Maria che lo segue su per il calvario, Maria che lo rialza ancora, quando cade sotto il peso della croce, Maria che lo consola ancora. Maria che lo segue fin sotto la croce, Maria che non lo lascia mai, nemmeno alla fine, nemmeno dopo la fine.di Anna Mazzitelli
E’ successo diversi anni fa, un certo numero di vite fa, prima di Giovanni, prima dei trapianti, prima di tutto.
Filippo si avviava al primo trapianto, credo che fosse già nel reparto. Era domenica, e alla Messa ho ascoltato un’antifona che parlava di Lei, di Maria.
E una luce si è accesa.
Sono andata a confessarmi e sono riuscita a dire una cosa che avevo appena intravisto, una sensazione arrivata e poi fuggita subito, e che so essere vera, anche se mi fa paura dirla e anche solo pensarla.
Privilegiata. Amata a tal punto da essere privilegiata. Scelta per provare le stesse cose che ha provato Lei.
Pochi giorni fa la stessa sensazione: in macchina verso la parrocchia per partecipare alla messa di Natale, Stefano ci fa vedere un video che gli è stato mandato come augurio dal nostro amico Luigi.
Sagome di ballerini si muovono, si mescolano, si intersecano e dispongono i loro corpi in maniera tale che formino delle figure. E attraverso di esse raccontano la vita di Maria.
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Maria che aspetta Gesù, e le cresce la pancia, Maria che partorisce, Maria che lo accudisce, Maria che lo rialza, quando, bambino, inciampa e cade, Maria che lo consola.
Maria che lo segue, quando diventa uomo, e comincia a fare miracoli, a guarire e ridare vita, ad annunciare il regno del Padre suo.
Maria che lo segue su per il calvario, Maria che lo rialza ancora, quando cade sotto il peso della croce, Maria che lo consola ancora.
Maria che lo segue fin sotto la croce, Maria che non lo lascia mai, nemmeno alla fine, nemmeno dopo la fine.
Maria che vede suo figlio morire e si chiede come si può sopravvivere a un figlio che muore.
Maria, che è piaciuta così tanto a Dio da essere scelta per farle dare alla luce Suo figlio, Maria, amata a tal punto da non essere risparmiata del dolore di veder morire suo figlio, pur di essere quella che l’aveva generato nella carne.
E, assieme alle lacrime, guardando il video, torna la sensazione di aver ricevuto lo stesso trattamento, la stessa cura, la stessa predilezione.
C’è stato un imprevisto, nella mia vita, come in quella di Maria. Come in quella di ciascuno di noi, forse, ma in certi casi è più difficile accorgersi e riconoscerlo, mentre in altri è talmente evidente e dirompente che non si può far finta di niente.
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Una vita pianificata, progettata, pensata per il bene, per la felicità, per una tranquilla serenità, con desideri di famiglia, di figli, di una cucina piena di sole e bambini che giocano nel soggiorno, qualche pianta sul balcone, la Messa domenicale, le vacanze in montagna, la scuola, il catechismo… una volta qualcuno che non ricordo disse che, quando hai dei figli che vanno a scuola, nessuno ti chiama più col tuo nome, ma diventi “la mamma di…” seguito dal nome del figlio o dal cognome del marito. Ecco, immaginavo e speravo tutto questo.
Non immaginavo che per tanti anni sarei stata “la mamma di Filippo” quando bussavo alle porte degli studi medici, quando telefonavo in pediatria, quando citofonavo al reparto trapianti dopo essermi imbacuccata di presidi sterili.
Non immaginavo e non speravo di dover medicare un accesso venoso, fare le iniezioni, somministrare morfina attraverso un picc, conoscere il significato di acronimi come TBI o CVC.
C’è stato un imprevisto enorme nella mia vita. Un imprevisto che poteva farmi crollare sotto il suo peso. E in alcuni momenti l’ha fatto.
Non posso fare a meno di chiedermi, ogni tanto, se sarebbe stato meglio che quell’imprevisto non ci fosse stato. Me lo chiedo quando guardo negli occhi le mie amiche/sorelle, anche loro investite dallo stesso imprevisto come da un treno in corsa, alle quali vorrei saper dire parole che alleviano il loro dolore, ma non ne sono capace.
Me lo chiedo quando la malinconia mi assale, quando lascio la porta aperta al nemico e quello si infila dentro, e mi suggerisce che tutto questo poteva essere evitato, e sarebbe stato meglio, e mi fa dubitare dell’amore di Dio per me, perché un Dio buono non avrebbe mai permesso che soffrissi così.
Eppure l’ha permesso alla sua Mamma.
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L’altra mattina, in macchina, ho sentito così forte l’amore di Dio su di me, di questo Dio che ha scelto me, immeritevole e incapace, per farmi provare quello che ha fatto provare alla sua creatura prediletta. Lui ha scelto me perché potessi comprendere le lacrime di Maria, la sua paura, il suo sguardo, e anche la sua consolazione, la sua letizia nel sentirsi amata, lo strazio di vedere suo figlio morire assieme all’abbraccio divino talmente stretto da toglierti il fiato, la consapevolezza così illogica ma anche così reale che quella non è la fine, che tutto il dolore del mondo non riuscirà a diminuire la speranza e la fiducia nella vita, che tutto il buio del mondo non riuscirà a nascondere la luce.
Tutto questo ha coronato la lettura di una poesia di Montale, scoperta qualche giorno fa e subito amata:
Prima del viaggio
Prima del viaggio si scrutano gli orari,
le coincidenze, le soste, le pernottazioni
e le prenotazioni (di camere con bagno
o doccia, a un letto o due o addirittura un flat);
si consultano
le guide Hachette e quelle dei musei,
si scambiano valute, si dividono
franchi da escudos, rubli da copechi;
prima del viaggio si informa
qualche amico o parente,si controllano
valigie e passaporti, si completa
il corredo, si acquista un supplemento
di lamette da barba, eventualmente
si dà un’occhiata al testamento, pura
scaramanzia perché i disastri aerei
in percentuale sono nulla;
prima
del viaggio si è tranquilli ma si sospetta che
il saggio non si muova e che il piacere
di ritornare costi uno sproposito.
E poi si parte e tutto è OK e tutto
è per il meglio e inutile.E ora che ne sarà
del mio viaggio?
Troppo accuratamente l’ho studiato
senza saperne nulla. Un imprevisto
è la sola speranza. Ma mi dicono
che è una stoltezza dirselo.
(Eugenio Montale, Satura)
Un imprevisto è la sola speranza.
Ma mi dicono che è una stoltezza dirselo.
Come dargli torto?
Non l’avrei scelto, ma, a volte (non sempre riesco ad affidarmi abbastanza), ringrazio Dio per il mio imprevisto.