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Torino: malata e adottata alla nascita dal Comune, Martina ha vissuto sei mesi

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Annalisa Teggi - pubblicato il 15/01/19

"Seppure la sua vita sia stata breve è riuscita a creare attorno a sé tanto amore" così il sindaco di Moncalieri parla di Martina, neonata affetta da grave patologia e vissuta per sei mesi grazie all'affetto dei medici, degli assistenti sociali e del Comune che è diventato suo tutore legale.

«Per educare un figlio ci vuole un villaggio» da quando il Papa citò questo proverbio africano nel 2014, ne abbiamo visto propagarsi l’eco in molti contesti. Funziona anche senza capirne il senso fino in fondo, è un’idea bella anche letta di sfuggita.


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Ma è talmente vera che si può osare tirarla fuori anche prima che il figlio nasca. Il concepimento di un figlio è una faccenda che riguarda la comunità umana, ecco perché – ad esempio – ci opponiamo tenecemente alle varie pillole abortive, che relegano una donna incinta a chiudere i conti con una gravidanza da sola con un bicchier d’acqua. Nel suo corpo accade già qualcosa di  «nostro», ma non perché noi – comunità – abbiamo il diritto di imporre una scelta a un’altra persona, bensì perché ogni persona non dovrebbe sentirsi sola, monade, nel portare il peso di una nascita di fronte a cui si sente spiazzata, impaurita, inadeguata. Ogni nascituro è un bene comune.

La cronaca di questo inizio anno ci porta a Moncalieri, per sbirciare in un evento piccolo piccolo che ha del miracoloso anche se nessun miracolo mirabolante è accaduto. È semplicemente accaduto che il villaggio che per sei mesi ha allevato una neonata si è riscoperto comunità, un frammento di popolo unito dal senso di cura, protezione e affetto degli indifesi.


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Martina

Ci sono difficoltà economiche e trascorsi pesanti alle spalle della mamma che ha scelto di non riconoscere la figlia nata gravemente malata sei mesi fa all’ospedale Santa Croce di Moncalieri; la donna era stata informata sulla grave patologia genetica e sulla cardiopatia della sua bimba. L’ipotesi peggiore era che la neonata non superasse i primi giorni, invece, nonostante il percorso complicato della sua degenza, Martina è vissuta fino al giorno dell’Epifania, cioè fino a poco più di una settimana fa.

Per tutti questi sei mesi la sua famiglia sono stati gli assistenti sociali del Comune di Moncalieri, che già seguivano la madre. L’hanno vista crescere e lottare, tra pianti e momenti più sereni. Hanno sperato che alla fine ce la facesse, che vincesse una battaglia impossibile, ma ci sarebbe voluto davvero un miracolo. (da Repubblica)
NEWBORN GIRL
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Il villaggio ha cresciuto la bambina, e la bambina pur così piccola ha lasciato tracce della presenza buona, degna e opportuna che ogni persona offre con la propria vita. Il Comune, nella persona del sindaco Paolo Montagna, è diventato tutore legale di Martina; il personale dell’ospedale è stato il premuroso abbraccio quotidiano alla piccola, costantemente attaccata ai tubi e alle macchine.




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È un’immagine dolente che pure ci riempie di speranza, perché fotografa un ritratto del nostro paese in cui ci riconosciamo davvero: la medicina al servizio della vita, la politica che si mostra indaffarata nella cosa pubblica, gente che facendo il proprio lavoro è popolo. E tutto ciò scaturisce da una vita che già in altri casi abbiamo visto etichettata come inutile, o pietosamente (!?!) soppressa prima della nascita. Eccoci invece ancora qui a documentare che essere vivi, a prescindere da qualsiasi altro attributo qualificativo, è essere parte dell’opera del mondo. Vale.

Ne possiamo dare un riscontro oggettivo in questa vicenda, qualora fossimo proprio come il San Tommaso di turno. La madre naturale ha riconosciuto la figlia, in un secondo momento; non ci sono ulteriori dettagli oltre questo dato. Evidentemente, il fatto che molti guardino in una direzione è un invito a voltare la testa e chiedersi: cosa c’è da vedere?

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Una madre che aveva reciso a priori il rapporto con la propria bambina è stata guidata a guardare con occhi nuovi la sua creatura non a forza di costrizioni, ma semplicemente prendendo atto dell’affetto altrui verso una neonata che – evidentemente – non era solo quella malattia bruttissima e cupa che gettava ombra su tutto. Educando e crescendo il bambino il villaggio educa se stesso, chi fa parte di esso.


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Possiamo augurarci che questa donna possa ricostruire la propria vita, che s’intuisce piena di problemi, alla luce di questo evento che forse è proprio un messaggio ad personam: ciò e chi ti viene dato è un dono al tuo destino, perché tu possa sentirti accompagnato a non sentirti solo, fragile, inutile.

Facce da funerale, piene d’amore

 “L’abbiamo sempre seguita, accompagnata in tutto questo tempo che purtroppo ha trascorso interamente in ospedale. Proprio per questo non ce la siamo sentiti di lasciarla sola in quest’ultimo viaggio. Non lo avremmo mai fatto. Abbiamo deciso di partecipare in prima persona alle spese. E il fatto che un’intera comunità ci abbia seguiti fa capire come questa bambina sia riuscita a farsi amare da tante persone. Seppure la sua vita sia stata breve è riuscita a creare attorno a sé tanto amore”. (Ibid)

Queste parole del sindaco di Moncalieri raccontano l’ultimo tassello della vita di Martina, la celebrazione del suo funerale. Sei mesi di vita hanno trasformato la quotidianità di molte persone e perciò Giuseppina, una delle assistenti sociali che ha seguito la bimba, ha proposto l’idea di raccogliere fondi per le esequie; alla colletta hanno partecipato tutti, dal personale medico, ai privati cittadini, ai funzionari politici ed enti religiosi.

Comfort care

 “L’esistenza ha un inizio e una fine. E non la stabiliamo noi. Ma nel mezzo facciamo tutto quello che è possibile perché la loro vita sia bella” – Elvira Parravicini

Cosa vuol dire bello? Da custodire come memoria preziosa; gratificante anche se sofferto, fonte di gratitudine.




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Esistono casi come quelli di Martina, esistono bambini che possono essere curati anche se non guariti. Si può vivere un lampo di vita, pochi minuti o giorni che possono cambiare una famiglia senza imprimere il sigillo di tragedia insensata. La storia che viene da Moncalieri ci aiuta a ricordare che esiste ormai in molti ospedali il percorso di Comfort care, di accompagnamento alla cura e alla morte per quei neonati aggrediti da patologie che non lasciano scampo.

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PD

Anche una prova così dolorosa può essere vissuta non dando l’ultima parola alla disperazione, e ne è testimone la dottoressa Elvira Parravicini che è stata tra i precursori di questo protocollo che è in realtà una compagnia: i genitori hanno bisogno di vivere appieno l’intensità dell’incontro con il loro figlio e di attraversare in pienezza anche tutto il dolore della perdita; il neonato ha bisogno di essere accudito e curato per non patire sofferenza. Non si tratta di accanimento terapeutico ma di custodia, di un accompagnamento che non riguarda solo la vita terminale ma quella di tutti.

Molti genitori che hanno vissuto anche solo poche ore in compagnia dei loro figli parlano di un’esperienza che li ha cambiati in positivo: qualcosa che li ha messi nudi di fronte all’evidenza che vivere è innanzitutto essere amati, fare esperienza di una relazione di bene gratuito e libero da ogni vincolo legato alle qualità o non qualità della persona.

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