James Watson, dna e doppia elica. Revocati i titoli onorari a causa di ennesime frasi contro neri, ma il razzismo è un passo coerente con il suo credo materialista: l’uomo è totalmente riconducibile al suo materiale genetico. «La cultura cristiana», scrive lo storico ebreo Lèon Poliakov, «è sempre stata antagonista alle teorie razziste».Il noto biologo James Watson ci è ricascato. In una recente intervista è tornato a parlare delle “differenze genetiche” di intelligenza fra bianchi e neri ed il Cold Spring Harbor Laboratory ha deciso di revocare i titoli onorari consegnati al suo storico leader. Questa la notizia di oggi sui giornali.
Watson è un biologo statunitense ritenuto “uno dei padri del Dna”, per il quale ha vinto il Nobel per la Medicina nel 1962. Amatissimo dal matematico Piergiorgio Odifreddi, che lo omaggia con definizioni come «il più famoso scienziato vivente» e «noto anticonformista». Così anticonformista che nel 2007 disse che «i neri sono meno intelligenti dei bianchi» e che l’idea che «l’eguaglianza della ragione condivisa da tutti i gruppi razziali si è rivelata una delusione» tanto che «chi ha a che fare con dipendenti di colore pensa che questo non sia vero» (da notare che Odifreddi pubblica i suoi elogi a Watson 7 anni dopo queste frasi, divenute nel frattempo di dominio pubblico). Concetto ribadito poche settimane fa e che gli è costato la revoca dei suoi titoli onorari e la confutazione delle sue tesi da parte della comunità scientifica.
Watson vinse il Nobel rubando il lavoro di Rosalind Franklin.
Quel che sui quotidiani non viene però scritto è che Watson vinse il Nobel per la scoperta della struttura elicoidale del DNA, appropriandosi in gran parte del lavoro di Rosalind Franklin (morta poco dopo di cancro) e servendosi dei suoi lavori non ancora pubblicati. Tanto che l’università di Harvard si rifiutò di pubblicare il celebre libro di Watson, “La doppia elica”, in cui si vantava della scoperta. La vicenda è approfondita in B. Maddox, Rosalind Franklin. La donna che scoprì la struttura del dna (Mondadori 2002).
Il biologo idolo della comunità ateista: “La vita è solo questione di chimica”.
Occorre anche ricordare che James Watson è sempre stato un idolo della comunità anti-teista americana, alla stregua di Dawkins e dell’etologo E.O. Wilson. Una nota di colore: l’ateo più famoso del mondo, Richard Dawkins, difese lo stesso Watson quando quest’ultimo sostenne il diritto delle donne ad abortire se dalle analisi fosse emersa l’omosessualità del suo bambino (negli Stati Uniti i neodarwinisti sono contrari agli omosessuali perché li ritengono un danno alla proliferazione della specie).
Watson non ha mai fatto mistero del suo “ateismo scientifico”. Basta leggere il suo libro, Dna, il segreto della vita (Adelphi 2004) per scoprire quanto sia orgoglioso che l’aver scoperto il «segreto della vita» abbia di fatto confermato «la rivoluzione del pensiero materialistico dell’Ottocento». Per il quale, la vita umana non sarebbe «nulla di speciale, nient’altro che una questione di chimica», mentre l’uomo è «il prodotto di lanci casuali dei dadi della genetica» (p.415). Nel 1997, il nobel Watson firmò a favore della clonazione umana, perché «non esiste un’anima immortale ma soltanto processi elettrochimici». Invocò anche l’eugenetica e la selezione sessuale: «Lasciateci liberare la società dai difetti genetici». «C’è qualcosa di divino all’interno di una cellula, qualcosa che si chiama vita?», si domandò ancora Watson. «La doppia elica rispondeva a questa domanda con un “no” definitivo» (p. 415). E’ un’affermazione forse ancor più sciocca di quella dell’astronauta russo, Jurij Gagarin, che, reduce dal suo giro attorno alla terra (1961), proclamò: «Sono stato nello spazio, ma lassù non ho visto alcun dio».
Il genetista Francis Collins si convertì grazie alla scoperta del DNA.
Il religiosità pagana, animista. Anzi, a ben vedere, la doppia elica ha confutato il panteismo di Baruch Spinoza e l’anima mundi di Giordano Bruno, perché ha escluso il vitalismo magico interno alla materia (una “materia divina”) che nulla ha che vedere con il cristianesimo, per il quale ogni cellula è sottoposta interamente alle leggi naturali. E’ sul principio generatore di queste leggi che la scienza, con buona pace di naturalisti e tardo-positivisti ottocenteschi, cede il passo alla riflessione filosofica e metafisica.
Lo ha osservato uno dei maggiori esperti mondiali di fisica gravitazionale teorica e di cosmologia quantistica, il fisico Don Page: «Come cristiano ritengo che le leggi fisiche dimostrino la fedeltà di Dio e gli schemi che ha utilizzato, seppur non siano per Lui vincolanti. Vediamo tanta bellezza matematica, semplicità ed eleganza nell’universo fisico, nelle equazioni dinamiche che Dio ha creato, in un certo senso le leggi fisiche sembrano essere analoghe alla grammatica e al linguaggio che Dio ha scelto di usare». Ed il genetista che ha decifrato il DNA umano, Francis Collins, è noto per essersi convertito al cristianesimo dopo quella scoperta: «Ero sbalordito dall’eleganza del codice genetico umano. Mi resi conto di aver optato per una cecità volontaria e di essere caduto vittima di arroganza, avendo evitato di prendere seriamente in considerazione che Dio potesse rappresentare una possibilità reale».
Dall’ateismo scientifico al razzismo il passo è breve.
Come ha ben osservato il saggista Francesco Agnoli, è proprio da questi suoi convincimenti riduzionistici che prende piede il convinto razzismo di Watson. «Se il dna è tutta la vita, e se tutta la vita è riconducibile al dna, allora ogni distinzione tra uomo e uomo, e ogni alterità tra uomini e animali, è riconducibile solo ed esclusivamente ad esso», scrive Agnoli. «Di qui al razzismo il passo è breve: la differenza di sviluppo tra bianchi e neri non deriverebbe da dissimili cultura, storie ed educazioni, ma da fattori genetici, e come tale sarebbe incolmabile, eterna, immutabile» (F. Agnoli, Perché non possiamo essere atei, Piemme 2009, p.102).
Bisognerebbe ascoltare anche Lèon Poliakov, tra i principali studiosi del genocidio ebraico e dell’antisemitismo razzista (citato nel nostro dossier). «Il rifiuto di vedere l’uomo creato a immagine di Dio», ha scritto, «fu in buona parte alla base del pensiero determinista e razzista del XIX secolo. Infatti la tradizione giudaico-cristiana era “antirazzista” e “antinazionalista” […]. Per questo l’antropologia della Chiesa ha sempre giocato un ruolo di un freno estremo alle teorie razziste» (L. Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, pag. 245,246,370,371).