Ci sono pensieri a cui evitiamo di pensare, zone troppo scure e dure dell’esperienza: se la vita ci preserverà dal conoscerle, cercheremo di schivarne persino l’ipotesi. Si può perdere un figlio prima che nasca, avendolo sentito scalciare nella pancia e cullando la voglia di stringerlo tra le braccia. Un figlio può nascere morto. Se accade, si sta di fronte a una vertigine tremenda. Alcune amiche hanno attraversato questo tunnel di buio e ne hanno fatto una storia di mistero, non di cupa tragedia.
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“Voglio usare ogni scampolo”
Davvero in ogni frammento di realtà la mano di Dio non manca di arrivare, e forse tocca all’umano riverberarne l’eco con più tenacia. Chi vive in prima persona un lutto in cui la morte coincide con una nascita ha bisogno di mettere a fuoco il proprio dolore e non può farlo da solo; chi è a lato della vicenda, o addirittura fuori, può portare un messaggio di bene che è come un salvagente in mezzo a un oceano. Alcune signore americane con la passione per il cucito hanno pensato di confezionare piccoli abiti per il funerale di questi neonati morti troppo presto. Non si tratta di un vezzo, ma di un bisogno più essenziale di quel che sembra.
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Le chiamano “vestine d’angelo”, sono un segno tangibile del valore immenso di ogni vita così breve.
Si può celebrare il funerale di un bimbo che prematuramente muore nel grembo materno, ma non esistono vestiti così piccoli per fasciare queste creature. Per quei genitori che desiderano celebrare questo lutto con tutta la dignità che merita, si profila in molti casi la scelta obbligata di recarsi nei negozi di bambole per trovare un vestito adatto, ed è – possiamo immaginarlo – dolorosamente umiliante.
Pat Carter è una sarta dello Utah che ha pensato di colmare questo vuoto: trasforma in piccole vestine bianche le eccedenze dei negozi di abiti da sposa. La sua manualità esperta confeziona meraviglie di seta, tulle, organza; ciò che doveva essere destinato a una festa sulla terra, finisce per celebrare una festa di accoglienza in cielo.
“Voglio usare ogni scampolo a disposizione” aggiunge la signora Carter, che ha confezionato più di 1300 piccole vesti con le sue mani. Per ciascuna di esse crea un pacchetto in cui acclude una lettera di conforto per i genitori che lo riceveranno.
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Non è un’attività a fine di lucro, i manufatti di Pat vengono gratuitamente donati agli ospedali, luoghi in cui le famiglie si trovano a vivere il lutto.
Un abbraccio in ospedale
Questo è un altro tassello importante: oltre ai genitori colpiti da una perdita così precoce, anche il personale medico è parte in causa di quest’esperienza di dolore. Ricordo un’amica che perse una figlia al quinto mese di gravidanza e fu lei a tirar fuori il discorso del funerale con medici e infermieri. Questi ultimi furono felici di assistere la famiglia, ma confessarono di essere in difficoltà a introdurre per primi l’argomento quando si verifica un caso del genere.
Creare un nesso di vicinanza nel dolore, di partecipazione, e un tentativo di aiuto non è facile; si può andare a ledere un equilibrio emotivo già completamente compromesso. Non tutti riescono a dare, fin da subito, un nome chiaro al lutto.
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Ci può essere chi trattiene tutto il dolore compresso in una maschera di silenzio e rompere questa bolla può proiettare in un territorio durissimo. Eppure l’indifferenza non è un segno di rispetto, lasciare sola una famiglia a gestire le proprie lacrime non è un segno di premura. Si può osare di tendere una mano.
, un’altra signora, sarta come Pat, mostra gli abiti che crea per bimbi piccolissimi e morti prematuramente: queste vestine vanno a unirsi a un piccolo corredo confezionato in una scatola che l’ospedale lascia alle famiglie colpite da un lutto, a un passo dalla nascita.