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Non uccido, non rubo e non faccio del male a nessuno. Sono una brava persona, no?

CZY LUDZIE WIERZĄCY SĄ SZCZĘŚLIWSI?
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Catholic Link - pubblicato il 27/02/19
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di Pablo Perazzo

“Non uccido. Non rubo. Non faccio male a nessuno. Sono una brava persona”. A volte ci paragoniamo anche agli alri e diciamo: “Guarda cosa fa! Almeno io non sono così. Come quelli che vanno a Messa, si battono il petto e appena escono dalla chiesa si comportano come qualsiasi altra persona”. L’aspetto triste e pericoloso di pensarla così è il fatto di crederci. L’idea di essere “perfetti” (1 Gv 1, 8-10) è molto comune. Chi non ha mai pensato o parlato qualche volta in questo modo?

Non è certo un male voler essere buoni, e anche avere talenti e ricchezze, ma bisogna sapere molto bene che è Dio che ce li ha dati. L’aspetto negativo di dire le cose in questo modo è che diventa una chiara deviazione spirituale, che ci spinge a guardare solo il bene, senza l’umiltà di vedere molte altre cose che non funzionano nella nostra vita.

Dobbiamo stimare i beni che Dio ci ha concesso. Una giusta autostima non fa certo male, è parte di una visione sana di noi stessi. Una persona matura, però, non riconosce solo il bene, ma anche tutto ciò che possiede o vive di negativo. Abbiamo tutti virtù e talenti, nonché vizi e difetti. Siamo così, dobbiamo accettarlo con umiltà e, come ci insegna San Paolo, spogliarci “del vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici” (Efesini 4, 22).

1. Le differenze tra noi

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Naturalmente, alcuni hanno aspetti migliori di altri. Alcuni hanno più difficoltà di altri. Possiamo avere qualità che l’altro neanche immagina e viceversa. Negare queste differenze è frutto di una visione personale distorta e negativa di se stessi e degli altri (1 Corinzi 12, 12-31).

Ciò che abbiamo sono ricchezze, doni immeritati di Dio. Se siamo consapevoli dell’origine divina dei nostri doni, non c’è motivo per vantarsi e credersi la causa o i padroni di quella bontà personale.

2. I nostri doni sono al servizio degli altri

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Anche se possiamo essere “migliori” e avere più doni degli altri (per certi aspetti), il Signore ci dice che dobbiamo considerare il prossimo superiore a noi (Filippesi 2, 3). I talenti o le ricchezze che Dio ci ha dato sono per servire e sacrificarsi per gli altri. A cosa serve una ricchezza che Dio ci dà se la teniamo per noi?

Con umiltà (a volte anche umiliazione) e generosità dobbiamo mettere questi talenti personali al servizio degli altri. Lo insegna Gesù nella lavanda dei piedi nell’Ultima Cena (Giovanni 13, 4-5). La capacità di amare è il dono più grande che Dio ci ha concesso. Non possiamo concentrarci solo sul nostro io. Non faremmo che impoverirci, e a poco a poco si distruggerebbe ogni capacità di un rapporto autentico.

3. Guardarsi con gli occhi di Dio

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Si tratta di guardarsi con umiltà, partendo dalla verità, il che è possibile solo se impariamo a guardarci con gli “occhi di Dio”. Dobbiamo riconoscere che i doni e i talenti personali provengono da Dio e servono per dare gloria a Lui (Salmo 86 (85) 11 – 13), nel servizio agli altri.