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Quando la Prima Comunione finisce davanti ai giudici

FIRST COMMUNION

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Maria José Fuenteálamo - pubblicato il 25/01/19

Lascereste l'educazione religiosa dei vostri figli nelle mani di un giudice?

Avete deciso che educazione religiosa volete dare ai vostri figli? L’avete concordata chiaramente con il vostro partner? Si tratta di una decisione condivisa da entrambi? Volete che siano battezzati e che facciano parte della Chiesa cattolica? Volete che ricevano la Prima Comunione a 8-9 anni? E che prima ricevano la catechesi? Avete già parlato del tipo di scuola che volete per i vostri figli? Preferite che frequentino una scuola pubblica o una religiosa in cui vengano formati nei valori e nelle virtù del cristianesimo?

A molte persone sembrano forse domande superflue, ma i giudici di tutto il mondo devono affrontare spesso questioni del genere per disaccordi tra coppie separate o divorziate. Quando si devono prendere decisioni di questo tipo, il padre o la madre del bambino dice che non vuole che il figlio riceva la catechesi o preferisce una scuola laica a una religiosa. Questo tema finisce spesso in
tribunale.

Problema dei genitori, non di religione

I giudici, costretti a dare ragione a uno dei due genitori, hanno difficoltà a trovare una soluzione. In genere, affermano, la questione non è l’educazione religiosa in sé, ma la mancanza di consenso tra i madre e padre.

“Qualcosa non va se si deve ricorrere alla Giustizia riguardo all’educazione dei figli”, segnala José Ramón Bernácer, magistrato giudice dei minori di Toledo (Spagna), che ha ricevuto numerosi riconoscimenti per il suo operato a favore della rieducazione e del reinserimento dei ragazzi. Nella sua conferenza “Risoluzione giudiziaria dei conflitti per disaccordo sulla formazione religiosa dei figli”, impartita durante l’apertura dell’anno giudiziario ecclesiastico ad Albacete (Spagna), sostiene che “a volte quello che si discute non è la religione in sé, ma ciò che circonda alcuni eventi, come la Prima Comunione”.

Come giudice e padre, la prima cosa che raccomanda ai genitori è evitare di portare davanti al giudice situazioni di questo tipo. Ci sono molte possibilità per risolvere questa problematica familiare. Ripercorriamo, sulla scia della sua conferenza, lo stato della questione e cosa si può fare quando si affronta un problema del genere.

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1. Stabilire un accordo sull’educazione religiosa dei figli

E perché no? Anche per iscritto, una volta che nascono i figli. Nel Diritto Canonico, quando ci si sposa per la Chiesa si ha il dovere di educare i figli nella fede cattolica. La normativa civile, ricordano tuttavia i giudici, non è chiara in tutti i Paesi. Entrambi i genitori hanno la libertà di educare i figli nella religione o meno.

È un diritto concesso dalla patria potestà, che hanno entrambi i genitori indipendentemente dal fatto di avere o meno la custodia. Ciò vuol dire che è una libertà condivisa al 50%. Come risolvere le controversie? In Germania e in Francia, ad esempio, i giudici hanno il premesso di emettere sentenze in funzione di quello che si faceva prima della separazione: se i genitori si sono sposati con un rito religioso o meno, se hanno battezzato i figli, se andavano a Messa… Questa è una delle formule seguite in genere dai giudici in questi casi, ma non è sempre così chiaro.

2. Ricorrere alla mediazione prima di andare in tribunale

La Chiesa, oltre ai suoi tribunali ecclesiastici, offre aiuto per mediare in questi casi, come nelle questioni relative a problemi matrimoniali (l’Istituto Coincidir, ad esempio, fondato dalla nostra collaboratrice María Álvarez de las Asturias, offre orientamento personale e familiare a Madrid), ma visto che la Prima Comunione è il primo motivo per cui si ricorre ai tribunali in questo caso raccomanda di abbassare i toni e di riflettere su tutto ciò che implica questa giornata: il banchetto, il vestito, i regali…

Durante la sua conferenza, José Ramón Bernácer ha ricordato alcune sentenze che danno un’idea del livello di surrealismo a cui si arriva nei tribunali, segnalando che ci sono giudici che hanno dovuto decidere sul vestito di una bambina o sul luogo in cui tenere il banchetto – in un caso in concreto in un hotel, perché il bambino potesse salire e scendere i vari piani per stare con una famiglia e con l’altra.

3. Arrivare in tribunale, pessimo esempio per i figli

Trasferire i disaccordi nell’educazione dei figli significa già non favorire la loro educazione. Per cominciare, i disaccordi non tengono conto dell’idea superiore del “bene del minore”, perché a volte non viene invocata, ma si portano davanti al giudice altre questioni: un genitore preferisce una scuola o un’altra semplicemente perché è più vicina a casa, un altro vuole o non vuole che riceva la Prima Comunione perché il bambino non si senta diverso dai compagni di classe…

E i casi diventano ancora più intricati quando i figli finiscono per esprimersi davanti al giudice, cosa che in Spagna è possibile a partire da una certa età (la normativa spagnola segnala che il giudice deve ascoltare genitori e figli “quando hanno giudizio sufficiente”). È un’esperienza spiacevole che i giudici raccomandano sempre di risparmiare ai bambini.

Per questo, la raccomandazione è sempre accordarsi e ricorrere alla mediazione per evitare scontri prima e questioni giudiziarie poi. Ironicamente, il magistrato Bernácer ha affermato che si eviterebbero molti problemi se la normativa dicesse che si possono ascoltare i genitori in tribunale “quando hanno giudizio sufficiente”.

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