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Come usare una ferita fisica come opportunità per la crescita spirituale

INJURY
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Jim Schroeder - pubblicato il 12/01/19
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Non immaginavo che la mia solita corsetta mattutina sarebbe stata così illuminanteUna fredda mattina sono uscito per la mia solita corsetta mattutina del mercoledì, anche se quella volta ero un po’ esitante. Il sabato precedente, alla fine di un percorso molto lungo, mi ero slogato una caviglia piuttosto malamente su una radice nascosta sotto le foglie cadute. Camminare per tutto il resto della giornata era stato doloroso e difficile, e anche se poi ero migliorato ero ancora insicuro su come la mia gamba avrebbe gestito una corsa, soprattutto di una certa portata.

Non era però la prima volta che accadeva, e in precedenza più tempo e più movimento avevano sempre favorito una ripresa totale. Quel giorno, quindi, dopo qualche minuto in cui avevo camminato ho deciso di iniziare a correre.

Inizialmente sono rimasto piacevolmente sorpreso del fatto che il dolore fosse sopportabile e che nulla sembrasse interferire con la mia andatura tipica. Mentre correvo, mi sono ricordato rapidamente la lezione che avevo tratto anni prima, quando mi stavo riprendendo dallo stesso problema. Quella volta avevo fatto troppo affidamento sulla parte inferiore del polpaccio per compensare la caviglia storta, e avevo provato all’improvviso un dolore in quella zona che mi aveva lasciato in condizioni ben peggiori. Mentre iniziavo a correre ho quindi ricordato a me stesso che dovevo sopportare un certo livello di dolore confidando nel fatto che piede e caviglia lo sopportassero, e quindi non ho compromesso altre zone sane della gamba.

Continuando a correre mi sono sentito profondamente consapevole di sensazioni diverse e cambiamenti in caviglia e piede, ma mi sono anche ritrovato ad essere più grato per la forza inaspettata intorno alla zona interessata (e anche proprio in quella), che mi stava permettendo di muovermi in quel modo. Anche se in genere sono una persona che si concentra sulla debolezza fisica, quella mattina ho scelto di concentrare energia e attenzione sulle aree che rimanevano forti ed esenti dal dolore.

Facendolo, ho notato un graduale senso di pace e la consapevolezza che le mie riserve iniziali sulla corsa stavano rapidamente svanendo. Il fastidio non era del tutto svanito, ma prevaleva la consapevolezza e la fiducia nei tessuti che non riuscivo a vedere a occhio nudo.

Quando sono entrato nella fase finale della corsa sono stato profondamente grato per il fatto di aver tenuto fede al patto quella mattina, accettando le sfide fisiche e spirituali anche se avrei voluto solo spegnere la sveglia e rimanere a letto. Come tante altre volte, mi è stato ricordato che “non avere paura” inizia sempre con la decisione di affrontare direttamente i nostri timori, a volte nella fredda oscurità.

La maggior parte dei giorni, tutti noi ci stiamo riprendendo da qualche tipo di ferita. A volte è fisica, più spesso spirituale. Come nel caso della mia corsa mattutina, c’è spesso la voglia di evitare un esame diretto, un confronto, temendo che il dolore non farà altro che aumentare e che le complicazioni si acutizzeranno. Spesso, però, evitare queste situazioni non ci permette di sperimentare una maggiore consapevolezza e la guarigione, quella che nasce solo quando affrontiamo ciò che ci tormenta di più, senza fuggire.

Anche quando affrontiamo direttamente il dolore e le ferite che ci hanno inflitto gli altri, però, spesso sottolineiamo solo il dolore e la debolezza, o facciamo troppo affidamento su aiuti esterni (come i farmaci), dimenticando tutti gli aspetti positivi e rafforzanti interenti alla situazione nella sua totalità. Come la mia tendenza a ossessionarmi per ciò che poteva andare male con il mio piede, o a dipendere troppo da altre parti della gamba, come esseri umani spesso ci concentriamo sul dolore e sui torti percepiti in una situazione particolare, perdendoci tutti i modi in cui siamo stati supportati durante il cammino.

Fare questo non cambia il fatto che ci sia stato un dolore. La mia caviglia si era storta davvero su quella radice qualche giorno prima. Ancor più grande della ferita, però, sono state l’incredibile guarigione e le forze entrate in gioco quasi istantaneamente dopo aver provato il dolore. I medici possono dirci di usare degli antidolorifici e del ghiaccio per ridurre il gonfiore, ma questo può renderci indifferenti al fatto che il gonfiore stesso è necessario perché si possa recuperare. Lo stesso vale nei nostri rapporti – per giungere alla nostra meta, a volte le cose si ingigantiscono e peggiorano prima di migliorare, come sa bene chiunque si sia storto una caviglia.

Tutto ciò include comunque un certo grado di prudenza e una netta conoscenza relativa al nostro obiettivo di una guarigione autentica. Sapevo che correre fin dall’inizio avrebbe potuto provocarmi un dolore più intenso. Nel mio desiderio di rimettermi rapidamente, questo approccio impaziente avrebbe potuto sortire l’effetto contrario. Allo stesso modo, nel lungo periodo è chiaro che la nostra volontà dev’essere moderata dalla chiara consapevolezza di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, altrimenti ogni passo provocherà una ferita maggiore e apprensione anziché più forza e l’agognata guarigione. È per questo che quella mattina, anziché dirigermi verso la mia meta abituale sapevo che l’importante era andare avanti, qualunque fosse la destinazione.

Tutti noi vogliamo il pieno recupero e la guarigione totale nella nostra vita, e nella nostra mente questo implica spesso il fatto di raggiungere una destinazione o un accordo particolare. Concentrandoci solo su un obiettivo, però, può essere facile chiedersi perché un dolore particolare riemerga, ricordandoci apparentemente che andare dove vorremmo potrebbe non essere effettivamente l’obiettivo che dovremmo perseguire. È invece il movimento diretto e prudente verso le nostre paure e insicurezze che permette la guarigione in modi mistici, in una dimensione invisibile in cui le nostre debolezze vengono trasformate in poteri nascosti che sono sempre stati lì.