A volte sembra che l’unico motivo per sopportare le prove della vita è la consolazione di poter offrire le proprie sofferenze come dono al PadreSe c’è un’espressione che fa sicuramente alzare gli occhi a un cattolico è “Offrilo”. Ti sei tagliato con la carta? Offrilo. I ghiaccioli sono finiti? Offrilo. Il tuo fidanzato è scappato con la tua migliore amica? Offrilo.
È una frase talmente usata e così raramente definita in modo idoneo che per molti non ha più senso, essendo diventata l’equivalente cattolico dell’“ingoiare il rospo”. Ascoltiamo questo consiglio (benintenzionato o sprezzante) e lo prendiamo per un’esortazione a smettere di piagnucolare, fermandoci di rado a pensare a cosa ci viene realmente suggerito.
Offrire la propria sofferenza non è solo un codice cattolico per superarla. È un approccio profondamente spirituale con cui uniamo il nostro cuore al Signore nella sua sofferenza sulla Croce. Piuttosto che fuggire dalle nostre croci le abbracciamo, levando gli occhi al Signore e dicendogli che stiamo sopportando la nostra sofferenza con gioia per amor suo.
Non samo mai tanto simili a Gesù quanto nei momenti in cui offriamo la nostra sofferenza non meritata al Padre, e il Signore può cambiare quella sofferenza, dandole significato come ha fatto con l’angoscia sul Calvario. Quando offriamo il nostro dolore (o il disagio, la frustrazione o l’incertezza), Dio prende quella lotta come una preghiera, rafforzata dalla sofferenza, e la usa per la salvezza delle anime e la gloria del suo nome.
A volte sembra che l’unico motivo per cui riesco a sopportare le prove della vita è la consolazione di essere in grado di offrire le mie sofferenze come dono al Padre, e nei momenti di grande difficoltà è abbastanza facile da ricordare, anche se ricordare e fare sono due cose ben diverse. So comunque che dovrei offrire il mio dolore. Nei miei giorni migliori riesco anche a farlo.
Trovo più difficoltà con le piccole cose – offrire i fastidi, i disagi e le frizioni legate al temperamento di ciascuno. In quelle circostanze in genere non mi viene in mente di farlo.
Se offrire la difficoltà potrebbe andar bene a Dio, per me non funziona. La vaga nozione di sofferenza redentrice non trasforma le mie frustrazioni. Ho bisogno di qualcosa di diverso per orientare il mio cuore verso la Croce.
Mi sono quindi messa a cercare un’altra formulazione, una breve preghiera da poter offrire quando lotto con qualcosa. Sapevo di aver bisogno di una formula per far sì che la mia mente potesse offrire una preghiera e invitare il mio cuore ad aderirvi. Per la maggior parte del tempo la mia preghiera è spontanea e viene dal cuore; in questo caso avevo bisogno di parole che non venissero dal cuore ma a cui questo potesse aderire.
Sono arrivata a questo: “Gesù mio, ti amo, salva le anime”. In primo luogo mi concentro su Gesù – sul mio Gesù, il mio amore. Poi faccio un passo indietro rispetto alla rabbia o alla confusione che minacciano di allontanarmi dal suo abbraccio e mi concentro invece sul mio amore per Lui. L’amore è una scelta, non un sentimento, e scelgo di offrirgli il mio cuore anche quando farei volentieri altro. E infine una supplica: salva le anime. Usa questa sofferenza, Signore, per la salvezza delle anime.
È così che offro le mie difficoltà. Fisso gli occhi sul Signore, gli apro il mio cuore e gli chiedo di usare le circostanze della mia vita secondo la sua volontà. Gli offro i miei problemi e gli permetto di trasformarli in potere per la mia intenzione o per qualsiasi cosa Egli desideri.
La Quaresima inizia oggi, e la maggior parte di noi ha progettato di rinunciare a qualcosa. È una pratica ammirevole, ed è fondamentale per la crescita nella santità, ma è solo metà della battaglia. Se tutto ciò che facciamo è astenerci dalla cioccolata per 40 giorni è una dieta, non un digiuno. Il nostro sacrificio dev’essere qualcosa che offriamo, qualcosa che abbracciamo volentieri per amore nei confronti di Dio.
E allora in questa Quaresima allenatevi non solo a ingoiare il rospo, ma anche a offrire. Sognate un caffè che non potete prendervi? Offritelo. Gesù mio, ti amo, salva le anime. Qualcuno vi taglia la strada nel traffico e vorreste maledirlo? Gesù mio, ti amo, salva le anime. Vostra suocera vi dà sui nervi? Gesù mio, ti amo, salva le anime.
Forse preferite “Gesù, confido in te”, “Tutto per te, Signore” o qualche altra variante. Non sono le parole che contano. Ciò che conta è avere un progetto, una formula a cui ricorrere per offrire la propria sofferenza al Signore anche quando ci si vorrebbe crogiolare in essa. E allora, pensando a cosa abbandonare in Quaresima, prendete in considerazione anche l’idea di aggiungere questa idea. Potreste scoprire che non solo la vostra preghiera ha più potere, ma il vostro cuore è anche più in pace.