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L’emancipazione delle donne saudite ha fatto un passo in avanti. Minuscolo

STADIUM

AFP PHOTO / Fayez Nureldine

Saudi women sit in a stadium for the first time to attend an event in the capital Riyadh on September 23, 2017 commemorating the anniversary of the founding of the kingdom. The presence of women at the King Fahd stadium marks a departure from previous celebrations in the Gulf kingdom where they are effectively barred from sports arenas by strict rules on public segregation of the sexes.

Agi - pubblicato il 04/01/19

Il re ha emesso un decreto che permetterà loro di usufruire di alcuni servizi governativi senza l'autorizzazione del tutore maschile

L’Arabia Saudita non è un Paese per donne. O almeno non ancora, nonostante le ambiziose aperture verso il mondo femminile mostrate dal principe ereditario Mohammed bin Salman (MbS) che nel 2018 ha permesso alle saudite di guidare l’auto (da giugno) o di entrare allo stadio (da gennaio). Le donne possono entrare a seguire le partite di calcio nei tre stadi principali del Paese – Riad, Gedda e Dammam – stando nei settori riservati, senza mescolarsi agli uomini e con ingressi a parte. Proprio queste restrizioni hanno innescato le polemiche in Italia per la Supercoppa italiana che si giocherà a Gedda il 16 gennaio.

Senza un uomo non si può

Nel regno wahabita, che si fonda su una versione radicale dell’Islam, resta ancora molto difficile invece declinare lo sport al femminile, nonostante le ultime Olimpiadi siano state caratterizzate da una crescente partecipazione di atlete saudite.

Nell’indice 2017 delle pari opportunità del World economic forum l’Arabia Saudita è 138esima su 144. Le donne, ad esempio, non possono ottenere un passaporto o viaggiare all’estero senza il permesso di un uomo. Lo stesso vale per il lavoro, il matrimonio e il divorzio. E restano molto rigide le regole per l’abbigliamento, che impongono al genere femminile una totale copertura del corpo, così come le restrizioni nei luoghi pubblici.

Carcere duro

Uomini e donne non possono frequentare gli stessi ambienti. Sono continui gli arresti per le violazioni: dal cittadino egiziano portato via per essersi filmato a colazione con una collega, al presidente dell’Autorità per l’intrattenimento licenziato per uno spettacolo in cui alcune donne indossavano un abbigliamento ritenuto “indecoroso”.

Le proteste per rivendicare maggiori diritti vengono represse con il carcere duro dove spesso, secondo le denunce di Amnesty e Human rights watch, le attiviste vengono torturate. Una durezza che Riad non risparmia nemmeno agli Stati che esprimono critiche. L’ultima ‘vittima’ è il Canada che nell’agosto scorso si è visto i rapporti diplomatici interrotti, senza alcun preavviso, dopo aver chiesto in un tweet la liberazione degli attivisti in carcere.

Timide aperture  ​

Nell’ambito di Vision 2030, il progetto che vorrebbe portare nella modernità il regno finora simbolo della teocrazia islamica, sono stati diversi i traguardi raggiunti e i muri abbattuti nella società saudita: dalla possibilità per le donne di assistere alle partite allo stadio, alla partecipazione ad alcuni sport all’aperto, all’autorizzazione a poter far parte dell’esercito e dei servizi segreti. Nel 2018 è stato inoltre aperto il primo cinema nel Paese, è stata messa in piedi l’Opera e sono stati annunciati i visti turistici, anche per donne – straniere – che viaggiano da sole. Tuttavia la strada per un totale riconoscimento del ruolo della donna nel regno che ospita la culla dell’Islam resta ancora lunga.

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