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L’emozione, da musulmano, di vedere il Papa nel Golfo

PAPA IMAM EMIRATI ARABI

Vincenzo PINTO / AFP

Agi - pubblicato il 05/02/19

Il giusto atteggiamento, ha detto Francesco, "non è né l'uniformità forzata, né il sincretismo conciliante: quel che siamo chiamati a fare, da credenti, è impegnarci per la pari dignità di tutti"

di Brahim Maarad

Speranza. E’ questo ciò che, da musulmano cresciuto in Occidente, mi trasmette la visita di Papa Francesco nel Penisola Arabica. La prima di un pontefice. La speranza che nasce dal gesto di un Uomo di Dio, “venuto dall’altra parte del mondo”, che si presenta a bordo di un’utilitaria per porgere la mano a un’altra fede.

La speranza mostrata dai musulmani, guidati dal Grande imam dell’Azhar, che lo accolgono con gli onori dovuti e meritati, in mezzo a un deserto trasformato in paradiso. Con la coscienza di essere diversi, ma fratelli. La fratellanza che esprime – ha spiegato Francesco nel suo discorso ad Abu Dhabi – “anche la molteplicità e la differenza che esistono tra i fratelli, pur legati per nascita e aventi la stessa natura e la stessa dignità”.

E il giusto atteggiamento “non è né l’uniformità forzata, né il sincretismo conciliante: quel che siamo chiamati a fare, da credenti, è impegnarci per la pari dignità di tutti, in nome del Misericordioso che ci ha creati e nel cui nome va cercata la composizione dei contrasti e la fraternità nella diversità”. Il Papa ha citato il Misericordioso, uno dei nomi di Allah più ricorrenti, che apre ogni versetto del Corano.

In un’epoca in cui sembra molto più facile e immediato chiudersi in se stessi, allontanare gli altri, arroccarsi nelle proprie convinzioni, i gesti e le parole a cui il mondo sta assistendo sono da considerarsi una felice rivoluzione.

Sarebbe oltremodo utopico non fare i conti con la realtà: dalle guerre, ai diritti umani soffocati in troppi angoli del mondo, agli estremismi dilaganti. Ma da qualche parte bisogna pur cominciare. “La guerra non sa creare altro che miseria, le armi nient’altro che morte”, ha affermato il Pontefice. “Sono qui per la pace”, aveva esordito.

E della guerra ha parlato anche il grande Imam dell’Azhar, Ahmad al Tayyib, che ha definito Francesco “un caro amico”, ricordando di essere parte di quella che si può considerare la “generazione della guerra”. Nata tra i racconti della seconda guerra mondiale e che ha visto e vissuto un conflitto dopo l’altro. Buona parte giustificati con la religione eppure, citando i testi sacri, nessun Dio chiama alla guerra.

“Qui, in pochi anni, con lungimiranza e saggezza, il deserto è stato trasformato in un luogo prospero e ospitale; il deserto è diventato, da ostacolo impervio e inaccessibile, luogo di incontro tra culture e religioni”, ha detto il Papa.

La mia convinzione è che, con “lungimiranza e saggezza”, si possa fare rifiorire il deserto di valori di cui ci siamo circondati. Seguendo l’esempio che ci è stato tracciato da Francesco e al Tayyib: andare dall’altra parte del mondo per incontrare un “fratello diverso”.

Qui l’articolo pubblicato dall’agenzia “Agi”

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