “Il termine deserto significa etimologicamente ‘senza uomini’, ma anche ‘senza piogge’, e quindi ‘senza piante’. Per molti è un luogo vuoto, senza vita, monotono, senza paesaggio. Per altri il deserto è il mondo dei dettagli. Può provocare molteplici sensazioni: paura, solitudine, disorientamento, placidità, euforia”.

Il deserto parla di tutto questo. Uno spazio vuoto di uomini, di piogge, di piante. Uno spazio senza vita.

Penso al deserto come al luogo che intesse la mia vita. Quando il peccato entra nella mia anima e mi avvelena. Mi isola. Pone fine alla vita che è in me. Alla vita che ho seminato. E mi secca.

Il peccato che mi rende solitario, incapace di stringere legami, amante degli spazi vuoti. Mi fa paura questo deserto di estremi. Calore estremo. Freddo estremo. Quel deserto in cui manca l’acqua che placa la sete. E le ombre che coprono le mie paure.

Mi spaventa costruire deserti anziché giardini. Cadere nella tentazione di allontanare gli uomini da me, e non essere per loro luoghi di accoglienza, spazio sacro in cui possano gettare radici e dare un frutto sano.

Anelo al cielo in terra. All’oasi nel deserto della mia vita. All’armonia minacciata dal peccato che uccide la vita.

Distruggo ciò che fiorisce per cercare di costruire il mio deserto. La vita si secca perché non me ne prendo cura. Smette di avere ombre perché ho ucciso la speranza.

La creazione aspetta il paradiso, la vita eterna, la vita piena.

Non voglio costruire deserti con la mia ira, mio odio, il mio disprezzo. Voglio costruire giardini pieni di speranza, donando amore, pace e allegria.

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