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Come dobbiamo comportarci quando ci chiedono l’elemosina?

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Toscana Oggi - pubblicato il 25/02/19

Ogni giorno, lavorando nel centro di Firenze, incontro diverse persone che chiedono l’elemosina. Anche volendo aiutarli, non potrei certo pensare di lasciare un’offerta a tutti. Qual è il modo cristiano di comportarsi? Cosa suggerisce la Chiesa?

Fiammetta Fiori

Risponde don Leonardo Salutati, docente di Teologia morale alla Facoltà Teologica dell’Italia centrale.

Nella Bibbia troviamo la parola greca eleemosyne, da eleos, che vuol dire compassione e misericordia; inizialmente indicava l’atteggiamento dell’uomo misericordioso e, in seguito, tutte le opere di carità verso i bisognosi.

Gesù fa dell’elemosina una condizione dell’accesso al suo regno (cf. Lc 12,32-33) e della vera perfezione (Mc 10,21 e par.) anche se, quando Giuda, di fronte alla donna che ungeva i piedi di Gesù, pronunciò la frase: Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento danari, per poi darli ai poveri? (Gv 12,5), Cristo difese la donna rispondendo: I poveri… li avete sempre con voi, ma non sempre avete me (Gv 12,8). L’una e l’altra affermazione di Gesù offrono motivo di grande riflessione.

La prima sottolinea che nell’uomo ci saranno sempre delle necessità, le quali non potranno essere altrimenti soddisfatte se non con l’aiuto al bisognoso e col far partecipare gli altri ai propri beni. Ora potremmo anche non consentire con chi chiede l’elemosina, in quanto non si sforza di guadagnarsi la vita da sé, però il fatto stesso di prestare aiuto a chi ne ha bisogno deve suscitare rispetto.

Tuttavia ci sembra di poter rilevare che Gesù pensa all’elemosina pecuniaria, materiale, a modo suo. A questo proposito è eloquente l’esempio della vedova povera che gettava nel tesoro del Tempio due monetine. Dal punto di vista materiale un’offerta irrisoria se paragonata a quelle dei ricchi. Il Cristo però osserva al riguardo: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. … nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere (Lc 21,3-4). Gesù cioè nota soprattutto il valore interiore del dono, la disponibilità a condividere, la prontezza a dare del proprio.

Al riguardo San Paolo ci ricorda: Se anche distribuissi tutte le mie sostanze… ma non avessi la carità, niente mi giova (1Cor 13,3) e S.Agostino osserva: Se stendi la mano per donare, ma nel cuore non hai misericordia, non hai fatto nulla; se invece nel cuore hai misericordia, anche quando non avessi nulla da donare con la tua mano, Dio accetta la tua elemosina (Enarrat. in Ps. 125,5).

Qui tocchiamo il nucleo centrale del problema. Nella Sacra Scrittura e secondo le categorie evangeliche, elemosina significa anzitutto dono interiore, apertura «verso l’altro». Proprio tale atteggiamento è un fattore indispensabile della conversione, così come lo è la preghiera. Sempre S.Agostino esprime bene questo intreccio: Quanto celermente sono accolte le preghiere di chi opera il bene! E questa è la giustizia dell’uomo nella vita presente (Enarrat. in Ps. 42, b).

L’elemosina così intesa ha un significato decisivo. Per convincersene, basta ricordare l’immagine del giudizio finale che Cristo ci ha dato nel Vangelo di Matteo (cf. Mt 25,35-40). I Padri della Chiesa diranno poi con S. Pietro Crisologo: La mano del povero è il gazofilacio [nel Tempio di Gerusalemme il tesoro e il luogo di raccolta] di Cristo, poiché tutto ciò che il povero riceve è Cristo che lo riceve (Sermo VIII, 4), e con S. Gregorio Nazianzeno: Il Signore di tutte le cose vuole la misericordia, non il sacrificio; e noi la diamo attraverso i poveri (De pauperum amore, XI).

«Pertanto, questa apertura agli altri, che si esprime con l’“aiuto”, con il “dividere” il cibo, il bicchiere d’acqua, la buona parola, il conforto, la visita, il tempo prezioso, ecc., questo dono interiore offerto all’altro uomo giunge direttamente a Cristo, direttamente a Dio. Decide dell’incontro con lui. È la conversione… L’elemosina intesa secondo il Vangelo, secondo l’insegnamento di Cristo, ha nella nostra conversione a Dio un significato definitivo, decisivo. Se manca l’elemosina, la nostra vita non converge ancora pienamente verso Dio» (S. Giovanni Paolo II, 1979).

Certamente chi chiede l’elemosina non deve truffare, non può essere arrogante o violento anche solo verbalmente. L’elemosina non può essere estorta, ma deve essere un’opera di misericordia, ispirata dall’amore per il fratello. Le persone che incontrano gli indigenti devono sempre ricordare il significato essenziale che l’elemosina ha di fronte a Dio e, soprattutto, imparare a discernere per evitare tutto ciò che falsifica il senso dell’elemosina, della misericordia, delle opere di carità. Al riguardo è molto importante coltivare la sensibilità interiore verso i bisogni reali del prossimo, per sapere in che cosa possiamo aiutarlo, come agire per non ferirlo, e come comportarci, affinché ciò che diamo, fosse anche soltanto un sorriso perché il Signore sa che non siamo in grado di farci carico di tutti i poveri che potremmo incontrare, sia un dono autentico.

Qui l’articolo originale apparso su Toscana Oggi

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