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Quel nesso oscuro tra le profanazioni nelle chiese e l’antisemitismo recrudescente

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 12/02/19

Nelle ultime due settimane sono state registrate nelle chiese cattoliche in Francia ben nove tra profanazioni e atti vandalici. Numeri impressionanti che dicono – secondo le parole del cardinal Sarah – di una “civiltà malata” – la stessa che vede riaccendersi inquietanti focolai di antisemitismo. E ci si sbaglierebbe a considerarli “due problemi ciascuno a sé stante”.

Gli atti di profanazione e di vandalismo nelle chiese sono sempre da condannare fermamente. Essi sono il triste riflesso di una civiltà malata che si lascia catturare nei lacci del male. I vescovi, i preti, i fedeli devono conservare la forza e il coraggio.

Così il cardinal Robert Sarah ha commentato le inquietanti notizie che vengono dalla Francia: non meno di nove chiese sono state colpite da atti di violenza, nelle ultime due settimane. Quattro hanno subito vere e proprie profanazioni, cinque atti di “semplice vandalismo”: la distinzione s’impone perché, sebbene un atto vandalico in un luogo sacro possa sempre facilmente sconfinare nella profanazione, potrebbe mancare al gesto un intento genuinamente sacrilego – quale ad esempio la forzatura del tabernacolo, la dissipazione della conserva eucaristica, l’imbrattamento dei lini e dei vasi sacri e via dicendo –, il quale conferirebbe al gesto una fattispecie decisamente deteriore.


JEWISH CEMETERY

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Jean-Marie Guénois scrive su Le Figaro di oggi che – stando ai dati relativi al 2017, diffusi dal Ministero dell’Interno – la Chiesa cattolica e le Chiese e comunità ecclesiali cristiane detengono il triste record di attentati subiti nei luoghi di culto: su un totale di 978 atti di tal genere, infatti, ben 878 hanno coinvolto contesti cristiani.




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La Chiesa cattolica in Francia tiene un profilo basso sulla materia, e bassa cerca di tenere anche le stesse notizie, «per evitare l’effetto escalation» (così un consigliere episcopale). La Conferenza episcopale stessa non si è ancora pronunciata ufficialmente, anzi si è limitata al solo tweet di mons. Olivier Ribadeau Dumas, il suo portavoce:

Chiese incendiate, saccheggiate, profanate. Non potremo mai abituarci a che quei luoghi di pace siano preda di violenze; a che quanto abbiamo di più bello e di più prezioso – il corpo di Cristo – venga calpestato.

L’ultima profanazione in linea cronologica risale al 9 febbraio, a Notre-Dame de Dijon. Ma anche il 3 febbraio a Lusignan, vicino a Poitiers, e a Talmont, in Vandea, il medesimo giorno. In questi ultimi due casi, le pissidi contenenti le ostie – alcune delle quali sono state disperse – sono scomparse. Molto spettacolare è stata la profanazione del 5 febbraio nella chiesa di Notre-Dame-des-Enfants a Nîmes. Christiane Roux, membro del consiglio pastorale di quella comunità, ha dichiarato:
Il tabernacolo era stato forzato, le ostie consacrate sparpagliate, sbriciolate. Sul muro era stata tracciata una croce con degli escrementi e vi avevano incollato delle ostie. Escrementi erano stati deposti sui bambini nel gruppo statuario della Vergine. Credenti o no, gli abitanti del quartiere sono scioccati. Per i cattolici è un sacrilegio, poiché è un attentato all’eucaristia, cuore della nostra fede, ma anche alla libertà di coscienza. Io reagirei allo stesso modo per una sinagoga, per una moschea o per un tempio.

La messa di riparazione che il reverendo Emmanuel Pic annunciava nel suo tweet del 9 febbraio è stata celebrata sabato sera alla presenza di monsignor Arcivescovo, Roland Minnerath: il medesimo rito – che comprende in particolare una purificazione dell’altare – verrà celebrato domani, 13 febbraio, a Nîmes.




Se da un lato gli ecclesiastici non vogliono “fare rumore”, dall’altro gli stessi sono preoccupati di come anche la Cosa Pubblica non sembri conferire enorme risalto agli episodi. Monsignor Bernad Ginoux, a Montauban, ha dichiarato:


Il ministro dell’Interno, con delega ai Culti, avrebbe potuto inviare un messaggio alla comunità cattolica…


Da parte sua Jean-Jacques Brot, il prefetto delle Yvelines, ha dichiarato a Le Figaro:


È estremamente preoccupante, nel contesto attuale. Non intendo sopravvalutare la questione, ma in un dipartimento come le Yvelines, così sensibile sul piano religioso, è importante che il rappresentante dello Stato si esprima per ribadire la propria vigilanza perché tutti i luoghi di culto restino dei luoghi di pace.


E non si sa neppure chi siano i colpevoli, naturalmente, benché in molti casi siano state sporte denunce: a Lavaur, nel Tarn, dove il 5 febbraio un presepe è stato bruciato e una statua di Cristo è stata disarticolata e posta nella posa hip-hop nota come “tab”, due adolescenti si sono presentati in Gendarmeria per confessare la loro responsabilità. In un altro caso sono in corso delle indagini a carico di un senza fissa dimora notoriamente squilibrato, ma le stesse non sembrano essere approdate a un risultato.




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Di sicuro si avvicinano meglio al bersaglio le considerazioni del cardinal Sarah sulla «civiltà malata che si lascia catturare nei lacci del male». Proprio in questi stessi giorni, in Francia s’è riacceso anche un inquietante focolaio di antisemitismo (peste tutt’altro che debellata dal nostro Vecchio Mondo), e sembrano grotteschi i “neroniani” tentativi di alcuni di addossare “ai musulmani” la responsabilità di ciò che è anzitutto una paurosa carie nella civiltà occidentale.



Del resto, a Parigi sabato scorso qualcuno ha scritto “Juden” sulla vetrina di un negozio di ciambelle – e sui social c’è chi scrive che “è colpa dei Gilet Gialli”! Un’intellettuale francese intelligente e spiazzante – la rabbina Delphine Horvilleur – ha scritto proprio oggi su Le Monde un fondo che quasi inavvertitamente ci mostra come la ciambella di cui stiamo parlando sia proprio la nostra pretesa civiltà:

[…] La realtà è più complessa, e per descriverla bisogna indubbiamente accettare di enunciare una frase paradossale: la liberazione della parola odiosa, e più specificamente quella antisemita, non dice niente del movimento dei “gilet gialli”, ma neppure gli è estranea. L’odio dei giudei (o l’odio tout court) non è quel che porta gli uomini e le donne a riversarsi per le strade… ma tale movimento non è privo di contatti con il selvaggio sprigionarsi di una parola che non è né emblematica né aneddotica. È quel che potremmo chiamare “la filosofia della ciambella”, se quel dolce tondo e forato potesse enunciare una teoria politica. Il movimento dei “gilet gialli”, come ogni movimento di contestazione, ha saputo creare uno spazio politico, un “buco” che fa da presa d’aria e nel quale da settimane s’ingolfano i più virulenti attori anti-democratici, estremisti e anti-repubblicani.

Precursore di un odio generalizzato

La liberazione della parola antisemita attraverso slogan, tag o manifesti ne è l’espressione. L’antisemita non ne vuole al giudeo per quel che ha fatto, per quel che ha, e neanche perché sta lì. La prova? Glie ne vuole anche quando lì non c’è più. Qui si sfregia con una croce uncinata il viso di Simone Veil e lì si sradica un albero alla memoria di Ilan Halimi. Quest’odio che vuol “fare la pelle” anche ai morti racconta che esso non si fermerà ai giudei, anche se cerca quelli per primi. Esso agisce, come sempre, da precursore di un odio generalizzato, che colpisce il giudeo sotto forma di una ripetizione generale. «Quando sentirete dire male del giudeo – diceva Frantz Fanon – tendete l’orecchio: stanno parlando di voi». Dunque non ci si faccia ingannare: la ciambella non ha il gusto del suo buco, ma bisogna essere coscienti del vuoto che si crea nel suo impasto, nel quale potrebbe ben infilarsi un gusto rancido. In questo, le si impone una responsabilità particolare: la vigilanza imposta a colui che – anche suo malgrado – può evitare il peggio. Ogni movimento di contestazione politica è legittimo e costituisce il fondamento stesso del nostro regime democratico, la possibilità di essere interpellati. Ma quando – in alcuni – la contestazione del potere si enuncia in termini di “élites”, di colpevolezza dei “ricchi” o di “complotto” dei potenti, conviene mettersi in ascolto di quale lingua si stia parlando – un linguaggio ancestrale che fu nella storia quello dell’antisemitismo. […]

Mi pare che le parole della rabbina e quelle del cardinale si lumeggino a vicenda: la civiltà malata è affetta da un grande vuoto, che lunghi periodi storici resta asintomatico. Di tanto in tanto, però, arriva qualche movimento che in nome della parrhesía e della partecipazione dà la stura al peggio degli individui, che talvolta si agglomera nel peggio della società e affiora qua e là – sul pelo d’acqua della Storia – come il peggio della civiltà umana.


MARINA NALESSO

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Non per nulla, anche Gesù è un giudeo, come sua Madre.

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