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Finché morte non ci separi: come affrontare la vedovanza

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Sempre Família - pubblicato il 16/01/19

Bisogna imparare dal dolore e riprendere a vivere

Convivere con l’assenza della persona scelta per condividere il resto della vita non è tanto semplice. Una ricerca realizzata dall’Instituto do Casal rivela che rimanere vedovi è la seconda paura più grande delle coppie brasiliane.

Il timore che circonda l’idea di perdere la persona amata, secondo il teologo Márcio Luiz Fernandes, risiede nel fatto che “rimanere da soli” è una paura dell’essere umano in generale, perché fondamentalmente non è stato creato per questo. Perdere una persona con cui si è creato un legame affettivo forte vuol dire sperimentare “qualcosa di radicalmente umano: le dimensioni interiori del dolore, della fragilità, della dipendenza, della perdita, della sofferenza”.

La comprensione di quel nuovo momento della vita varia da persona a persona, ed è necessario poter vivere il lutto per adattarsi. Come si può vivere questa nuova realtà, facendo fronte alla vedovanza? Oltre al tempo di cui ciascuno ha bisogno, le difficoltà hanno le proprie particolarità in base al fatto che si resti vedovi da giovani o quando si è già alla fine della vita.


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Vedovanza precoce e vedovanza tardiva

Essendo una situazione “meno naturale”, la vedovanza precoce può essere uno shock per chi si è sposato da poco e può avere figli piccoli, adolescenti o giovani. “È comune che quella morte sia sentita come qualcosa di brutale”, riferisce lo psicologo Luiz Henrique Michel, specializzato in lutto.

Fernandes spiega che la persona rimasta vedova precocemente, oltre a convivere con il dolore, dovrà preoccuparsi di questioni molto pratiche come il fatto di allevare i figli e organizzare la vita, oltre che della preoccupazione per la salute fisica e mentale. Trovarsi in questa situazione da giovani o anche nella vita adulta implica alcune “preoccupazioni ben determinate rispetto alle necessità immediate”, sostiene.

Nella vedovanza tardiva bisogna invece congedarsi da qualcuno con cui si è condivisa tutta una vita. Se nella vedovanza precoce la persona cerca di trovare soluzioni al modo in cui allevare i figli da sola, nella vecchiaia i figli sono ormai cresciuti e hanno la propria famiglia, e quindi il senso di solitudine può essere maggiore.

Nonostante le peculiarità di ogni storia, c’è una somiglianza di fondo: in entrambi i casi si provano “la sofferenza e la solitudine per l’allontanamento dalla persona con cui si è vissuto e si sono convidise per molto tempo le proprie emozioni, la vita e le esperienze”, spiega Fernandes.


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Tornare alla routine

Dopo aver vissuto il lutto e compreso le sfide che comporta questa nuova realtà, bisogna affrontare nuovamente la vita, e secondo Michel cercare di trovare un posto nuovo per quella persona nella propria esistenza. “Non è necessario dimenticarla. Al contrario, i ricordi, ciò che si è appreso e perfino i sogni condivisi possono rimanere vivi, anche se non c’è più la presenza fisica della persona amata”, commenta. “Allo stesso tempo – senza mai smettere di rispettarsi –, è importante riprendere gradualmente a vivere, cercando sostegno in amici, familiari, comunità religiosa (se se ne ha una), gruppi di aiuto reciproco o professionisti del settore sanitario”.

La famiglia gioca un ruolo fondamentale in questo momento, perché è in essa che il vedovo troverà grande sostegno. Spesso chi è rimasto da solo ha bisogno di sentirsi amato con piccoli gesti e semplici dimostrazioni di presenza. Ad esempio, i familiari possono aiutare a svolgere i compiti domestici e a gestire le finanze.

Michel ricorda che al momento di cercare di risollevare il vedovo è importante che la famiglia scelga bene le parole. Ad esempio, “non si devono fare commenti sul fatto di trovare un nuovo o una nuova partner, perché possono dare l’impressione che il coniuge scomparso potrebbe essere facilmente sostituito da un’altra persona”.

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