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Gesù e Giuseppe erano davvero falegnami?

BIEDNY CZŁOWIEK

Aa Dil/Unsplash | CC0

Daniel R. Esparza - pubblicato il 11/02/19

Guardare l'originale greco, la traduzione latina e il contesto storico di Gesù potrebbe rispondere a questa domanda... o no

La tradizione e la devozione popolare hanno spesso ritratto Gesù e Giuseppe come falegnami, lavorando insieme e condividendo laboratorio e strumenti mentre costruivano sedie, sgabelli e tavoli. Alcuni dipinti barocchi spagnoli mostrano perfino un Gesù giovanissimo con una scheggia di legno nel dito, con una goccia di sangue che ne esce, o mentre porta sulle spalle un ceppo di legno in laboratorio, come a preannunciare la sua morte in croce. Ma è questo che dice davvero il testo biblico? Guardare l’originale greco, la traduzione latina e il contesto storico di Gesù potrebbe rispondere a questa domanda… o no.

La maggior parte delle traduzioni usa la parola “falegname” per descrivere il mestiere di Gesù e di Giuseppe, ma il termine greco che leggiamo nei Vangeli di Marco e Matteo può essere interpretato in vari modi. La parola usata nei testi evangelici è téktōn, usata per artigiani e lavoratori del legno (e quindi si può tradurre come “falegname”), ma è interessante che si possa riferire anche a scalpellini, costruttori e perfino coloro che eccellevano nel loro mestiere ed erano in grado di insegnarlo agli altri. La traduzione latina che troviamo nella Vulgata, faber, mantiene i vari significati del greco téktōn. Faber era un termine generale usato per lavoratori e artigiani. Un faber poteva sicuramente lavorare come falegname di tanto in tanto, ma un falegname di mestiere era un lignarius.

Il professor James D. Tabor, studioso biblico dell’Università del North Carolina (Stati Uniti), ha suggerito che “costruttore” o “scalpellino”sarebbe una traduzione migliore per il greco téktōn nel caso di Gesù, e per motivi molto specifici. Da un lato, la predicazione di Gesù usa spesso metafore ispirate alla costruzione – riferimenti frequenti alle “pietre angolari” e alla “solide fondamenta” potrebbero suggerire che Gesù avesse familiarità con i dettagli su come progettare, finanziare e costruire una casa –, dall’altro, considerando che la regione in cui Gesù ha vissuto ed è morto non abbonda di alberi e che la maggior parte delle case all’epoca era costruita in pietra, pensare che Gesù e Giuseppe potrebbero aver lavorato con la pietra ha un certo senso.

Ma non è così semplice. Nella Septuaginta (la prima traduzione della Bibbia ebraica dall’ebraico e dall’aramaico in greco), troviamo il termine greco téktōn usato nel libro di Isaia, e anche nella lista degli operai che costruivano o riparavano il Tempio di Gerusalemme nel secondo libro dei Re, per distinguere i falegnami dagli altri lavoratori. Questa distinzione era già classica, e i greci usavano spesso la parola téktōn per riferirsi specificamente a un falegname, impiegando invece il termine lithólogos per i lavoratori della pietra e laxeutés per i muratori. Pensare che questo uso comune del termine sia stato ereditato dagli autori dei Vangeli, che conoscevano bene la Septuaginta, è logico. È però necessario paragonare anche il greco della Septuaginta con l’originale ebraico trovato in Isaia. Il greco téktōn è il termine usato comunemente per tradurre il termine ebraico kharash, usato per “artigiano”. Téktōn xylôn è però la traduzione dell’ebraico kharash-‘etsîm, “falegname”, come si legge in Isaia 44, 13.

Lo studioso biblico ungherese Géza Vermes ha tuttavia suggerito che la parola greca téktōn non sia stata tradotta dall’ebraico kharash, ma corrisponda piuttosto all’aramaico naggara. Vermes ha infatti affermato che quando il Talmud si riferisce a qualcuno come a un “falegname” potrebbe implicare che si trattasse di un uomo molto istruito. Ciò vorrebbe dire, allora, che gli autori dei Vangeli indicavano che Giuseppe era un uomo istruito, non solo saggio ma anche conoscitore della Torah, indipendentemente dal suo mestiere. Si tratta però di una posizione minoritaria, che deve fare i conti col non piccolo ostacolo dato dal fatto stesso che quando Gesù si rivela sapiente, sia da bambino sia da adulto, tutti quanti si chiedono «donde gli venga quella sapienza che gli è data» (Mc 6, 1-6), domanda che nessuno si farebbe se fosse chiaro che Giuseppe era un “grammateus”, cioè un uomo edotto nella legge. La forma sintattica utilizzata in genere dagli evangelisti è proprio quel verbo al passivo senza complemento d’agente – ovvero con il complemento d’agente sottinteso (Dio) – che viene detto “passivo divino”.

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